Aqui… Onde a terra se acaba e o mar começa….”
Vieni con me in un viaggio verso la fine del mondo? Dove la terra finisce e comincia il mare… Cabo da Roca. Eccomi qui, dopo quasi un’ora di viaggio da Sintra, passando per piccoli villaggi e stradine dove il tempo pare essersi fermato. Eccomi qui nel posto più occidentale del vecchio continente.

Ma prima di arrivarci cosa è successo?

Dopo una breve passeggiata di primo mattino a Lisbona, un caffè a la Brasileira mentre da vicino la statua di Pessoa mi controlla, cambio programma e mi dirigo a Cascais.
Il trenino costeggia l’oceano e in pochi minuti mi porta a destinazione, una città turistica fintovip che d’inverno ha quell’aria triste di ogni mare d’inverno: poca gente e spiagge deserte. Sono lontani i giorni delle signore ingioiellate, delle auto di lusso e delle notti brave. Cascais vi ricorda qualcosa? Vi aiuto: l’esilio degli ultimi re d’Italia e la vicenda Corona, ok?

Questo è un luogo da turismo d’elite, di quelli nei quali non andrei mai d’estate. Ristoranti, alberghi e bar sono vuoti, pochi turisti vagano in un centro fatto di stradine pedonali e case basse, vetrine alla moda e caffè esclusivi. Vado in spiaggia e non posso fare a meno di togliermi le scarpe e sentire l’oceano.

Entro un po’ in acqua ma il freddo è tanto. Mi rilasso, il vento sale. Passeggio vicino al porticciolo accompagnato dal rumore delle sartie delle barche a vela, osservando i pescatori e il loro paziente lavoro e chi decide di sfidare il mare con la sua imbarcazione, poi rientro in centro. Pranzo, controllo la posta, ed ora prendo un bus per Sintra, lasciando alle spalle l’oceano e le sue correnti. Lo ritroverò più tardi a Cabo de Roca.

Aspetto il mio pullman in un piccolo bar davanti alla stazione di Sintra. Luis non può raggiungermi. Andrò da solo. Tutto si materializza vicino a me, una coppia discute di qualcosa nel tavolo di fianco, un turista sbadiglia tenendosi il capello in testa mentre il vento non dà tregua, le nuvole scorrono veloci e in sottofondo i rumori dei treni in partenza. Consumo un caffè e due pastelas, mi immagino già il dopo, quel posto magico che sto andando a vedere. Scogliere, flutti del mare, un faro, orizzonte infinito.

Si parte!
Circa 40 minuti di viaggio e siamo a Cabo da Roca.
Anche oggi provo a trasmettervi la sensazione che vivo mentre un vento fortissimo mette a dura prova quelli come me che vogliono godersi la magia del tramonto sull’oceano, mentre il mare sbatte incessantemente sotto, mentre l’immensità dell’Atlantico quasi ti impaurisce.
Qui si pensava che finisse il mondo e chi mirava con la sua imbarcazione verso l’orizzonte (o solo lo pensava) era un pazzo e un visionario: sfidava l’ignoto, Dio e Nettuno. Ma qualcuno ci ha provato, nell’ansia umana di andare oltre, di superare, di sfidare le certezze e i luoghi comuni. Che coraggio!

Tremo mentre scrivo, non solo per il vento freddo ma anche perché ho raggiunto un altro posto dell’anima. Vorrei portarmi in giro questo brivido, vorrei che non passasse questo essere in bilico tra realtà e immaginazione.
Nuvole grigie solcano il cielo, il sole si nasconde, difficilmente vedrò il tramonto se non dai raggi che trafiggono le stesse.

Spengo tutto, mi siedo e guardo. Mi abbandono. Lascio che la magia mi prenda per un po’, dimentico il resto, il mondo, i pensieri. Sono un tutt’uno con questo posto.
Cinque e un quarto: troppo freddo, troppo vento. Promette pioggia. Vorrei entrare in una di quelle casette incastrate nella montagna, camino acceso e tè caldo. Magari restare a dormire e svegliarmi domattina con davanti l’oceano.
Entro nell’ufficio turistico, a pochi passi dal faro. Mi rilasso in un bel salottino un po’ in attesa del mio bus, il vento batte alle finestre di questo avamposto di mondo dove ho toccato per mano la felicità.

Sono le cinque e mezzo, il mio pullman sta per passare.
Da lontano due lucine sfidano la sera facendosi largo tra le strade tortuose. Insieme a me un gruppo di turisti dell’est e due giovani fotografi che viaggiano da soli. Poi ci sono dei rumorosissimi studenti in piccionaia, come diciamo noi, nella zona psteriore. Il pullman si dirige a Cascais, mi guardo un altro pezzo di costa atlantica e poi prendo il treno per Lisbona. Ultima sera, ultima notte, decido di camminare dalla stazione all’hostel. I soliti venditori di droga liquidati oramai con un sorriso e torno a casa: in stanza sono solo. Tutti gli altri sono andati via. Mi sorridono sempre tutti: gran cosa stare in un ostello.

Rimetto in carica cellulari e ipod e mi aggiudico il relax sul divano della hall, mentre trasmettono la partita del Barcellona.

Domani direzione Coimbra, altra tappa di questo bel viaggio. E comincia a sentirsi la saudade.

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