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Storie: Antonio Agabio, tra Cagliari e Usa con le startup dell’AI

Pubblicato sull’Unione Sarda del 28 dicembre 2024

Versione breve: è un imprenditore della tecnologia e della finanza. Versione estesa: da gennaio 2022 è presidente e amministratore di Ovum, una Start-up Factory, un’azienda che crea Start-up nel settore dell’intelligenza artificiale da zero, attrae investimenti e le lancia sul mercato. Nasce da un’intuizione di Linkalab, realtà sarda nel panorama nazionale, e di AB Innovation, consulting milanese di legal tech: “Siamo anche all’estero, specie in USA e UK, e da quest’anno in Spagna a partire dal prossimo MWC di Barcellona, il più grande evento al mondo di mobile”.

Il cammino di Antonio Agabio, 31 anni, comincia da un diploma all’Alberti nel 2010 e una triennale in Amministrazione e Organizzazione – “bel corso per multipotenziali”. Poi l’estero: studio e lavoro a Montréal in Canada e poi in Danimarca, specialistica in Studi Europei. Torna in Italia e viene assunto in una consulting locale e quindi entra nel campo tech, in Linkalab, prima di Ovum.

“Attiriamo quello che siamo”. Il suo non è un percorso chiaro dall’inizio, ma una serie di opportunità e sfide accolte con curiosità, voglia e passione: “Se nasci trottola, girare da una parte all’altra, anche nel lavoro, è destino”. Altro lato della medaglia, le difficoltà sulle quali sfoderare il meglio di sé: “Come raccontavo in Cattolica di Milano, serve una grande forza mentale e il team e le persone fanno la differenza tra il successo di un’iniziativa di questo tipo e il suo fallimento, in maniera uguale se non più dei tuoi sacrifici e competenze”.

In queste andate e ritorni vede Cagliari cambiare: “Dopo il Covid i prezzi sono schizzati più che a Milano. Abbiamo un futuro, il problema è che chi ci abita è sempre l’ultimo a trarne i frutti e il primo a soffrirne gli effetti”. Il lato positivo: “Attira sempre più opportunità e aumenta il decoro, l’offerta culturale e i turisti. In estate sembra di stare in una bella realtà della Costa Azzurra, manca solo il GP! Quanti dati potremmo raccogliere dalle telemetrie?”.

Eppure i giovani partono: “Menomale! Apprendi arti e mestieri, ti immergi in culture agli antipodi e apri la mente. ‘Perché non tornano?’ Chiedilo a un architetto di New York che lavora per 300mila dollari lordi annui, saprà risponderti”.

Poi ci sono quelli che restano, buone idee ma non trovano la propria dimensione. La ricetta di Antonio: “Prima cosa, convalida che sia davvero una buona idea. Tanti business falliscono perché si specchiano attorno alla passione o al talento dei loro ideatori, senza attrattività sul mercato. Se sai che il prodotto ha domanda, cerca finanziamenti tra Venture Capital interessati a startup in fase di ideazione”. Puoi farlo anche con base nell’isola? “Solo se trovi i finanziatori giusti all’inizio e viaggi per creare la rete di aziende partner e sostenitrici interessate al mondo Tech di frontiera”.

La sua base è Cagliari e la sardità la porta in giro. Oltre alla cadenza, è una sensazione. Essere sardo all’estero è diverso rispetto ad altre regioni: “L’anno scorso al CES di Las Vegas ho incrociato lo YouTuber sassarese Morethantech e sembrava che ci conoscessimo da una vita. Se riuscissimo ad essere così anche in patria…”.

Il dinamismo USA non vale il maestralino e la birra al Poetto: “Ho casa qui e passo più tempo possibile con amici e famiglia. Quella di mio papà ha aperto un’azienda prima ancora dell’unità d’Italia. Non andrei a vivere fuori, tolta la California per motivi personali e professionali. Anche Cagliari ha la sua centralità e i suoi primati: “Fun Fact: sapevi che, tra le altre, qui ci fu la primissima trasferta della cantante canadese Avril Lavigne all’Anfiteatro Romano?”.

Il signor Gabriele del Poetto

Al chiosco il Nilo c’è un signore dai modi gentili che serve ai tavoli.
Un signore d’altri tempi, con un viso che porta i segni di una vita.
Ha una giacca marron, una camicia bianca nascosta da un maglioncino abbinato sempre con un colore retrò, scarpe in camoscio.
Una contronarrazione disorientante al cameriere giovane e alla moda che ti aspetteresti al Poetto.
Saluta e ringrazia tutti, ha un fare lento e misurato quando porta un piatto, quando ritira il caffè dal tavolo controllando che sia finito. Posso? Scusa? Mi spiace. Ecco a lei. Buon appetito. La ringrazio.
Mai forzate, mai imparate a memoria in qualche corso o perché si deve dire così. Parole accoglienti e sguardo rassicurante.
In questi giorni di fatica incrociare vite come quella del signor Gabriele può essere un segno del destino. Rilassati, rallenta, sii gentile. Lascia perdere le ansie e le distrazioni. Non disperarti. Todo se cumple.

Quelli che realizzano i propri sogni

Non so se sia un caso ma negli ultimi giorni incrocio molti amici e conoscenti che hanno realizzato i propri progetti e sogni. Calciatori, comunicatori, grafici, viaggiatori, imprenditori, insegnanti, dj, produttori e tanto altro.

Li avevo lasciati anni fa nell’anonimato o annaspando col rischio di andare giù. Perché erano persone senza grandi mezzi. Perché avevano messo in gioco tutto.

Ho sempre pensato che il successo vero non sia di chi ha tanto a disposizione di partenza – e spesso é esaltato oltremodo – ma di chi ha poco o nulla e riesce a far tesoro.

Ho ascoltato le storie e ho visto che c’erano delle cose comuni molto interessanti: una grande perseveranza, un’umiltà spaventosa, l’accettazione dei sacrifici e il coraggio di rischiare prima che un talento vero e proprio nel fare.
Poca estetica molto spessore.
Piccoli artigiani prima che artisti.
Una bella lezione.

Non è mai tempo perso (una sera alle Poste)

Milano, ufficio Postale, ore diciotto più o meno.
Devo spedire un oggetto venduto su Ebay. Prendo il numero 77 che significa tanto tempo d’attesa. Qui nelle grandi città è così. Finisci il lavoro, speri nella serata liberatoria, poi ti impantani in una commissione e bruci tutto il vantaggio.

La sala è piena, odore di umanità. Il bip dei numeri in successione intervalla il bisbigliare della gente, quella gente che trovi solo dal medico, alle poste o negli autobus. La gente normale, non bellissima, non photoshoppata. Eppure esiste.

Mi metto in un angolo e attendo il turno. Apro un libro, questi sono i momenti migliori per provare a smaltire capitoli e pagine.

Un uomo, di provenienza araba, mi avvicina: “Ho un bollettino da pagare, mi aiuti?”. Non so perchè fra tanti scelga proprio il sottoscritto. Non so se avessi scritto qualcosa in faccia, tipo fesso, buono, semplice, normale.
Nel caos di sciure milanesi, rampanti bocconiani che attendono pacchi da casa e semplici clienti ha scelto me. Deve pagare delle fatture insolute alla Wind. Gli spiego come funziona un bollettino e lo compilo per lui. “Qui ci metti chi paga e qui chi riceve i soldi”.
Ha una carta d’identità italiana, un nome lunghissimo (lo chiamerò Hamed). Segue con attenzione quello che faccio. Ha gli occhi illuminati. Hai presente quando guardavi la maestra delle elementari scrivere con calligrafia perfetta alla lavagna? La mia scrittura fa schifo, ma è vista da lui con ammirazione. Quando finisco mi dice tante volte grazie che quasi mi imbarazza. E’ la mia ricompensa migliore.
La gente mi guarda quasi come fossi un alieno, eppure non ho fatto nulla di strano. Ho rotto l’indifferenza, forse questo irrita.

Arriva il mio turno, numero 77. Devo acquistare anche la scatola perchè le Poste propongono una spedizione all-inclusive. Allo sportello c’è una signora, italianissima, avanti negli anni, con un maglione color carne, occhiali da presentatrice Rai anni 80 e sguardo vessato dall’età.
Non riesce a vendermi la scatola. Dice che i codici sono cambiati e il sistema non ha memorizzato la spedizione. Resto in attesa. Il tempo passa. Si capisce che non riesce. Chiama una collega, nulla. Niente codice.
In lei rivedo la paura di essere sbeffeggiati e rimproverati, come è successo prima quando uno studente universitario, se n’è andato via dall’ufficio dicendo “io mi sto costruendo il futuro, voi resterete sempre qui” ridicolizzando un altro impiegato. Cosa volesse dire quella frase, lo devo ancora capire. Forse pensava che studiando si costruisse il futuro e che non ci fosse presente, passato e futuro anche in un umile impiegato?

Certo, di fronte a quell’attesa, potrei parlare del mio tempo bruciato, potrei irritarmi, potrei dirle che non è efficiente. Le farei passare una serata di merda. Se lo merita? No. Non se lo merita. Aspetto. Suda, è imbarazzata. Passano i minuti. Poi desiste. Dice che non riesce a leggere il codice, dice che dovrei portarmi una scatola mia, indicandomi un negozio vicini che ovviamente non trovo.

La serata è saltata. In palestra forse non andrò. Ho bruciato un’ora abbondante. Però non sento un pizzico di amaro. Ripenso a tutte le volte che sono stato imperfetto e ho fatto gaffe, alle volte che non sono stato all’altezza di un compito. Alle altre volte che ho chiesto aiuto e ho trovato qualcuno che senza conoscermi mi ha dato una dritta.

Prendersela con gli altri, giocare sulle difficoltà o evitare di aiutare è un segno di cinismo che non ci deve appartenere. Bisogna essere diversi. Guardare negli occhi queste persone fa capire tanto, e realizzi che quando perdi tempo per “colpa” altrui in realtà lo guadagni. Una volta aiuti, un’altra volta sarai tu nel bisogno.

 

(se trovi errori segnalamelo a info@tixi.it, grazie ;))

La chiamerò speranza

Tra le tante storie di questo weekend passato ricorderò sempre quella della madre di due miei cari amici che sta combattendo una sfida importante di vita da cui uscirà trionfatrice, ne sono certo.
Ho incontrato quella donna: il suo sorriso raccontava la speranza e la forza di chi non si arrende. Ma mi insegnava anche, un’altra volta, quanto il tempo non vada mai perduto senza fare ciò che ci faccia sentire vivi ed eterni, nonostante si scontri con le idee degli altri, con le mode e con la paura di non essere mai all’altezza.
Le storie più belle non sono i successi facili e da copertina, i matrimoni di Fedez o le autocelebrazioni, ma i piccoli combattenti di ogni giorno di cui forse si perdono tracce ma che quando si incontrano ci insegnano a vivere meglio.

Chiacchiere aeree (sul Linate-Cagliari)

Viaggio di ritorno Linate-Cagliari. Anziché in una rigenerante dormita (tra poco ho djset al Peek-a-boo) mi trovo un simpatico signore robusto come vicino di posto, un professionista. Lo avrei spacciato per scrittore, a prima vista.
Con la gamba mi dà inavvertitamente u un colpo prima di entrare nel suo posto, quello più laterale, finestrino. Si scusa. Capisco la difficoltà e lo rassicuro: non c’è problema. Glielo ripeto. In quei momenti, in cui ci si sistema alla partenza, può accadere. E tu hai il dovere di infondere sicurezza a chi ti sta vicino. Saggezza da viaggiatixi.

L’aereo decolla. Parliamo di tutto, il lavoro, la Sardegna, la la politica, le prospettive e il futuro. Poi parla della figlia e gli occhi quasi brillano: “sa, vuole studiare fuori”. Io ribatto: è bellissimo, una vera sfida.
Mi racconta dei suoi viaggi di lavoro, io del mio mestiere di comunicatore. Incrociamo qualche aneddoto.
Il tempo vola via, arrivo a Elmas, discesa morbida, ci sono i giovani del Bologna che applaudono. Aspettiamo qualche minuto. Poi prendo il trolley, lo saluto mentre si avvia al nastro bagagli e mi avvio alla macchina.
Il fresco di Elmas. Son contento. Sono poco cagliaritano. Amo chiacchierare e conoscere le persone. Non ho puzze sotto il naso. Mi sento sempre più un ascoltatore che vuole sapere, confrontarsi, imparare. Piacevolmente attratto dalla gente.
Un’altra piccola storia, imprevista, ha fatto parte della mia vita. Grazie a questo sconosciuto (e barbuto) viaggiatore. Ci vediamo dopo al Peek a boo

Come nasce una storia

Spesso su facebook invento storie. Prendo pezzi di personaggi, idee e suggestioni, posti colori e situazioni, le metto assieme come i dischi di una mia serata e creo qualcosa. In quel momento, non ci crederete, sto facendo tutt’altro, aspettando che ne so, una visita medica, il caricamento di un file, fermo al semaforo in attesa del verde, aspettando un amico o chissà che altro.

Mi diverto nel credere che qualcuno pensi che siano pure vere. Lo so che succede. Lo so che ci si offende. Non volevo svelarvi la magia, ma preferisco dirlo, casomai non si fosse capita.

Io scrivo e ho licenza di invenzione 🙂

Io, moralizzatore fallito (e demoralizzato)

Ieri, Roberto, un amico di vecchia data mi ferma in disco e dopo esserci scambiati i rituali classici “ciao, come va? Come stai? Che stai facendo? ” aggiunge: “ti leggo sempre, sai? Bravissimo! scrivi sempre cose vere, fai riflettere, sei un moralizzatore”. Lo fermo al volo. Errore degli errori.
Quella parole “Moralizzatore”. Arrrrrrggggg! “Ma neanche per sogno, caro Robi! Io non sono un moralizzatore, io non sono nessuno per insegnare agli altri cosa sia giusto cosa meno, io non ho niente da dimostrare, nessun ditino da alzare.
Mi piace solo scrivere, raccontare con ironia che spesso nasconde amarezza (qualcuno forse l’ha intuito), ciò che vedo. E questo mi porta ad apparire quel che non voglio. Ma chi scrive appare anche così: un saccente, un professorino del cazzo. È uno dei prezzi da pagare. Me lo porto dietro. Ho perso simpatie, amicizie, lavori.Scrivo – celandola con battute e storie leggere – l’amarezza, la piccola città di provincia, le sue ossessioni, la fine dei sogni e delle illusioni, l’adolescenza andata via, il futuro incerto, la nostalgia di qualcosa che spesso non capisci, il breve lasso tra felicità e tristezza, la storia di una generazione che ha pareggiato senza sporcarsi la maglietta. E magari offrire uno spunto mio personale limitato e criticabile, a chi legge.
Ma anche io per primo, sono criticabile, sono ridicolizzabile, sono macchietta, personaggio, sono immerso fino al collo nell’ambiente in cui vivo e nei suoi perché”

Allora, stamattina, riprendo la frase di Jep Gambardella
Sull’orlo della disperazione, non ci resta che farci compagnia, prenderci un po’ in giro!

Comodini che piangono…

libriLa verità? Mi vergogno. Il comodino piange. Ci sono tanti libri che aspettano di essere letti. Libri iniziati o comprati e non ancora letti. Mi stupisco quando sento amici e amiche che leggono libri in poco più di una settimana. Mi sento un dilettante, mi chiedo come facciano. Questo ritmo lo riesco a tenere solo quando viaggio e a seconda dei libri che ho tra le mani. Ci sono quelli in cui una frase tira l’altra. Altri invece mi annoiano e li lascio perdere dopo qualche capitolo.

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