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Due giorni ad Alghero, tra ricordi e futuro

“Voglio andare ad Alghero in compagnia di uno straniero” cantava Giuni Russo, la bella voce della musica leggera italiana, purtroppo scomparsa, che nella cittadina catalana aveva posato le sue radici.
Quanto erano belli quei tempi per noi nati a metà anni Settanta?
Ricordi da cassettina musicale, da estati che iniziavano a giugno e finivano a settembre, musica nei radioni, stabilimenti balneari e abbronzature infinite.
Per i sardi l’estate era solo il mare, senza eccezioni. Ed il mare, quello vero, era solo Sardegna.
Alghero, anni ottanta. Fotografia Kodak. La gioia, la spensieratezza del tempo del pentapartito e dell’Italia socialista e democristiana ricca e gaudente, del contraltare della Costa Smeralda. Alghero meno patinata e più popolare, ma pur sempre uno dei (pochi) avamposti sardi del turismo organizzato.
Alghero è stata anche i primi capodanni importanti di fine millennio, i concertoni e i fuochi d’artificio, Ryanair, e gli irlandesi. Le discoteche celebri che resistevano alla crisi tenendo il baricentro sulla musica house e le Pasque dei cagliaritani in trasferta.
E’ la Cagliari che ce l’ha fatta, e nessuno dei miei concittadini si offenda. Un viaggiatore avverte che è una città realmente turistica, pur con le tante remore a sfruttare tutte le potenzialità di un territorio bellissimo, non solo nella sua delimitazione urbana.
Alghero d’inverno è ora una cartolina sbiadita, ma pur sempre speciale di quella dolce vita mediterranea. Bisogna camminare spensierati aspettando la primavera, magari provando a ricordare i fasti del passato, perdersi tra vecchie insegne, hotel dal sapore riccionesco e stabilimenti in ricostruzione.
Nel centro storico stradine illuminate con negozi deliziosi, lampade sospese, cartelli in catalano solleticano la fantasia. Ci sono le influenze e i profumi di una storia lunghissima tra fasti e carestie dal XII secolo sino ai giorni nostri.
Tutto è ordinato, gioioso, festaiolo, anche se purtroppo c’è poca gente. Ma all’aperitivo serale giovani e meno trovano un posto per sorseggiare un drink e chiacchierare vicino alla Torre di Sulis.
Orange bar, drink, music and fashion, propone la musica reggaeton e trap. Clienti giovani, scelta in target. Il Ristorante il Pavone nasconde un’insegna di altri tempi.
I tavolini sono allineati nelle piazze, protetti da coperture frangivento. Nei ristorantini si offrono menù gustosi tra terra e mare, arricchiti da vini sontuosi come il Torbato, Sauvignon, Chardonnay e Vermentino tra i bianchi, il Sangiovese, il Cabernet Sauvignon, il Cabernet Franc e il Cagnulari tra i rossi. Nei tavoli si nascondono stranieri residuali, algheresi doc e viandanti come me in cerca di nuove sensazioni o ritorni al futuro.
Il mare dell’ovest Sardegna è la certezza, il tramonto uno spettacolo da godersi senza dover pagare nulla, “il sole che resta più a lungo” una frase azzeccata che accompagna il cartello d’ingresso alla città. È il raggio che si poggia fino a tardi su chiese, torri e costruzioni, voci del tempo che raccontano tradizioni, costumi di ogni epoca.
Il lungomare principale è un salto immediato a Barcellona: inizia dal porto storico, sotto le mura e termina al confine con Fertilia. L’idea, mi racconta l’amico Fausto Farinelli, è di farlo proseguire ancora. Ci sono tante opere incompiute e Alghero può dare ancora di più. Forse il sole, la bellezza del suo profilo, il mare che incombe e durante la sera diventa una voce in sottofondo, sussurra la necessità di rilassarsi e di non andare oltre. Non sprecarsi per creare una nuova città del futuro. Accontentarsi.
Mi fermo per far colazione sempre davanti alla spiaggia, tra il Kelu Lounge Bar e il Mar de la Plata, due bellissimi chioschi distanti un chilometro. Incontro un amico, Gianmarco. Mi racconta del suo amore per questa città. Ora lavora in un ristorante con cucina americana e ha trovato il suo equilibrio. Germania, Francia, e poi ancora Sardegna. “Voglio mettere radici qui” e fare questa scelta oggi è coraggiosa.
Beviamo un caffè a due passi dal mare, gioia degli occhi e della pelle solleticata dal vento. Poi lo saluto, una call di lavoro e sono impegnato per un po’. Mi chiedono da Milano da dove mi stia collegando. Mostro lo scenario attorno. C’è un po’ di benevola invidia.
Per pranzo vado al Lido che ha ancora una vecchia insegna e ti abbraccia tra l’azzurro delle pitture e quello del mare luccicante di metà giornata.
Il cameriere, simpatico e con tono di sfida, chiede subito “allora, terra o mare?” e poi racconta i gustosi piatti che la cucina propone. Deliziarsi con uno spaghetto e lo scenario della spiaggia è una altro spettacolo. C’è molto vento, stiamo dentro. La sala è grande e da una vetrata osservi il lungomare.
Ci serve una cameriera dagli occhi a mandorla gentili, protetti da occhiali con montatura dorata. Incrociamo per caso il signor Beltramo. E’ il gestore della struttura, in divisa da lavoro. Saluto Fausto che intanto va via. Il signor Beltramo mi invita un caffè e mi racconta di tutti i progetti, la sua storia, i ricordi cagliaritani. Mi presenta il personale e il figlio che lo sta aiutando nei lavori di ristrutturazione, con un invito “torna da queste parti, sei nostro ospite!”.
Mi metto le scarpette, devo provare Alghero da runner. Correre qui significa trovare un senso alla fatica. Gli occhi si rigenerano e puoi vedere cambiare lo scenario, tra lungomare, porto, bastioni e poi cala Bona, una insenatura protetta dove mi fanno compagnìa una famigliola che prova a entrare in acqua. Quando il sole cade sul mare il freddo comincia a farsi sentire. Alzo la zip della felpa ma capisco che serva a poco.
Sera.
Nei lungomari si accendono i lampioni, le città assumono un’altra veste, delicata, malinconica, tra una canzone di Carboni che “vedeva accendere stelle ad una a una” e di Jovanotti che resta disorientato facendo i conti col passato, sempre in un lungomare.
Alessandro, un caro amico che fa l’autotrasportatore ma lo vedrei bene come mio agente personale da DJ, mi porta sempre a scoprire ristorantini interessanti.
“Fermati o torno a Cagliari con dieci chili in più” ma lui, indomito, consiglia posti e propone con una recensione accurata. La Saletta e poi l’Aragon. Poi una pizza al Miramare. Anche lui è diventato algherese.
Alghero è sarda e italiana, un po’ tutto e un po’ niente, ma non solo, come si può immaginare facilmente leggendo i nomi delle strade, in doppia lingua e assaggiando la regina delle ricette locali, l’aragosta alla catalana. Enclave vera e propria del regno iberico, tutto ad Alghero rimanda a Barcellona. Ed essendo Barcellona una mia seconda casa, anche Alghero oramai sta diventando un luogo dell’anima.

Barcellona, un’altra possibilità

“Quando si dorme all’aperto ci si sveglia sempre all’alba, e non c’è un caffè a Barcellona che si apra molto prima delle nove.”

(George Orwell)

Qualcuno mi chiede perchè io sia spesso a Barcellona. E’ possibile amare una città fino all’anima? E’ possibile avere un rapporto speciale con un luogo?

Molti credono che l’amore passi sempre e solo per le persone. Io rispondo: anche. Poi ci sono le mille cose che ti rendono felice nella vita e tra queste ci sono i luoghi dove sei stato bene.

Molti intrecci miei personali finiscono a Barcellona. Il mio primo viaggio scolastico, nel 1985. Il calcio. La canzone degli Zero Assoluto. Il mix perfetto tra la velocità metropoli e l’anima del vicinato. L’allegria. La musica. La politica. Le fughe alla ricerca di me stesso. Le notti infinite nelle discoteche del Porto Olimpico.

Eppure Barcellona non mi piaceva. Io amo la Spagna. L’ho vista, girata, assaporata. Con lo zaino e i bus dell’Alsa. Camminando verso Santiago. E la Spagna non è Barcellona. Ma un giorno questa idea è cambiata, quando ho capito che questa città fosse una dimensione perfetta per quello che cercavo. Allora ho deciso: amerò senza distinzioni l’una e l’altra.

Barcellona ti ruba con la sua meraviglia, quando le prime luci dell’alba rischiarano le strade silenziose, mentre la gente torna a casa dalla festa e gli addetti del comune lavano le strade lercie ridando nuova freschezza. Quando la sera si accendono le luci e ti perdi solitario nelle viuzze del Barrio Gotico, del Raval o di Gracia alla ricerca di un posto dove mangiare.

Ti ruba con quella sensazione di libertà e leggerezza che si trasforma in voci e musica per le strade, piazzette che si aprono d’incanto dove incrociare giovani e anziani,  baretti nascosti e librerie, bandiere indipendentiste che spuntano nei balconcini che osservano e benedicono i bambini che giocano a pallone sulle strade con le maglie di Messi.

Il Barrio gotico, decadente e suggestivo, ti regala sempre a qualche angolo nascosto in cui puoi perderti e con l’istinto trovare una chiesa, Santa Maria del Mar, la più bella tra le chiese.
Ti ruba il Raval, dove sono stato spesso per via della mia “casa”, un quartiere multietnico e un tempo covo di intellettuali e artisti, oggi pieno di strani personaggi, non sempre raccomandabili, mignotte e migranti.

Ti ruba l’anima quando fuggi delle inflazionate Ramblas e ti vedi aprire il Port Vell e la grande passeggiata fino a Barceloneta, altro mondo incantato da scoprire fino all’alba quando è d’obbligo bere un mojito in uno dei tanti Chiringuiti e osservare da lontano il profilo dell’Hotel Vel, uno dei simboli della rinascita.

Barcellona è stata questi anni la mia America, i miei weekend, i miei eventi, il Sonar, il Brunch, il BBF, le mille scoperte. Perchè quando smetti di fare il turista e diventi una via di mezzo tra viaggiatore e abitante cominci a vederla nel suoi particolari intimi. Il mercato di Santa Caterina, Gracia e i suoi ristoranti o lo skyline della città dal Bunker del Carmel.

Un giorno, salendo in questa altura spesso sottovalutata da tanti, iniziai a ripensare a tutte le cose fatte in questa città e a quelle che avrei voluto fare.Tuttavia, tutte le esperienze e le emozioni, positive e negative che questa città mi hanno trasmesso, hanno comunque creato in me un sentimento e una voglia di tornarci sempre.

Magari, un giorno, ci concederemo una possibilità. Reale e non più fuggente.

Il mio nido a Barcellona

Quando cominci a mettere radici in più città prima di tutto devi immergerti nel posto tagliando le usanze del turista, trovarti una casetta che ti ospiti, un piccolo punto di riferimento. E non puoi che averlo nel rumoroso e variegato quartiere del Raval, a due passi dal mare e dalla Rambla, dove davvero trovi ogni espressione umana e puoi curiosare tra voci, odori e sguardi. Non guardate il disordine della camera, ieri sono arrivato qui all’una di notte e son volato all’Opium dopo aver poggiato la borsa. Ecco, questo è il mio nido a Barcellona 😉

La Rambla, dopo il sangue

Volevo condividere con voi questa piccola emozione.
Questa è la Rambla e proprio qui qualche mese fa c’è stato un gravissimo attentato che ha ferito Barcellona e la sua anima. Non mortalmente perché la vita riprende.
È bello riabbracciare Barcellona, specie dopo quello che è successo.
Un pensiero alle vittime, anche oggi

Viaggi e attentati terroristici (dopo la Rambla a Barcellona)

Ero a Copenaghen, ora sono tornato a Milano, probabilmente tra qualche weekend tornerò a Barcellona. Tre luoghi a rischio sicuramente più della spiaggia del Poetto.

Non cambio lo stile di vita a causa dei terroristi e di quel che è successo ben sapendo che con i viaggi e con la vita a Milano ho più possibilità di incrociare un attentato.

Questa guerra, attacco, furia, pazzia, è random e stare a casa sarebbe comunque impossibile. Non sai chi sono, chi colpiscono e quando, anche perché, mia riflessione, sono singoli e senza una regia, pazzi ed emulatori. Ci odiano, odiano il mondo occidentale, questo mi pare di averlo capito. Covano rabbia e rancore, si sono fatti ammaestrare bene. Non aiutano i media che mettono confusione nelle parole e nei racconti. Non devono fare drammaturgia buona per le massa ma scrivere SOLO quello che sanno. Questo non fanno. Furbi e sapienti. Con i sentimenti e il fluire delle notizie continue la gente normale che non ha strumenti di analisi e osservazione ma si limita a leggere titoli va in confusione e paura.

L’Isis si sta disfacendo, esplodendo, non ha più la forza propulsiva del passato, lasciando in giro schegge impazzite e guerriglieri di ritorno, assetati di vendetta. Cosa si dovrebbe fare? Cosa dovrei fare? Lo dico a chi sa tutto e ha già detto attacchiamoli, cacciamoli: io non ho soluzioni se non continuare a guardare e vivere.

Barra dritta: i musulmani nella loro generalità e religione con questi fatti non c’entrano e nemmeno i migranti (ma sia chiaro, la gestione dell’immigrazione è fuori controllo). Resto dell’idea che sono pazzi che usano la religione come scusa e spesso sono perfettamente inseriti nelle società di appartenenza. Che l’Isis si appropri dei gesti non vuol dire nulla. Rivendicazione postuma. Marketing. Questo significa che è molto difficile comprendere e sapere quando e dove. Sono stati nella multietnica Francia e son volati nell’accogliente Barcellona. Significa che poco frega dell’accoglienza.

Analizziamo i fatti per quello che sono, questo significa evitare di farsi prendere dalla paura ma almeno unire qualche tassello e provare a darsi risposte. Poche, ma utili.

Se avete soluzioni intelligenti, proponete.

Barcellona

Anche la mia Barcellona oggi è stata colpita e offesa al cuore.

Un luogo che ha un senso particolare per me e molti di voi. La mia seconda casa, il mio porto sicuro, la mia notte infinita

City of Dreams, come cantava Dirth south e poi remixava Alesso.

Ho percorso mille volte la Rambla a qualsiasi ora. Ricordo bene ogni angolo.

Non è un caso che la mia foto di profilo sia proprio là, al termine di una delle mie sudate in platja de Barceloneta.

Penso alle strane coincidenze: non sarei dovuto andarci a questo “giro”, eppure è il mio primo giorno di viaggio. Come quando Parigi fu attaccata e io stavo a Bruxelles. Il terrore coincide sempre in qualche modo.

Non so quanti siano i morti ma la ferità è aperta, e il dolore scorre come sangue.

Hanno colpito quella città Barcellona, per intenderci, accogliente e aperta con tutti. La nostra seconda casa.

Non penso ci sia tanto da fare contro questi pazzi che solo strumentalmente usano la parola di un Dio.

Dio non esiste per questi criminali. Esiste solo ribrezzo umano e spirituale.

Consigli di viaggio

Ricevo spesso mail e messaggi di amici che mi chiedono qualcosa su Barcellona. Faccio un post per darvi qualche consiglio veloce su come organizzo i viaggi, premetto che sono un abitudinario (se avete altre domande, scrivete pure qui):

– prenoto con molto anticipo il volo usando skyscanner per veder costi e disponibilità (nei weekend e in alta stagione si spende ovviamente di più)

– alloggio: preferisco di gran lunga contatti personali, airbnb e camere in affitto stando su un budget che mi permette di fare più viaggi anzichè uno dispendioso. In secondo luogo guardo su booking. In base a costi e disponibilità, scelgo un alloggio diverso.

Per filosofia nessun albergo, lo vedo molto asettico, e molta immersione tra la gente.

– ancora sull’alloggio: ho sempre soggiornato nelle zone antistanti mare e porto (Raval, barrio gotio, Born, Barceloneta) dove mi godo la città e mi sento bene in qualsiasi ora. Evito la Rambla

– dove mangiare? anche questo è molto soggettivo. Non frequento sempre gli stessi locali, dipende anche qui dal mood e da dove mi trovo in quel momento (evito a pelle i ristoranti con i piatti fotografati e quelli troppo pettinati)

– sul web cerco gli eventi della settimana, ma senza stress: c’è tantissimo per tutti i gusti

– non male una gita fuoriporta (Tarragona?)

– porto con me sempre un completo da corsa: correre al tramonto in spiaggia e poi bere un mojito in un chiringuito è una delle esperienze più belle di Barcellona

– biglietto bus/metro da 10 corse che poi riutilizzo a ogni rientro.

Altre domande? 🙂

Dance dance dance (Barcelona Beach Festival)

quando Axwell e Ingrosso hanno mixato Don’t you worry child con If I lose myself al Barcelona Beach festival lo ammetto, ho pianto. Mi son scese le lacrime e ho pensato a quante volte la musica ci ha salvato la vita. Quanti sabato abbiamo trovato risposte in una pista, abbandonandoci semplicemente al suono e dimenticNdo ogni pensiero.

Sarà pure di moda il reggaeton e la trap, la house da aperitivo pettinato e birretta e tutto il circo che ha generato (massimo rispetto, ci mancherebbe) ma la DANCE, quella che ci ha fatto vivere innamorare piangere che ha fatto la storia, che ha raccontato generazioni tra Charlie, Open Gate, Hangar, Cube, Eurogarden, Fortesa, Spazio Newton, Aquilone, Lido e tanti altri posti non morirà mai ❤️

Arrosti e ricordi

Il profumo di arrosti a Barceloneta mi ha fatto pensare quando, da piccolo, andavo nelle feste di paese in Sardegna. Che emozione quando suonava l'orchestra e la batteria rimbombava nel petto, che emozione quelle luci colorate e gli strumenti che se stavi attento potevi riconoscerne il suono, il giro immancabile nella giostra e le vertigini, il torrone di Tonara, poi la polvere dei parcheggi, le baracche piene di gente felice, le cassette di Benito Urgu (e non ascoltare certe barzellette piene di fueddu malusu!), i gabilli del paese con le canzoni di Vasco e le uno iniezione elettronica, la paura dei botti dei fuochi d'artificio e la stanchezza che ti prendeva a metà serata. Poi i ritorni dormendo in macchina nei sedili di dietro che ti svegliavi e come per magia vedevi le luci della città
Ricordi di una bella Sardegna.

Airbnb a Barcellona, i miei nidi!

Airbnb qui Barcellona è praticamente il modo con cui i ragazzi arrotondano i propri stipendi da crisi, riorganizzando le case, spesso ubicate nei quartieri storici. Escono davvero soluzioni curiose e raffazzonate tra stanze inventate, cavi volanti e secondi bagni ricavati in pochi metri quadri che farebbero rabbrividire qualsiasi purista del turismo. C’è un’idea sensibile dell’arrangiarsi senza mettersi problemi di eleganza e la casa racconta una vita vissuta, le passioni e i sogni di chi la abita: i poster dei Ramones, le sedie tutte diverse, il frigo in salone, la cucina organizzata nell’angolo.
Per 30€ a notte, un letto pulito, lenzuola e una wifi chi chiede di più?Così a questo giro sono nella casa di Barbara, che è spagnola, e convive con un ragazzo, Armando, che è di padre marocchino e madre zingara e lavora in un ristorante italiano. La sua selezione è curiosa: alterna reggaeton a pezzi acid house. Mi chiede se la musica mi dia fastidio mentre riordina casa.
Parliamo e mi spiega come sia complicato oggi mantenersi qui, quanto il lavoro sia precario e l’eldorado tanto atteso, che uno si aspetta a Barcellona, lontano.

Ah, dimenticavo, questa è la vista dal mio piso 😉