In principio è stato il titolo dell’evento (Datinanta) che mi ha fatto incuriosire e sorridere. Poi ho scoperto che dietro ci fosse un competente amico come Sandro Usai, che di open data ha fatto quasi una vocazione.
Sono riuscito a passare giusto un’ora a San Sperato, il 4 marzo scorso, tempo di partecipare al dibattito in Comune e guardare le azioni sul territorio: i dati aperti sono un importante strumento nelle mani dei cittadini per essere protagonisti nei processi, anche decisionali, favorendo la collaborazione con le istituzioni, per un processo trasparente e condiviso.
Volevo però che lo stesso Sandro mi raccontasse la giornata e, magari aiutasse le persone come me, spesso distratte da mille cose, a capire qualcosa di più:
“Datinanta è una iniziativa nata per portare la cultura degli open data presso la popolazione affinché si avvicinino a queste temi senza timori e con la giusta dose di curiosità che aiuta a comprendere i fenomeni che ci circondano aiutati dai dati. Il bilancio di San Sperate è sicuramente positivo perché per la prima volta abbiamo potuto sperimentare la sfida di parlare di questo argomento al di fuori delle istituzioni e con la gente. Si è tenuto anche un importante convegno animato dalla Regione e dal Comune e che ha consentito di mettere a fuoco il punto di vista delle istituzioni e le azioni in corso per diffondere la cultura dell’utilizzo dei dati per favorire lo sviluppo di una coscienza civica più matura e realista. Certamente, come comitato organizzatore di Datinanata, all’interno di Sardinia Open Data, siamo molto contenti dei risultati e quanto prima contiamo di mettere in campo un’altra iniziativa sui dati aperti e coinvolga la popolazione su altri temi importanti quali la raccolta differenziata, ancora l’arte e la cultura.
Sandro parla spesso nei suoi post di open data, gli chiedo perchè e quanto siano importanti oggi e quanto si possa superare la logica dei freddi numeri per provare a fare analisi più profonde.
“La cultura degli Open Data è nata molti anni fa per migliorare la comprensione dei fenomeni sempre più complessi che toccano la nostra vita e che determinano scelte politiche e amministrative capaci di incidere pesantemente nel futuro di una comunità. In altre parole possiamo affermare che grazie all’utilizzo degli Open Data si possono creare cittadini più consapevli per una una società più complicata e complessa da gestire. Anche in questo caso, però, bisogna sempre tenere conto di come sono generati gli open data, con quale metodologia vengono rilevati e organizzati per poter essere fruibili sia ad altri sistemi informatici che direttamente all’uomo attraverso interfacce di visualizzazioni che facilitano la comprensione”.
Immagino poi che ci siano anche i rischi: “Anche gli Open Data sono soggetti ai fenomeno di fake e quindi necessario conoscere soprattutto il metodo di rilevazione e come vengono aggregati prima di essere elaborati. Spesso gli Open Data nascondono gli elementi atomici che li compongono per salvaguardare il segreto statistico ovvero per mitigare eventuali problemi collegati alla privacy. Rimane tuttavia importante operare con gli Open Data a supporto delle decisioni strategiche consapevoli che anche questi possono essere alterati e artefatti da chi li gestisce.
Facebook è un modo per informarci spesso grazie agli amici e contatti come Sandro che istigano la discussione attraverso interessanti link su informazione e media e brevi aperture, anche con piglio ironico. Ecco, quindi, una domanda semplice semplice: lo stato dell’arte dell’informazione in Sardegna, come lo vedi?
“Bella domanda Nicola. Il mio interesse per le tecnologie che interessano i media e l’informazione è molto alto perché grazie a loro è possibile comprendere i fenomeni che stiamo vivendo, quali i social network, e toccano la nostra vita quotidiana. Ecco, ad esempio, gli Open Data sono fondamentali per il giornalismo di inchiesta e non solo. Su questi temi siamo stati promotori di due corsi di data journalism dove hanno partecipato giornalisti de L’Unione Sarda e di Sardiniapost. Certo, la Sardegna sta scontando un ritardo molto forte nel settore delle tecnologie dell’informazione che appare evidente a tutti. Basta sfogliare i due quotidiani o visitare i loro siti web o peggio ancora le pagine Facebook collegate per rendersi conto che siamo indietro rispetto alle metriche di scrittura social e web. Ma soprattutto emerge la difficoltà di portare un prodotto editoriale che penetri nella coscienza delle persone favorendo lo sviluppo civile a cui dovrebbero essere chiamati i giornalisti nel loro compito di informare. Mi chiedi che prospettive ho per l’informazione. Vedo una traccia che ci sta portando ad avere poca informazione giornalistica e più propaganda. Chiediamoci se questa potrebbe essere in parte il motivo della perdita di copie vendute ovvero il distacco dell’informazione dal mondo reale. Non è facile dare consigli anche perché chi li ascolterebbe?”
Una domanda che non conforta la nostra voglia di sapere e migliorare. Eppure, qualcuno dovrà iniziare, e Sandro ha titoli per poter offrire il suo contributo. Ora allargo ancora il tiro e rilancio: in questo momento storico come definiresti la Sardegna? È tempo di speranza o disillusione?
“È sempre tempo di speranza, altrimenti sarebbe finita. Certamente, e lo dico per primo a me stesso, bisogna favorire ogni ambiente dove si crei il riscatto e cresca la determinazione per la crescita al di fuori dagli schemi che vedo applicati in questo momento e che non mi sembra che stiano producendo lavoro e prosperità. Per tornare solo un attimo agli Open Data posso dirti che anch’essi sono una opportunità di sviluppo di lavoro se solo li avessimo a disposizione”.
Poi gliela butto, non prima di aver snocciolato qualche altra ferita aperta. Spopolamento e paesi che spariscono, turismo che non decolla, precariato, trasporti e giunte deboli, il modello sardo da dove può ripartire se Sandro Usai fosse presidente della regione?
“Tranquillo Nicola, non accadrà mai che Sandro Usai diventi presidente della Regione Sardegna altrimenti ne vedresti delle belle! Tuttavia come persona che opera nel settore del turismo, per via del nostro ruolo di editori di Sardegna magazine e come studiosi dei fenomeni turistici, ti posso affermare che noto serie difficoltà del comparto ufficiale, poi c’è l’altro che opera in nero o nel sommerso. Per comprendere fenomeni mondiali come il turismo bisogna attrezzarsi bene e in primis con un Osservatorio che operi al di fuori della Regione Sardegna garantendo equidistanza anche dalle azioni messe in campo dalle istituzioni e rilevando i risultati conseguenti agli investimenti effettuati. Poi c’è lo spopolamento delle zone interne che, se continua così, mi sembra di capire che da qui a qualche anno interi paesi saranno cancellati per sempre. Difficile trovare ricette che risolvano u n problema che viene da lontano e da politiche incentrate a favorire lo sviluppo dei grandi complessi urbani ricercando il risparmio a tutti i costi con le economie di scala. Un esempio per tutti sono la carenza di trasporti, sanità e scuole. Basta farsi una domanda: ci vivresti in un luogo dove non c’è un medico, l’ufficio postale, internet, la scuola per i propri figli?”