Non ricordo da quanto tempo non andavo più in disco da cliente, dal viaggio a Barcellona in primavera ma in realtà, se guardo alle mie parti, almeno dal 2000, da quando ho cominciato a bazzicare nei locali non più da semplice cliente ma da cronista, poi direttore di week e poi da dj.
Mi mancavano certi riti: lo sguardo dei buttafuori, cassa, guardaroba e il primo impatto con la pista che pian piano si riempie. Ieri come oggi ecco la deformazione del dj che subito controlla minuziosamente il locale, le luci e studia i dj, la musica che mettono e la loro attrezzatura tecnica. L’unico che non balla insomma.
Ballare di domenica poi è un rito che da noi risale ai tempi dell’Eurogarden e dell’Aquilone d’estate ed è una cosa che vorrei riprendesse a Cagliari se non altro per rompere quella noia dell’ultimo giorno della settimana, dove secondo me si potrebbe ricreare quella situazione giusta.
Riti che mi mancavano e che mi hanno fatto tornare indietro nel tempo. Un po’ anche a quei mesi passati a Dublino, i sabato con le amiche della scuola d’inglese, i rientri al freddo, la sensazione di benessere e libertà di una città straniera.
Ieri mattinata dedicata allo shopping necessario, vagabondo senza meta per il centro città, tra Grand Place e dintorni. Ho dovuto prendermi un giubbotto perché in preda a nostalgie estive cagliaritane mi sono dimenticato che qui al nord l’inverno arriva prima e non scherza. Pensavo di poterne fare a meno ma mi sbagliavo: ho scelto uno a poco prezzo molto british che mi dà sembianze sempre più lontane dal fighetto italiano. Fuori Italia la gente bada poco alle nostre fissazioni modaiole inutili.
Un pomeriggio di cazzeggio, mentre fuori un vento misto a pioggia torturava Bruxelles e la sera l’ho finita con gli amici in un ristorante tipico dove si è potuta assaporare la leggerissima (si fa per dire) cucina belga, un piattone con due salsicce, purè denso e un sugo di birra. Poi gelato al cioccolato (e non aggiungete dolce e un po’ salato) insieme a un bicchiere di vino rosso. Ma prima, aperitivo in un bel locale (un ex mercato riadattato) con una birra bianca di Bruges, assaggiando anche una strana birra al gusto ciliegia.
Come ben sapete (anzi molti, me compreso, non lo sapevano) questa è la patria di birra, cioccolata e patate fritte anche se pensiamo spesso che siano nate altrove. Quindi, come potete immaginare, questo viaggio è tutto fuorché dietetico e ha messo in discussione tutto il lavoro della palestra per la gioia del mio trainer Gabriele.
Finita la cena il ritorno è stata una passeggiata digestiva: si cammina molto quando si è fuori, ci si dimentica dell’auto, e si può rientrare senza patemi di parcheggi, patenti e posti di blocco, pensando, sentendo sulla pelle il freddo pungente della notte, osservando tante cose della notte che l’auto ti negherebbe e apprezzando ancora di più il calore di casa.
Stamattina la sveglia è suonata alle 5,45: doccia, un biglietto per Marco che mi ha ospitato e dorme prima di entrare a lavoro, metro direzione Gare Midi, stazione sud. Treno per Amsterdam delle 7.18, da cui vi scrivo.
Arrivo presto in stazione, facce assonnate per la levataccia. Faccio colazione con un cappuccino che dice poco e, come tradizione quando vado in giro per l’Europa, raschia nel palato, annacquato e bollente; chiedo una pasta al cioccolato, la prima cosa dolce del giorno, che ammorbidisce il nonsapore della bevanda. Tempo di ammazzare minuti e si son fatte le sette. Mi dirigo al binario e aspetto il mio treno che arriva lentamente.
Lascio così Bruxelles con la lentezza di una partenza sui binari, con un’idea e una sensazione in più di questa città che fino a qualche giorno fa mi sapeva di palazzi, istituzioni, nebbia. Invece ha un’anima eccome.
Ed ora tanta curiosità per la terza tappa di questo strano viaggio, Amsterdam.
Arrivo previsto ore 10.10.