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Non è più tempo di SuperEroi

Non è più tempo per SuperEroi.

La nostra generazione prende un’altra brutta botta.
Eh sì, cari amici, ogni volta che succede, ogni volta che un lutto attraversa il mondo del cinema, della musica e dello spettacolo (quello vero) bisogna guardarci allo specchio.
I ricordi della nostra infanzia che avevano riempito pomeriggi infiniti di noia d’estate, quando il tempo pareva non passare, o inverni nel caldo delle nostre stanze mal illuminate, pian piano se ne vanno. E noi perdiamo una punta di giovinezza.

Quel che più impressiona è che se prima avevi una scelta sterminata di sogni ed eroi, basta scorrere l’album dei ricordi, oggi fai fatica a trovarne. Non solo perché sei cresciuto, e la vita ti ha riempito di ansia e acciaio, incazzo web e salvino, ma perché gli eroi oggi non esistono.
Quelli che chiamano eroi sono zombie drogati da like e visualizzazioni. Sono capitani della politica. Sono mestieranti senza arte, incapaci di farci battere il cuore e durare più di una stagione.

Suvvia, parlatemi di eroi moderni. Siete costretti sempre a ripescare il passato, e annoiarmi tanto perché siete scontati e ripetitivi, che si chiamino GigggggiRriva o Maradona, giusto per restare nel calcio.

Forse però i veri eroi esistono ancora: chissà, magari sono persone normali, normalissime che ci circondano e siedono al nostro fianco. In ristorante, sul pullman, al bar. Non hanno bisogno di stupirci con effetti speciali e non hanno l’ansia del consenso virtuale.
Nella semplicità sta l’essere eroi moderni.

Appetitosamente

sarà dura, quasi impossibile, tra serate da dj, celebrazioni e voli ma spero quest’anno di fare un salto a Siddi per Appetitosamente.
C’è un ricordo speciale che mi aspetta in quel luogo, oltre ad esserci nata mia madre, aver parenti e casa dei nonni e averci passato mille domeniche e feste da piccolo.
Appetitosamente, nell’estate del 2011, è l’ultimo bel ricordo di mio padre ancora in forma prima che la malattia lo aggredisse e cambiasse il corso della mia vita.
Ricordo che arrivai tardi come mio solito, forse ero di rientro da San Valentino, salimmo sull’altipiano a sentire Paolo Fresu che accarezzava l’aria mentre il giorno finiva e il tramonto colorava il cielo e la Marmilla di quelle tonalità che solo la Sardegna conosce.
Incontrai i miei cugini, comprai il cd Mare Nostrum in un banchetto e poi corsi a Villasimius, all’allora Smaila’s, dove avevo serata.
Ricordo come se fosse oggi. E quando riascolto quelle malinconiche melodie parlano dell’amore di un figlio.
Sono il ricordo di una perdita, di come la vita sia capace di toglierti in poco tempo quanto di più prezioso hai, e purtroppo ti resta solo l’amarezza di non aver potuto far nulla.
La perdita di un padre è un fiume carsico che scorre e ogni tanto riaffiora…

Al calar del sole…

Il sole non ha ancora voglia di scendere sulla tavola color piombo del mar di Sardegna. Il ritmo reggae di un cantante giamaicano e un giro di batteria inonda gli avventori del baretto che si affaccia sulla spiaggia alla ricerca dell’ultimo raggio e del sorso giusto per allietare la sete. Un uomo abbronzato con una polo bianca con innesti viola specchia il litorale dai suoi RayBan sorseggiandoci un drink color arancio. Due bimbi scuri giocano con pazienza a scacchi mordendo panini imbottiti con mozzarella e pomodoro. C’è ancora qualcuno che sfida il mare e le alghe che rendono incerto il fondale, altri vanno via prendendo sulle spalle ingombranti bagagli. Intanto il mare, con le sue onde, a cicli di cinque sei secondi, fa sentire il suo rumore.

Ristorante da Egisto, Mogoro

Qui nel lontano 1985, ritornando dalla gita organizzata dalla scuola elementare Sacra famiglia a Barcellona (mo’ capite da dove nasce l’amore?) persi la mia amatissima cassetta Fivelandia 5 con la sigla di Holly e Benji e tante altre canzoni che ascoltarle nelle cuffie col suono pulito era una goduria, altro che tivù.
Ogni volta che passo un colpo al cuore.

Edolo

Storie da #Tixilife

Tixi si è fermato ad Edolo. Potrebbe essere un titolo di un libro o forse una copiatura bella e buona, in tempi come questi andrebbe pure bene, ma è una piccola storia personale che volevo condividere con voi.

Ci son dentro i ricordi da bambino, i viaggi estivi con la famiglia quando, padre militare, si andava a intervalli di due anni in un soggiorno di montagna, uno dei tanti benefit della vita con le stellette e dell’essere figli di chi lavorava nell’EI, Esercito italiano.

Edolo è un richiamo di memoria per quel bambino che non sono più. È un provare a ripescare un mondo che non riesci nemmeno quasi a ricordarti più e non è un caso che fissando questo cancello, davanti alla strada, ho difficoltà a vederci qualcosa di mio.

Eppure altri particolari affiorano. Estate 1988, il Milan aveva vinto lo scudetto formidabile con Arrigo Sacchi in quella torrida Napoli-Milan che avevo ascoltato alla radio in una domenica alla Fiera, il mio Cagliari sprofondava prima di tornare grande (ed io ci credevo ancora) rischiando il derby con il La Palma, sfogliavo il Giornale di Montanelli immaginandomi un futuro da volto noto dei tiggi.

C’è calcio e c’è musica, immancabile nella mia vita, il Festivalbar, Broken lands, Stay on this roads, Love changes e Wonderful life ma anche Pregherei di Scialpi-Scarlet e altre canzoni. Ascoltavamo latte e miele nella nostra Fiat Regata blu che ci aveva onestamente portato da Cagliari alla Val Canonica in un viaggio infinito fatto di Carlo Felice, autostrada e navi Tirrenia modello Strada.

Alla fine non so nemmeno perché sono di nuovo finito qui, anche se provo sempre a rivedere posti d’infanzia. Dovrei evitarlo per non disperarmi troppo del tempo che passa ma ogni volta ci ricasco. Mi voglio far del male, lo ammetto.

Guardo questo caseggiato color marrone come un fesso, seduto sul muretto, mentre la auto e le moto sfrecciano, con una bandiera che oggi non mi provoca lo stesso effetto di quando ero bambino, non riesco a trovarci di qualcosa che ricordo. Eppure non so perché ma la sua presenza, quella c’è. Anzi, la sua pesantissima assenza.

“Muovo le ali di nuovo verso un posto nuovo”

Stazione Centrale & ricordi

È assurdo come due giorni di viaggio random zaino in spalla sembrino esser durati una vita. La confusione della stazione Centrale accoglie il nostro Intercity, sgranchisco le gambe e mi confondo tra la gente che va e viene. Ora lo zaino pare pesarmi più della partenza. Ci sono altri ricordi dentro, paesaggi e mari, che ti porterai nella mente.
“Il trenoperTorinoPortanuovaèonpartenza albinarionove” riecheggia l’altoparlante. “Il trenomalpensaexpressèinarrivoalbinariodue.”

Ieri e oggi allo stadio

Mai avrei pensato nella vita, quando un giorno con mio padre entrai per la prima volta al Sant’Elia nel 1981 (ricordo ci fosse Cagliari-Inter) di fare lo speaker come tempo fa e poi scoprire tutti gli angoli segreti e i dietro le quinte dello stadio, il profumo degli spogliatoi e il campo da vicino. Tutto quello che accade attorno a una gara.

Da piccolo questo era un posto troppo grande per me, una scatola dei desideri capace di far battere il cuore non appena lo vedevi avvicinarsi dalla macchina o quando d’estate andavi al Poetto e se la domenica tuo padre non ti portava erano lacrime e porte sbattute. Ma lui aveva l’ingresso militari e io spesso mi infilavo gratis davanti a maschere che chiudevano tanti occhi di fronte ai bimbi.
L’urlo dei sessantamila del Sant’Elia faceva paura e spavento a chi come me si avvicinava al mondo con gli occhi di chi ha voglia di scoprirlo senza perdere nulla. Poi c’erano i colori del campo, della gente, le maglie in raso ennerre e i profumi di pipa. I giocatori che diventavano i tuoi miti, magari potevano essere anche quelli forse meno ricordati come Fabio Poli, Quagliozzi, Sorrentino, Malizia, Bernardini, Valentini, giusto perchè i primi ti restano più nel cuore come il mister Giagnoni e Tiddia.

Poi la curva nord, gli Sconvolts, altri anni bellissimi della vita, quelli del liceo, con la sciarpa e lo striscione, gli amici e i cugini. Ci furono le trasferte in nave, la prima nel 1993 a Genova.

Oggi qui è come fosse casa, dagli spogliatoi al campo, dalle panchine alle tribune. E’ finita quella magia e curiosità, forse tanto calcio nella vita ha avuto l’effetto riflusso e razionalità, sarà meglio o peggio? Di una cosa son sicuro: resta sempre bello trottolare da queste parti.

Grazie Enzo!

Lui è Enzo, il cameriere del Miramare di Marceddì. Da loro mi sento sempre a casa, brulicano ricordi di quando ero piccolo e ci venivo con i miei, lui sa sempre strapparmi un sorriso con quei suoi modi sornioni e gentili classico della bellissima gente dell’oristanese.Grazie Enzo!

Ricordi di facebook

Auto e 131, direzione Oristano, centro Federale Sa Rodia. Tra poco c’è la nazionale femminile under17 in campo.

Il mio lavoro oggi mi porta qui.
Mi fermo in un’area di servizio, come mi piace fare. L’abbraccio dell’aria calda e la campagna ingiallita appena esco dalla macchina sono piccole emozioni di settembre. Chiedo una spremuta d’arancia. Nell’attesa, accompagnata dal frullatore e dai rumori di tazzina, vado un po’ su Facebook.

Scrollo…maledetto social! Giochi con le mie emozioni e mi fai rivedere il post di quattro anni fa quando ridevo e scherzavo esorcizzando quello che avrebbe cambiato la mia vita, la perdita di un padre.

È strano rileggersi ancora spensierati prima che gli eventi ti travolgano.

Poi ancora, altro flashback, un anno fa, quando tornavo da uno straordinario viaggio in Irlanda e mi coccolavo a cena in un piccolo ristorante a Bosa. Bip. Un messaggio. Apri. Un tuo amico e collega dj ci sta lasciando troppo presto.

Ecco, i ricordi. E non puoi spostare la mente per pensare altrove. Torni puntualmente là.

Ricordi cestistici

Ebbene sì lo ammetto, non sono un baskettaro dell’ultimo momento visto che la Dinamo ha vinto. Ho giocato anche a pallacanestro (se così si può dire) nella mia vita dalle mille esistenze e stagioni.

Gs San Michele. Pochi soldi, molto sudore e odore di gomma. Completini bianconeri in flanella, numeri attaccati con il ferro da stiro. Si giocava nelle scuole elementari di via Premuda, sotto casa. Ci allenava un mister di nome Alessio. Annate 1986/87/88. Ero in squadra con il mio caro amico Giovanni Milano ched’era molto più bravo di me. Giocavo poco e avevo la tremarella quando entravo in campo. La nostra gioia era usare  i palloni Mikasa durante gli allenamenti. Prima di segnare il primo canestro saranno passate forse 10 gare.

Poi lo dico: ho seguito l’Esperia Vini di Sardegna. Ricordo pure la gara con Spondilatte Cremona e i nostri campioni granata. Ricordo il sogno A2. Ricordo quando seguivi la tv e la cronaca sportiva era sempre il Cagliari traballante e la sarde di C2 commentate da Alfonso De Roberto. Quanti bottini magri.

Poi c’erano Esperia, Dinamo. Ma ricordo anche parole come Marbo e Pasta Puddu.

Avevo anche il cappellino Lakers perché i miei amici avevano quello dei Boston ed io come sempre andavo controcorrente. Erano bei tempi, comunque. Avevi tempo per appassionarti e per costruire ricordi che ora puoi raccontare con sottile emozione. Poi come tante cose l’ho perso.

Ma il basket ha tante assonanze con il futsal. È uno sport bellissimo, non puoi paragonarlo al calcio perché sono emozioni e situazioni diverse. Ok il folklore e gli sfottò, ma lo sport regala cose come pochi.

Ripesca ricordi, ritira fuori storie che mai avrei detto.