Nessuno nasce preparato alla gestione comunicativa di una crisi, men che meno per un’emergenza di questo genere.
Le Istituzioni, come ho sempre affermato, sono da anni indietro sul lato comunicazione e ora sono state obbligate – con la sensazione di proprio non volerlo fare, tipo quando ti invitano a una festa e tu fino all’ultimo non vuoi uscire e se ci vai tieni il muso – a dover colmare gap epocali ed errori, facendo fronte a uno scenario nuovo.
E’ stata la prima emergenza importante ai tempi della disintermediazione generata da fonti di informazione secondarie, in particolare i social e le applicazioni messaggistica personale, che oramai vengono utilizzati dalla larga parte della popolazione.
“La comunicazione, e mica sarà un’urgenza!”, quante volte abbiamo sentito questa frase nel nostro piccolo mondo lavorativo?
“Perchè investire in comunicazione, me la faccio da me!”, e questa?
Molti operatori politici e istituzionali hanno pensato che si potesse ragionare ancora con gli schemi di decenni fa: comunicati stampa, articoli preconfezionati, interviste tv, magari anche i segnali di fumo. Sui social, tanto “ci sono i ragazzini e gli incazzati”. O i webeti.
Invece no, il mondo è cambiato. Da troppo tempo. E la comunicazione è un aspetto delicato, fondamentale, che fa la differenza. Non è un gioco da ragazzi o un passatempo.
In tutto il periodo in cui le istituzioni hanno dovuto capire che i social fossero importanti e si son dovuti riorganizzare con soluzioni d’emergenza – homemade tipo quando non sai cucinare e devono arrivare gli ospiti e allora scongeli la pizza – i cittadini si son trovati nel caos.
Caos dovuto all’infodemia da una parte (lo scenario nazionale e il mondo dell’informazione) e la povertà di informazioni dall’altra (le istituzioni in Sardegna). Risultato? Paura e incertezza e ricerca di informazioni in ogni dove, alimentando dubbi e fake news.
Pagine facebook organizzate last minute, siti improponibili, video creati senza preparazione, parole nell’aria senza un minimo di attenzione alle formule e ai toni: anche semplici strumenti comunicativi sono stati utilizzati perché “si doveva” non tanto perché se ne conoscesse il valore e il fine.
E così sono andati avanti toni sensazionalistici, dichiarazioni, appelli, urla, parole d’ordine che sembrano più da campagna elettorale o da chiamata alle armi che da comunicazione in crisi.
L’assenza di obiettivi chiari e di un piano comunicativo, di persone che coordinassero e filtrassero gli umori o ordinassero dati e informazioni ha fatto il resto, generando confusione e disordine, lasciando scorrere come un fiume in piena l’onda emotiva.
Alla fine, quello che trapela oggi è solo caos, umore, rumori di fondo, parole contraddittorie e improvvisazione.
Eppure si poteva e si doveva fare altro: meno allarme, meno emotività, più coordinamento, semplicità, chiarezza e puntualità.
Far sentire le istituzioni vicine, raccontare le opportunità, valorizzare le buone pratiche. Trasmettere fiducia e sicurezza, delineare i percorsi, non solo alimentare paura e sfiducia a un’opinione pubblica fatta di UOMINI e non solo di deficienti. Che stanno vivendo una situazione mai nemmeno immaginata.
E non sarebbe stato male nemmeno un sito per coordinare e gestire le informazioni, una sorta di piattaforma digitare in cui convogliare notizie, dichiarazioni, dati, ma anche testimonianze positive.
Tutto questo, purtroppo non è stato fatto ed oggi si può solo restar fermi all’ennesima diatriba politica, se sei di destra o se sei di sinistra, bravi clap clap, impallinare chi prova a ragionare nel caos e offrire le sue idee, tacciandolo di intelligenza col nemico (il virus) e di poco rispetto per le vittime e per chi lavora negli ospedali. Formula talmente vecchia che nemmeno chi la dice ci crede.