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Le scale dello Stadio Sant'Elia

La prima è andata, con tanta emozione.
Chissà se ne seguiranno altre, ma va bene.
Certo, la vita è strana e a volte ti regala soddisfazioni inattese come quella di fare lo speaker in uno stadio, davanti a tante migliaia di spettatori, in una gara di caratura nazionale (c’era Cagliari-Catania). Soddisfazioni che ripagano tanto lavoro a dispetto di chi ha smesso di credere in te.

Ma è strana perché ti fa tornare in un posto quando meno te lo aspetti, un posto che pensavi aver perduto, come lo stadio e con la squadra della tua città. L’emozione più grande, prima ancora di leggere le formazioni, stando attento a nomi e numeri, è stata salire gli scalini del secondo anello e tornare indietro nel tempo, ricordarmi quante volte ho fatto quelle stesse scale con mio padre, dalla prima volta, un Cagliari-Inter del lontano ’81/82. Altri tempi, altri mondi, domeniche allo stadio, quante. E guai a non andarci. L’infanzia.
Poi ci fu il tempo della curva, delle trasferte, di un amore tradito.

“Gli amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano”, cantava Venditti.

Ecco, questa serata speciale la dedico a mio padre, a tutto il tempo passato, quel che mi ha dato e forse solo oggi l’ho capito. Perché si è quel che si è grazie anche a chi pazientemente ti è stato vicino.

Da lassù sarà certamente sarà felice di sapere che suo figlio ha risalito quelle scale, ha raggiunto un piccolo sogno, anche se dovesse durare solo questa notte.

E grazie ancora al Cagliari calcio e a radio Sintony.

Ps: il Cagliari ha vinto!

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Le scale dello Stadio Sant’Elia

La prima é andata, con tanta emozione.
Chissà se ne seguiranno ma va bene.
Certo, la vita è strana e quando te lo aspetti ti regala soddisfazioni inattese come quella di fare lo speaker in uno stadio, davanti a tante migliaia di spettatori, in una gara di caratura nazionale (c’era Cagliari-Catania). Soddisfazioni che ripagano tanto lavoro a dispetto di chi ha smesso di credere in te.

Ma è strana perchè ti fa tornare in un posto quando meno te lo aspetti, un posto che pensavi aver perduto, come lo stadio e con la squadra della tua città. L’emozione più grande, prima ancora di leggere le formazioni stando attento a nomi e numeri, è stata salire gli scalini del secondo anello e tornare indietro nel tempo, ricordarmi quante volte ho fatto quelle stesse scale con mio padre, dalla prima volta, un cagliari-inter del lontano ’81/82. Altri tempi, altri mondi, domeniche allo stadio, quante. E guai a non andarci. L’infanzia.
Poi ci fu il tempo della curva, delle trasferte, di un amore tradito.

“Gli amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano”, cantava Venditti.

Ecco, questa serata speciale la dedico a mio padre, a tutto il tempo passato, quel che mi ha dato e forse solo oggi l’ho capito. Perchè si è quel che si è grazie anche a chi pazientemente ti è stato vicino.

Da lassù sarà certamente sarà felice di sapere che suo figlio ha risalito quelle scale, ha raggiunto un piccolo sogno, anche se dovesse durare solo questa notte.

E grazie ancora al Cagliari calcio e a radio Sintony.

Ps il cagliari ha vinto!

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Lettera d'estate alla mia città

Cara Cagliari,
ogni volta ti riabbraccio dopo un viaggio e, lo ammetto, mi piaci, ti adoro, i tuoi colori, i tuoi angoli, i suoi tramonti, il tuo clima, la tua dimensione, i tuoi profumi, i tuoi panni stesi, i colori del cielo.
Lo dico sempre, anche se oramai la mia città è qualsiasi posto al mondo dove sto bene, potrebbe essere anche quello insignificante che nessuno capirebbe: non ho più una mia città, non sono cagliaritano, sono qualcos’altro. Chiamatemi traditore, ma è così.

Cagliari madre e matrigna, fidanzata e amante, sposa e puttana, ti amo e ti odio.
Dopo un po’ mi annoi sempre, mi rompo e parto. Oramai sei un porto, una pista di decollo, una stazione autostradale, una tappa della vita.
Ho bisogno, come fosse una droga, di lasciarti per amarti di più, di scoprire il piacere di tornare e poi partire. Di vedere cose nuove, respirare aria, e non annoiarmi nei tuoi tavoli privè e nelle tue invidie.
Detesto i tuoi modi, la tua provincialità e ignoranza, il tuo crederti figa quando sei alla periferia del mondo: sembri una di quelle amiche un po’ così che per far colpo alle feste di compleanno si trassavano di brutto, effetto macchietta. Mignottelle in affitto. Fossero rimaste semplici, con un filo di trucco e un abitino normale, avrebbero cuccato più di certe troie.
Invece no, tu ti vuoi sempre far vedere, essere al centro, parlare, sparlare e far parlare. Hai l’ossessione, non riesci a star zitta e ferma. E tanti ti imitano. I tuoi figli peggiori e arroganti, qualche soldino in tasca e voglia d’apparire.

Fai la toga agli apericena ma poi torni a casa a piedi perché hai finito la benzina. Non hai soldi ma ti vesti bene, lasci stecche in giro, prendi a calci i tuoi figli migliori costretti a fuggire per trovar la propria dimensione, ami e poi tradisci, la dai a tutti e ti lamenti dei tuoi amanti e se non c’è nessuno che vuol far famiglia con te.
Ecco, sei un grande castello di sabbia, bellissimo e ammirevole finché non arriva il vento o l’onda del mare. Sei un quadro a cui manca la cornice, un’occasione perduta, un amore talmente bello che non è mai nato.
Il vento e il mare arrivano sempre e cancellano tutto.
E poi amare presuppone anche questo: la distanza e la delusione. Allontanarsi e pensare a quante cose potresti fare se solo fossi meno toga e più reale.

Invece no, non ci riesci proprio. È il tuo peccato originale.

Lettera d’estate alla mia città

Cara Cagliari,
Ogni volta ti riabbraccio dopo un viaggio e, lo ammetto, mi piaci, ti adoro, i tuoi colori, i tuoi angoli, i suoi tramonti, il tuo clima, la tua dimensione, i tuoi profumi, i tuoi panni stesi, i colori del cielo.
Lo dico sempre, anche se oramai la mia città è qualsiasi posto al mondo dove sto bene, potesse essere anche quello insignificante che nessuno capirebbe: non ho più una mia città, non sono cagliaritano, sono qualcos’altro. Chiamatemi traditore, ma è così.
Cagliari madre e matrigna, fidanzata e amante, sposa e puttana, ti amo e ti odio.
Dopo un po’ mi annoi sempre, mi rompo e parto. Oramai sei un porto, una pista di decollo, una stazione autostradale, una tappa della vita.
Ho bisogno, come fosse una droga, di lasciarti per amarti di più, di scoprire il piacere di tornare e poi partire. Di vedere cose nuove, respirare aria, e non annoiarmi nei tuoi tavoli privè e nelle tue invidie.
Detesto i tuoi modi, la tua provincialità e ignoranza, il tuo crederti figa quando sei alla periferia del mondo: sembri una di quelle amiche un po’ così che per far colpo alle feste di compleanno si trassavano di brutto, effetto macchietta. Mignottelle in affitto. Fossero rimaste semplici, con un filo di trucco e un abitino normale, avrebbero cuccato più di certe troie.
Invece no, tu ti vuoi sempre far vedere, essere al centro, parlare, sparlare e far parlare. Hai l’ossessione, non riesci a star zitta e ferma. E tanti ti imitano. I tuoi figli peggiori e arroganti, qualche soldino in tasca e voglia d’apparire.
Fai la toga agli apericena ma poi torni a casa a piedi perchè hai finito la benzina. Non hai soldi ma ti vesti bene, lasci stecche in giro, prendi a calci i tuoi figli migliori costretti a fuggire per trovar la propria dimensione, ami e poi tradisci, la dai a tutti e ti lamenti dei tuoi amanti e se non c’è nessuno che vuol far famiglia con te.
Ecco, sei un grande castello di sabbia, bellissimo e ammirevole finchè non arriva il vento o l’onda del mare. Sei un quadro a cui manca la cornice, un’occasione perduta, un amore talmente bello che non è mai nato.
Il vento e il mare arrivano sempre e cancellano tutto.
E poi amare presuppone anche questo: la distanza e la delusione. Allontanarsi e pensare a quante cose potresti fare se solo fossi meno toga e più reale.
Invece no, non ci riesci proprio. E’ il tuo peccato originale.

O è Natale tutti i giorni…

Adoro le vie del centro. Mi fanno sentire una città ben diversa da queste violentate periferie ricche di piazze malandate e palazzi senz’anima.

Ieri ho visto una bella Cagliari camminare, ho visto mercatini in piazza con oggetti artigianali, ho visto gente abbracciarsi, baciarsi, coprirsi, sorridere e parlare. Luci e fumi. Caffè e cioccolate. Ho visto angoli magici aprirsi davanti ai miei occhi.
È vero che la crisi incombe, ma basta poco per trovare la felicità.

Eppure mio Natale è differente: me ne sto a dieta e divento più cattivo che mai.

Quelli che ti chiedono che fai a Natale/Capodanno andrebbero fulminati o uccisi. Ma che vi frega scusate? Aumenta così l’ansia da organizzazione, da dover fare, da dover raccontare. E se tutto finisse e si potesse fare un salto fino al 7 gennaio? Ci eviteremmo tanti problemi.

A Natale siamo più buoni dicono: prova a prendere la macchina e girare per chiagliari. Prova a entrare in un centro commerciale. File di assatanati alla ricerca del posteggio, del regalo, saltano la fila alle casse, cercando sempre di arrivare prima. 

Quello che ci aspetta per Natale/Capodanno (frasi e gesti)

1) e se non ci vediamo ti faccio già tanti e tanti auguri
2) dai, ma a a Natale siamo tutti più buoni
3) a Natale in viale Europa
4) gli auguri? Te li faccio domani, tanto ci vediamo (ps tanto non è vero)
5) sole e mare anche a Natale: questa è chiagliari (con foto Poetto)
6) foto piatti e tavole
7) foto regali
8) cattocapitalisti devoti che vanno in chiesa e a Natale ci mangiano e comprano l’anima
9) ci vediamo l’anno prossimo (da dire il 30/31 per esser spiritosi)
10) regala e metti mutande rosse
11) tontazze in giro con le corna
12) foto caminetti e girarrosti
13) sms: prima che le linee si intasino…
14) sms natalizio con solita storiella hard di Babbo Natale e la Befana
15) i tag nelle cartoline di Natale di gente che non conosci
16) Non è più lo stesso Natale di una volta
Ma attenzione. Non ci sarà solo questo. Come tradizione arriveranno i curiosi e creativi menu di capodanno tra fantasie, cestini, sformatini, timballini, zuppette, cruditè, vin brulè, tagazzu è.
Però, dai, al di là di tutto e tutti….Auguri anche a voi!

Per le strade di San Michele

Una domenica come tante, dopo un sabato movimentato.
Mi concedo un po’ di relax. Risveglio, accendo facebook, scrivo qualcosa, controllo la posta e poi esco a fare colazione. L’immancabile automobilista con l’impianto a tutto volume che spara reggaeton è un classico.
Doccia e mi alzo. Obiettivo, dicevo, colazione. Perché non farla in casa? Perché questa tradizione ti obbliga a uscire e quindi ha evitare di fare i bradipi tra le proprie quatto mura. La domenica il rischio è forte. Ti obbliga a prendere la bici e a raccontare una passeggiata tra le rovine e le miserie di San Michele, alla ricerca del primo bar (possibilmente malfamato o comunque non di classe) disponibile.

Attraversi il quartiere con una tranquillità unica e ti godi tutto il tuo tragitto in bicicletta. Le doppie file, il mercato della piazza, i motorini che impennano, il caos e gli arrotini sono rimandati a lunedì. La domenica tutto si ferma come per incanto e nell’aria c’è solo profumo di carne arrosto e pasta al forno, con annesso rumore di piatti. La gente è chiusa dentro le case, guarda la partita del Cagliari. Anche al bar, si ascolta la radiocronaca di Vittorio Sanna: qui non c’è Sky, sembra essere tornati indietro, ai tempi di Bruno Corda. Quanti pomeriggi alla radio per sentire quella voce, quel collegamento e ricordarsi a memoria gli spot: formaggi ovini sardi, la moto ce l’hai, Mario Casula Valeri, Neon Europa.
Conquisto una delle ultime paste a disposizione. Cornetto con nutella, insieme a cappuccino e mezza naturale. Classico. La barista cerca di disegnare un qualcosa con il caffè. Apprezzo il gesto. Gli avventori hanno tutti una birra in mano: a quest’ora per me sarebbe impossibile solo concepirla. Eppure ricordo quando nelle gloriose trasferte sconvolts sulle sporche navi Tirrenia, tra posti ponte e traversate infinite, sporchi dalla notte prima, si faceva colazione con la bionda sardegna.

Consumo e vado via, tempo di vedere che tutta l’attenzione pende sempre e solo sulle parole del commentatore di radiolina, il bravo Vittorio Sanna, che documenta con dovizia di particolari le gesta dei rossoblù.
La mia bici è legata al palo. Un tipo, all’uscita, birra in mano, mi dice che non c’era bisogno di legarla. Io sorrido e attacco bottone: “me ne hanno rubata una tempo fa”. Lui fa i complimenti per la mia due ruote, io minimizzo dicendo che era in offerta a città mercato, nulla di speciale. Qualche minuto di battute sulla crisi, sui tempi, e riprendo il mio cammino. Nei nostri quartieri chiacchierare è un attimo: c’è sempre un argomento a disposizione.

Slego e parto. Il senso civico a San Michele è un’espressione…. senza senso: cacche nei marciapiedi e rifiuti random. Passo a prendere il pollo in via Mandrolisai. Entro nella rosticceria e chiedo uno di quelli in vetrina. Mi servono subito. Ascolto un padre che analizza minuziosamente la gara del figlio, credo sia un giocatore del Cagliari2000 che disputa le sue partite. “hai fatto un gesto inconsulto” afferro solo questa frase. La prestazione forse non è stata all’altezza e i genitori, si sa, sono dei mister aggiunti.

Tempo perfetto, nuvoloso ma clima gradevole. La domenica, giorno di riposo, riassestamento e riorganizzazione. Devo finire il mio ultimo mix (chiamatelo cd, megamix, invernixi, compilation) per poi metterlo a disposizione di chi abbia piacere di scaricarlo e ascoltare la mia musica. Ho voglia di fare mille cose, ma ne faccio sempre un dieci per cento.

Almeno a scrivere ci riesco. Così non dite che non vi penso mai e che non scrivo mai nulla.

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Flash mob in piazza del Carmine

Piccole storie di giovani che mImmagineovimentano la città come quella di Marco e Chiara, neodiplomati, fuori dal giro (strano ma vero) di disco e locali in della città,  che prima di partire a studiare “in continente” (come diciamo noi) hanno organizzato un gran bel flash-mob stasera in piazza del Carmine sulle note del tormentone pop Gangnam style.

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Tra Bruxelles e Amsterdam

Non ricordo da quanto tempo non andavo più in disco da cliente, dal viaggio a Barcellona in primavera ma in realtà, se guardo alle mie parti, almeno dal 2000, da quando ho cominciato a bazzicare nei locali non più da semplice cliente ma da cronista, poi direttore di week e poi da dj.

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