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Ho letto Fallire e vivere felici di Alain De Botton

Ho appena finito di leggere “Fallire e vivere felici” di Alain de Botton.
Il filosofo non mi è nuovo: ho già letto diverse sue opere come l’Arte di Viaggiare e Come Proust può salvarti la vita. Linguaggio facile, colloquiale, spunti capaci di colpire con la loro semplicità e profondità: De Botton è questo.

In un mondo che ci vuole sempre belli e vincenti, accettare il fallimento è un atto rivoluzionario. Soprattutto in quest’epoca, nella quale Internet e i social media rendono impossibile cancellare le tracce dei nostri errori. Ma è importante ricordare che nessuno attraversa la vita senza sbagliare, perché l’errore è tipico dell’essere umano e, prima o poi, tutti incappiamo in delusioni e cattive scelte. A volte gli sbagli finiscono davanti agli occhi di tutti, altre volte cerchiamo di nasconderli per vergogna.

Questo libro esamina i diversi ambiti in cui ognuno di noi sperimenta il fallimento, da quello sociale a quello sentimentale e lavorativo. Ci offre consigli pratici su come affrontare piccoli e grandi insuccessi, incoraggiandoci a trasformarli in occasioni di crescita personale, emotiva, relazionale e professionale. Ci insegna a provare empatia verso chi è sconfitto, partendo proprio da noi stessi. Perché non fallire mai è impossibile, ma si può imparare a fallire bene.

De Botton unisce, come al solito, psicologia e filosofia – questo aspetto mi affascina! – per esplorare le dinamiche dell’uomo senza reticenze, offrendo chiavi di lettura a chi desidera comprendere perché la gente odia, perché reagisce con tanta crudeltà sui social di fronte ai misfatti altrui, come se non riuscisse ad accettare che l’uomo sia imperfetto per natura. Perché non esiste pietà e compassione? Perché i migliori amici sono quelli che hanno sopportato le peggiori crisi e misfatti? Perché il fallimento è normale e non viviamo in corsa con nessuno, anche se ci fanno credere che essere perfetti sia davvero il segreto?

Emerge anche l’importanza dei traumi infantili, quei segni del passato che continuano a contare anche oggi, influenzando le nostre azioni e reazioni. De Botton ci invita a esplorare queste dinamiche senza timori, a riconoscere che la perfezione è un’illusione, e che è nell’accettazione dei nostri limiti che possiamo trovare una forma di serenità e autenticità.

Qualcuno con cui correre

“C’è un momento in cui si compie un piccolo passo, si devia di un millimetro dalla solita via, a quel punto si è costretti a posare anche un secondo piede e d’un tratto si finisce su un percorso sconosciuto”.

…ma il tuo libro?

Molti mi chiedono quando arriverà un mio libro. Me lo chiedeva pure il mio povero padre, prima che morisse. La sento quasi come una promessa, eppure…sono fermo qui a scrivere cazzate su facebook. O a scrivere per il mio lavoro (ah, ma non sei solo DJ? E che lavoro fai? Spero roba seria…)
Sono così paranoico che quando provo a portare avanti dei progetti che ho (ebbene sì, esistono appunti sparsi e altro) mi chiedo: ma chi lo leggerà? Chi verrà alla presentazione? Ma non è stato già scritto? Cosa c’è di nuovo? Seghe mentali mode on.

Poi, puntualmente, “ma quanto sei bravo…!” e poi quella domanda imbarazzante, quando ci sarà il libro e perché non lo scriva. Qualcosa in lavorazione c’è e davvero mi piacerebbe. I viaggi alimentano questa voglia di scrittura che si perde in mille rivoli quotidiani.

Ma c’è qualcosa che non mi fa andare avanti, forse la pigrizia, forse la mancanza di disciplina, forse la mancanza di un mentore che mi segua, forse il lavoro per sopravvivere che toglie tempo ed energia a un progetto così profondo. Eppure una promessa dovrebbe essere mantenuta. E il demone della scrittura, questo strano mistero che alimenta pensieri e mani, grida vendetta.

Un altro libro finito

Mi son fermato qui. Ho ordinato un caffè senza pretese in un bar della vecchia Praga. Mi sono seduto. Ho acceso l’Ipad. Finito un libro. Ho passato un’ora grondando di curiosità per vedere quel che sarebbe successo, mentre il mondo passava fuori dai vetri ed un calore familiare mi coccolava.

Ultima pagina, finito.

Era “Chiedo scusa” di Frisko.

Il mio libro

È successa una cosa speciale, unica: giorni fa, in aereo, arrivando qui a Malta, ho ripreso in mano il libro che sto scrivendo. Ho aperto i file, ho ricominciato a lavorarci.

Forse non lo sapete – quelli che mi seguono con attenzione invece sì – che da un anno e più sto scrivendo un libro. Da tempo ci provo. Ma ho come un ostacolo dentro che non mi fa andare avanti, quasi la paura di mostrare quello che scrivo e vederlo stampato, di aver paura che nessuno lo legga.

Sono uno stupido, vero, ma posso dirlo? Sono classiche seghe mentali di chi scrive come me. Solo loro possono capirlo.

Di solito non riesco mai nemmeno a rileggere le mie storie o i miei articoli, come se mi vergognassi e le lasciassi al mondo senza possibilità di rimetterci mano. Le abbandono così, incurante che magari possano essere corrette e unite in un sottile filo d’Arianna che le faccia diventare qualcosa di più che stati di facebook o pagine di un blog.

Ma qualcosa si è mosso…