Parto presto da Petra, la camminata di ieri mi ha tolto ogni velleità di uscita serale.
Il buffet del mattino in albergo è ricco, cerco di non farmi fregare dall’abbondanza e dalla scelta: uovo sodo, toast, un po’ di latte macchiato di caffè, pomodori e olive. Un mix dolce e salato senza senso.
Oggi andremo nel deserto guidando per la Strada dei Re, che attraverso colline e vallate senza anima viva e con pochissima vegetazione. La Strada congiunge Amman a Petra lungo un percorso di circa 300 chilometri ed è una delle strade più panoramiche da percorrere in Giordania in alternativa all’Autostrada del Deserto, più veloce ma meno scenografica.
Piccole case provano a sfidare la terra giocandosi la modesta quantità di acqua che la zona offre. “Le persone dovrebbero tornare alla terra” mi dice Amjad.
Immancabile è il check point della polizia – ne vediamo e incrociamo o davvero tanti – un sorriso e un Assalaamu alaykum (la pace sia su di te) e si passa. Il territorio è ben controllato, nessun timore. I turisti e i viaggiatori sono visti con rispetto assoluto.
Amjad ferma la macchina in un paesino e scende di corsa: dove sarà finito? Lo perdo di vista. Poi torna, correndo, sorridente e risale con due focacciozne olio e origano. A quel paese la mia dieta, mangiamo a metà mattinata! E questa focacciona è una bella botta. Tutto è concesso!
La prima pausa in un viaggio che durerà circa due ore e mezzo è in un bar con un vista strepitosa. Il cartello non lascia dubbi: Resthouse, the best View in the world. Le promesse, di fronte a un buffet di tabbouleh, humus, falafer, il pane pitta e il knafè, oltre a pomodori, olive, insalate varie, conquistato da un gruppo di tedeschi, sono mantenute. Un buon caffè turco e due foto e si riparte!
Ancora curve e prima di arrivare al deserto passiamo per la Piccola Petra nota anche come Petra la Bianca o Siq al-Barid (Canyon Freddo). Anche qui c’è un pezzo di storia nabatea con diversi edifici scolpiti nelle pareti dei canyon di arenaria.
È molto più piccola rispetto a Petra, un canyon di 350 metri che si percorro senza troppe difficoltà in una mezz’ora e che si conclude con l’immancabile baretto/bazar con il beduino che propone tè, caffè e incensi.
Anche qui risento l’atmosfera magica e surreale interrotta solamente dalla musica e dal canto di un simpatico anziano beduino e dal pianto di un bimbo subito consolato dai genitori.
Il deserto si avvicina. Lasciamo la macchina in una stazione di servizio e saliamo su una prima jeep. “Non vorrai mica salire dentro! Tu sei l’ospite speciale”. E io, un po’ perplesso, mi accomodo dietro. Sciarpa e occhiali. Al sole, al vento. La temperatura non è proprio primaverile ma quella corsa in jeep mi concilia col luogo.
Grandi montagne si stagliano davanti e intervallano distese chilometriche di terra e sabbia. Una lunga striscia grigia prima di lasciare l’asfalto, costeggiando una piccola linea ferroviaria che è destinata al traffico merci e a qualche convoglio turistico! Effettivamente vedere il treno qui è una novità e penso subito al Treno di Tozeur di Battiatiana memoria.
Ammiro l’avvicinarsi del deserto e le sue braccia immense aprirci e diventare la nostra terra sotto i piedi. Rocce, sabbia, cammelli in lontananza, sassi, piccole piante secche, spazi che si perdono, cielo.
Quando scendo dalla jeep comincio a connettere razionalmente che non sto in un posto qualunque: il deserto è un posto speciale. Il deserto è IL posto.
Mi accolgono subito al villaggio, il capo si presenta con un sorriso e una stretta di mano, ho tempo per sistemarmi nella tenda perché mi aspetta un’altra jeep che mi porterà in giro. Poi la tenda. Una stanza accogliente, addobbata di arazzi, con un letto comodo, delle coperte per la notte, un ventilatore e quando apro le tende davanti, il deserto a due passi e il cielo.
La posizione è davvero speciale, ringrazio gli amici del campo per questo regalo inatteso.
Quando usciamo di nuovo, il 4×4 entra nel ventre del grande Wadi Rum, il più bel deserto del mondo, teatro anche delle avventure di Lawrence d’Arabia che visse qui tra il 1916 e il 1918 durante la grande rivolta araba e usato per ambientare molti film di fantascienza e avventura nello spazio.. Paesaggio lunare e marziano, con la terra rossa.
Grazie alla bellezza di questi paesaggi, il Wadi Rum è diventato un luogo famoso.
Tocchiamo diversi punti, un canyon con alcune iscrizioni rupestri di Nabatei che lo hanno abitato, una duna altissima dove scommetto per 5 dinari di salire in 5 minuti – credo di aver rispettato la scommessa nonostante il fiatone e il cuore che batteva a mille- e ancora una specie di autogrill isolato.
All’ingresso un ragazzo, in cambio di una piccola offerta, ti offre una tazza di tè con salvia e cardamomo in un bicchierino di vetro che gusti seduto in comodi divani circolari. Intorno a me donne con il velo, anziano con abiti tradizionali, tutti sorridono, conversano e soprattutto mi ritrovo unico occidentale, tra gente del posto, seduta vicina che ti scruta in maniera curiosa e gentile. Quella cartolina di vita, così onesta e sincera, è un salto nel passato mi fa tornare indietro nel tempo, alla vita di paese della mia infanzia. Amjad mi racconta che qui si fa una sosta per i tragitti e si trovano spesso pellegrini provenienti da altri paesi arabi.
Quando torniamo al campo ho un’ora di relax e poi un’altra uscita: la gita in cammello fino al tramonto!
Mi concedo qualche passo sul deserto, fuori dalla mia tenda: stupito dal silenzio e dall’idea di piccolezza rispetto a tutto quello che mi sta attorno. E’ una sensazione di connessione con l’universo che faccio fatica a sentire, abituato a rumori molesti e a quell’odioso sottofondo delle città. Ridete voi sapendo che faccio pure il DJ.
Come una carezza delicata il vento passa da una parte all’altra muovendo qualche cespuglio. Un rumore di aereo lontano e il movimento di qualche jeep poi nulla. Io e il deserto, soli.
I cammelli ci aspettano! Un tragitto lungo, senza raccontarvi la paura quando il tranquillo animale si solleva e scende, accompagnato da un beduino gentile che non sa una parola di inglese ma che mi rassicura prendendomi le mani e indicando dove devo tenermi.
La camminata dura un’ora e lui, rilassato e pacifico, guida i due cammelli verso una duna da cui godermi il tramonto. Mentre cammina, con passo sicuro, con una invidiabile serenità, mi chiedo a cosa stia pensando, a come sia la sua vita. E mi dispiace un po’: mi prometto di non salire mai più su un cammello. La prima sensazione esperienziale ha dato spazio alla consapevolezza che non ci debbano essere persone o animali sfruttati mai in nessun modo. Lo so che noterete l’incoerenza del mio pensare rispetto a tante altre situazioni simili, ma questa è stato il pensiero mentre dondolavo!
Quando rientro le luci del giorno oramai andate via e il campo è una suggestione di luci e ombre. Il vento è salito e per restare fuori il fuoco acceso è un valido compagno di sopravvivenza. Gli uomini del villaggio tolgono dalla sabbia un gran pentolone fumante: è lo zarb. Questo piatto è servito solo qui al Wadi Rum. Si tratta di una pietanza a base di carne e verdure che viene cotta sotto la sabbia e ammorbidita con salse come lo yogurt e spezie piccanti.
La cena è in una grande sala di tappeti, narghilè e divani colorati con un ricchissimo buffet di piatti tipici, oltre a pane e verdure arabe. Tutto è lento e conviviale. Ci sediamo attorno, nessun tavolo per dare le spalle a qualcuno. Siamo io e altre tre turiste francesi. Ci scambiamo sorrisi e sguardi. Ho il mio taccuino davanti, scrivo ogni cosa che mi passi per la testa. Fuori è buio e ci siamo siamo noi, ultimo baluardo di umanità. Ma chi sarà davvero il più forte dentro un deserto? Noi uomini o la natura?
Quando finiamo non sono neanche le otto e mezzo. Il vento è salito, ma Amjad e gli altri mi invitano ancora per un the davanti al fuoco. Come puoi aver freddo e sentirti solo e triste in un posto così? La stanchezza però c’è, lo ammetto. Mi rifugio nella mia tenda per leggere un libro finchè il battere della pioggia non viola quel silenzio religioso. Accolgo con gratitudine quel picchettare sulle fragili pareti e tutto quello che porta. Mi pizzico ancora nelle guance chiedendomi se sia tutto vero e io sia davvero qui, nel Wadi Rum.
Morfeo o chi per lui mi avvolge in un abbraccio finché i primi raggi del mattino non arrivano al viso. E’ l’alba. Il sole fa fatica a prendere il sopravvento nelle rocce. Ci riesce, stiracchiandosi. Mi godo ancora quel momento delicato, quel tempo lento, quel silenzio meraviglioso, come fossero un balsamo magico. Scrivo qualcosa, un gatto mi fa compagnìa per poi perdersi tra le rocce. La colazione è servita. Il campo si anima, gli zaini si preparano per la partenza. Le jeep tra poco arriveranno e tutto sarà un ricordo. Non è ancora il momento di andare. Quel silenzio del Wadi Rum è uno dei più grandi regali che abbia mai avuto!