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Bucarest, secondo giorno!

Sempre un’emozione svegliarsi in un’altra città. Guardare fuori dalla finestra e osservare orizzonti differenti.
Non nevica ma il termometro segna zero gradi. Riscaldamento a palla, i rumori della città e lo stomaco in ebollizione dopo la notte. Ma la colazione continentale, abbondante di dolce e salato, metterà tutti d’accordo prima dell’esplorazione.
Bucarest, sei mia!

La sala per le colazioni è un piano sopra camera mia. Si parla italiano, c’è una comitiva di persone che sembrano qui per lavoro.
Una cameriera di mezza età, capelli castano chiaro e occhiali professoriali, porta altre marmellate.
La scelta dolce e salato è generosa. Mi concentro sulla pulizia dell’uovo riuscendo sul finale a portar via, dopo tanto lavoro, attaccato al guscio, un po’ di bianco. Insoddisfatto, inizio a pensare alle tappe di oggi.
Un respiro lungo, mi concentro sul tavolo e comincio dal salato. Acqua, acqua!. Ho bisogno di comprarmi la mia solita bottiglia d’acqua da viaggio facendo attenzione che non sia gassata.

Prima tappa è il Palazzo del Parlamento di Bucarest, il secondo edificio più grande al mondo (il primo è il Pentagono!) che svetta in tutta la sua imponenza, costruito recentemente ma che tenta di riecheggiare i fasti del passato.

Ci giro attorno, attorno il vuoto. Il freddo mette a dura prova la mia resistenza, mi infilo al primo bar per una cioccolata con latte. E guardo Bucarest che passa davanti, senza lo stress di visitare tutto ma anche per allontanarmi e respirare aria diversa. Prendere appunti, pensare. Perdere tempo. In fondo questo è un modo di viaggiare.

Bulevardul Unirii, ampi vialoni, razionalismo sovietico, alberi spogli, Battiato in cuffia, vecchie insegne e casermoni di epoca comunista.
Vento dell’Est, storia contemporanea, Europa, vi amo!

 

CENTRO STORICO – Quando lascio le geometrie sovietiche i centri storici sono piccole carezze in grado sempre di stupirti. Le case diventano basse, i profumi dei ristorantini, zuppe e arrosti, salgono nell’aria e le chiacchiere creano complicità. Cambia anche la sensazione e la mia musica in cuffia. Ora è tempo di Kings of Convenience!

Lo stomaco sta già dando segni di ribellione, ma il posto è a due passi. Caru cu bere, antica birreria con atmosfera ottocentesca, punto di riferimento di intellettuali e artisti. Ecco perché ci sono anche io.

Difficile trovare l’ingresso di questa bella galleria nel quartiere storico di Bucarest, ma se la trovate amerete questo posto!

PIAZZA DELLA RIVOLUZIONE

Questa è una piazza particolare e probabilmente pochi ci fanno caso. Io purtroppo ho un debole per la storia contemporanea e ogni mio viaggio ricerca qualcosa che ho visto in tv da piccolo.

Il 21 dicembre 1989 il dittatore romeno Nicolae Ceaușescu pronunciava qui il suo ultimo discorso dal balcone del palazzo del comitato centrale. Il popolo era oramai contro, l’eccidio di Timisoara un fatto che aveva fatto cadere nel baratro il paese, e il suo regime durato venticinque anni oramai alla fine.
Quattro giorni dopo lui e sua moglie furono condannati a morte durante un processo sommario di un tribunale militare.

È strano, dopo aver visto questi avvenimenti alla tv – ricordo ancora che ero a pranzo con i parenti a Poggio dei Pini – essere qui, dove un pezzo di storia (tragica) contemporanea europea è stato scritto. L’inizio di una rivoluzione.

La sera, le lampade si accendono e il buio prende il sopravvento. Le città si raccontano con un altro volto, inatteso. Mettono in loro abito migliore. Quello più bello. Quello che amo.
Tagliere rumeno!
Lasciato da parte l’arrosto mi butto su questo localino che propone una rivisitazione in chiave moderna dei prodotti del territorio. Ambiente giovane e musica house fanno il resto!

Notte a Bucarest. Centro storico, disseminato di lounge bar, localini e disco. La bellezza delle rumene è risaputa. Si ballano dance e house con bassi che si incrociano tra locali.
Il freddo pungente fa perdere sensibilità alla pelle, invita a star dentro e consumare palinka, superalcolico balcanico, in quantità.
Dopo una passeggiata per il centro storico, mi fermo in galleria per una rilassante shisha. Sto da ieri sera e mi sembra già di esserci da una vita!

Barcellona, un’altra possibilità

“Quando si dorme all’aperto ci si sveglia sempre all’alba, e non c’è un caffè a Barcellona che si apra molto prima delle nove.”

(George Orwell)

Qualcuno mi chiede perchè io sia spesso a Barcellona. E’ possibile amare una città fino all’anima? E’ possibile avere un rapporto speciale con un luogo?

Molti credono che l’amore passi sempre e solo per le persone. Io rispondo: anche. Poi ci sono le mille cose che ti rendono felice nella vita e tra queste ci sono i luoghi dove sei stato bene.

Molti intrecci miei personali finiscono a Barcellona. Il mio primo viaggio scolastico, nel 1985. Il calcio. La canzone degli Zero Assoluto. Il mix perfetto tra la velocità metropoli e l’anima del vicinato. L’allegria. La musica. La politica. Le fughe alla ricerca di me stesso. Le notti infinite nelle discoteche del Porto Olimpico.

Eppure Barcellona non mi piaceva. Io amo la Spagna. L’ho vista, girata, assaporata. Con lo zaino e i bus dell’Alsa. Camminando verso Santiago. E la Spagna non è Barcellona. Ma un giorno questa idea è cambiata, quando ho capito che questa città fosse una dimensione perfetta per quello che cercavo. Allora ho deciso: amerò senza distinzioni l’una e l’altra.

Barcellona ti ruba con la sua meraviglia, quando le prime luci dell’alba rischiarano le strade silenziose, mentre la gente torna a casa dalla festa e gli addetti del comune lavano le strade lercie ridando nuova freschezza. Quando la sera si accendono le luci e ti perdi solitario nelle viuzze del Barrio Gotico, del Raval o di Gracia alla ricerca di un posto dove mangiare.

Ti ruba con quella sensazione di libertà e leggerezza che si trasforma in voci e musica per le strade, piazzette che si aprono d’incanto dove incrociare giovani e anziani,  baretti nascosti e librerie, bandiere indipendentiste che spuntano nei balconcini che osservano e benedicono i bambini che giocano a pallone sulle strade con le maglie di Messi.

Il Barrio gotico, decadente e suggestivo, ti regala sempre a qualche angolo nascosto in cui puoi perderti e con l’istinto trovare una chiesa, Santa Maria del Mar, la più bella tra le chiese.
Ti ruba il Raval, dove sono stato spesso per via della mia “casa”, un quartiere multietnico e un tempo covo di intellettuali e artisti, oggi pieno di strani personaggi, non sempre raccomandabili, mignotte e migranti.

Ti ruba l’anima quando fuggi delle inflazionate Ramblas e ti vedi aprire il Port Vell e la grande passeggiata fino a Barceloneta, altro mondo incantato da scoprire fino all’alba quando è d’obbligo bere un mojito in uno dei tanti Chiringuiti e osservare da lontano il profilo dell’Hotel Vel, uno dei simboli della rinascita.

Barcellona è stata questi anni la mia America, i miei weekend, i miei eventi, il Sonar, il Brunch, il BBF, le mille scoperte. Perchè quando smetti di fare il turista e diventi una via di mezzo tra viaggiatore e abitante cominci a vederla nel suoi particolari intimi. Il mercato di Santa Caterina, Gracia e i suoi ristoranti o lo skyline della città dal Bunker del Carmel.

Un giorno, salendo in questa altura spesso sottovalutata da tanti, iniziai a ripensare a tutte le cose fatte in questa città e a quelle che avrei voluto fare.Tuttavia, tutte le esperienze e le emozioni, positive e negative che questa città mi hanno trasmesso, hanno comunque creato in me un sentimento e una voglia di tornarci sempre.

Magari, un giorno, ci concederemo una possibilità. Reale e non più fuggente.

Lunedì dei lunedì

l lunedì dei lunedì.
Volo da Cagliari alle 7, arrivo alle 8, alle 9,10 già al pc. Esci alle 18,20, un’ora di traffico impazzito, quaranta minuti di supermercato e devo ancora comprarmi la marmellata “solo zuccheri della frutta”. La pelle segnala allergie. Ho ancora due o tre orette di lavoro da fare tra testi da redigere, report e musica da ordinare per una serata qui.

Non mi lamento, è la vita che ho scelto. Prendo ogni singola cosa come esperienza e la vivo attimo per attimo. O forse questa vita mi ha ingoiato e nemmeno vedo i colori e i contorni. Forse mi ha rotto i coglioni e bisogna tirare a dadi e ricominciare a sfidarla.

Poi ci sono i ricordi del weekend in Sardegna, delle belle persone incontrate, delle storie ascoltate e il piacere di cambiare sempre prospettiva e non annoiarsi.
C’è più gusto a essere imbruttiti(xi).

Weekend per caso

I weekend nascono così, per caso.

Una sensazione, un’idea, un’autostrada o una stazione, senza troppi programmi, senza itinerari scritti, vada come vada con il rischio di sbagliare strada e girare a vuoto. La voglia di fuggire da Milano è sempre troppo forte e allora hai una rosa di scelte ampia. L’autostrada indica le direzioni. Stavolta la ruota ha girato sul lago, per il mio amore e la mia ricerca dell’acqua come materia esistenziale. Un vecchio ristorante a Como, una locanda del 1920 a Blevio, a pochi chilometri dalla città, coccolato da due gentili governanti e immerso in un’atmosfera d’altri tempi. Oggetti e suppellettili antichi e due bambole non proprio incoraggianti mi circondano.

Una stanza grande con lavandino e bidè, il cui senso mi sfugge. Apro l’armadio, per paura di strani incontri notturni. La notte è un concerto perfetto di silenzio e rumori della natura.

Al risveglio mi aspetta una meravigliosa vista sul lago. Dopo la ricca colazione,   un altro sguardo al panorama e poi via, direzione Bellagio. Le curve e la gallerie non fan paura. La strada si restringe spesso bisogna stare attenti. Una sosta in un bar che dà sul lago, l’arietta fresca mista a caffè amaro ed eccomi qui immerso nei pensieri, respirare aria e far gioire gli occhi. Io mi fermerei pure qui.

Monaco di Baviera

Faccio ammenda per non aver scritto ancora nulla di Monaco. Ci provo, dai. 
Monaco, città che rispecchia a perfezione l’idea della capitale centro-nord europea: geografie metropolitane perfette, case curate, tetti spioventi, bei palazzi, pulizia e ordine, riscaldamento avvolgente, verde e giardinetti diffusi, freddo compreso. Certo, è solo un’impressione veloce da viaggio, lo ammetto.

Dall’aeroporto alla città in venti minuti una comoda linea metropolitana vi porta in centro. Il primo impatto alla stazione dei treni, la mia destinazione è del solito mix di velocità, facce e etnie diverse e profumo di cucina, fritto e arrosto a ogni ora. Il cielo è grigio da venerdì, anche qui come da copione. Il tedesco è materia ostica e non sempre nei ristoranti e nelle birrerie si trova alternativa in inglese. I menù lasciano scampo: mentre il portafogli si alleggerirà il tuo peso guadagnerà. Ma ne vale la pena finché, come oggi, secondo giorno e mezzo di cucina bavarese, non alzerò bandiera bianca e cercherò la cucina italiana che qui non si nasconde di certo.

Città a misura d’uomo con un centro storico concentrato – la gioia dei viaggiatori! – dove si possono ammirare molti diversi stili architettonici, dalla Chiesa gotica di San Pietro (St. Peter’s Kirche) al fascino rococò della Chiesa di San Giovanni Nepomuceno (Asamkirche). Monaco di Baviera è stata gravemente danneggiata durante la seconda guerra mondiale, ma molti edifici sono stati ricostruiti e riportati all’originale bellezza. 
Poi c’é l’area più moderna, con la Torre Olimpica e il museo d’arte Pinakothek der Moderne.

Monaco è la patria di alcune delle birre più pregiate al mondo, nonché simbolo di una vivace cultura birraia. Ti giri e c’é una birreria legata a una fabbrica.  Venerdì ho fatto tappa in una delle migliori fabbriche di birra di Monaco, la nota Hofbräuhaus, che fu fondata dalla famiglia reale e teatro di uno dei discorsi storici di Hitler. Ci si siede in tavoli comuni, atmosfera di condivisione, non è impossibile far amicizia con altri. Condividevo un tavolo con una famiglia americana e due ragazze irlandesi. Oltre alla birra, il maiale e il pretzel (salatissimo pane bavarese) ho saggiato anche la mediocrità del mio inglese!

App di navigazione, Waze o Google Maps? Ecco quale ho scelto!

Waze o Maps? E’ uno dei tanti dilemmi per i guidatori d’auto.

Viaggi in auto, oramai senza le classiche cartine stradali che pure ci portavano a destinazione senza troppi patemi. Sarà la pigrizia, sarà la disattenzione, ma ci perdiamo più spesso che in passato pur usando strumenti tecnologici impensabili fino a poco tempo fa.

Poi ci sono loro, le app di navigazione, che permettono di trasformare il nostro smartphone in un potentissimo e utile strumento.

Il dubbio? Escludendo Apple Mappe, che reputo non all’altezza delle attese e delle necessità, resta da scegliere tra le applicazioni Waze e Google maps.

Ho deciso di utilizzarli per il mio recente viaggio in Trentino, mettendole alla prova. Chi ha vinto? Lo saprete dopo questo disordinatissimo test.

Perché amo Waze, il navigatore social che nasce anche col contributo degli automobilisti:

•Posso consultare in tempo reale il traffico sul nostro percorso

•Posso controllare se ci sono incidenti, lavori o imprevisti

•Si possono conoscere autovelox o posti di blocco

•Posso verificare la presenza di punti di ristoro, distributori di benzina sul percorso, confrontare diversi prezzi dei distributori, in modo da scegliere quello più conveniente.

Purtroppo Waze ha anche dei limiti: gli aggiornamenti sono lenti, non ci sono le attività locali, l’applicazione qualche volta va in crash e non sempre è efficiente nelle zone meno trafficate (in Sardegna, per esempio, è sfruttata poco).

Con Waze non siete solo utilizzatori ma anche, qui viene il bello, contributori! potete segnalare eventuali code sul percorso o farvi segnalare nuovi autovelox/posti di blocco in tempo reale (premesso, ovviamente, che i nostri amici o altri viaggiatori sul percorso usino Waze). Un vantaggio notevole, dato che possibili deviazioni possono farvi risparmiare tempo.

Google Maps, i punti positivi. E’ l’applicazione più stabile e indicata se conoscete già il percorso, ha il limite di non aggiornarci in tempo reale ma di fornire una mappa completa e stabile, purtroppo priva di informazioni last minute, come autovelox o posti di blocco.

Riguardo l’affidabilità dei percorsi, a vincere è sempre e comunque Maps. Quindi, nel caso in cui dovreste perdervi per aver fatto una deviazione dal percorso originario, il consiglio è quello di affidarsi a Maps.

Maps della grande G vince anche sulla ricerca di un luogo d’interesse, un monumento o un locale: sulla barra di ricerca posso direttare direttamente il luogo di interesse (ad es.: Museo, Chiesa) oppure scrivere ad esempio “pizzeria a Milano” e il navigatore ci indicherà immediatamente il ristorante più vicino alla nostra posizione.

Altra forza di Google Maps è quella di orientarvi se utilizzate mezzi pubblici (anche se io preferisco oramai Moovit) o siete a piedi, possibilità esclusa con Waze.

Ai punti chi vince? Parere personalissimo: mi son trovato meglio con Waze, specie nei lunghi tragitti e dove rischiavo di trovare traffico. Ho litigato spesso con Google Maps (l’orientamento automatico a Nord vi fa incasinare non poco quando guidate, e va assolutamente tolto delle impostazioni) e nel lungo utilizzo soffre la freschezza e l’approccio social/immediato di Waze.

Quale scegliere? Dipenderà sempre dall’uso e dal tragitto. Tenetele ovviamente entrambe, ma con un occhio più attento a Waze. E condividete anche voi informazioni su questa app, per accrescere le community e offrire una migliore esperienza di guida!

 

Ripartenze (27 dicembre, Linate Airport)

Un viaggio è sempre una piccola ricarica di vita.

27 dicembre, torno a Milano.

Dormo un po’, mi godo un caffè lunghissimo sperando di vedere il sole. Niente, solo nuvole per tutto il volo tra Cagliari Elmas a Milano Linate. Giusto una turbolenza crea un po’ di emozione, per il resto silenzio e rumori d’aereo.

Leggo questo interessante libro di Riccardo Scandellari, comprato per Natale, occasione per imparare sempre qualcosa di nuovo.

A Milano Linate il clima non cambia. Benvenuti, la temperatura al suolo è di cinque gradi.  Piove e fa freddo, ma meno dei giorni scorsi. Un sollievo per evitare il classico trapasso tra il mare e la pianura.

Un pianto ininterrotto di un bimbo rompe il silenzio.  Non ne vuol sapere di fermarsi. Le cappelliere che si aprono e con esse le porte dell’aeromobile. Il personale predispone lo sbarco non appena il pullman sono vicini all’aero. 

La macchina che mi aspetta al parcheggio sarà una lastra di ghiaccio.

Ventisette dicembre, il Natale è passato, tra poco si lavora, non riesco comunque a essere triste.

New York memories

Un anno fa ero a New York. Inutile dire che è stato uno dei viaggi più belli e intendi della mia vita. Andarmene quasi piangendo è stata la prova che questa città abbia lasciato un segno nel mio cuore e che abbia ancora un debito con lei.

(Ancora grazie ai miei compagni di viaggio virtuali Marcello Casu Andrea Laddo Stefano Cortis e a chi ha ispirato e organizzato tutto Giuseppe Marcialis)

Viaggiatori viaggianti

Vorrei essere come uno di questi viaggiatori che incrocio, liberi e senza patemi d’animo, capaci di organizzarsi con poco e di vivere sempre al limite. Non si mettono problemi di clima, vestiario, alimentazioni, orari e come possono apparire. Si sente l’onda della libertà e spensieratezza che emanano.

Ma forse è inutile, è proprio un modo di vivere provinciale che ci portiamo da quando siamo nati: regole, pregiudizi, preconcetti e cosa diranno gli altri. Noi sardi siam così, siamo limited edition, impauriti e racchiusi nel nostro mondo, anche se inconsapevolmente. E quando proviamo a uscirne, una molla ci ricorda chi siamo e non allarghiamoci troppo sennò possiamo spaventare i deboli di mente.

Star sempre attenti a non urtare il sistema di convinzioni e tradizioni che hanno retto i vicinati e la città. Una complicanza di mentalità che ci ha resi stupidi senza saperlo, ma continuando a vantarci di essere migliori.

Novità e ritorni

È un’estate di novità per me, oltre a Milano e qualche arrivederci (io dico sempre arrivederci), la mia assenza da Santa, le nuove sfide, le perdite e le novità, ci sono anche i ritorni: andare al mare al Poetto di sabato.  È vero, ci vado a correre, a vedere il tramonto, a meditare, ma non nella figura nazionalpopolare del bagnante.

Per intenderci, l’ultima volta avevo più o meno 17 anni e c’era “What Is love” di Haddaway nei juke box.