Mi sono sempre chiesto se esisterà mai una persona che alla morte dopo aver fatto qualcosa di importante nella vita (non sempre ciò che piace a noi) avrà il riconoscimento di tutti o almeno l’onore delle armi.
Si chiama onestà intellettuale: non mi piace ciò che fai, non sono dalla tua, ma ammetto che sei un grande.
Prendiamo oggi la Hack, morta a 93 anni.
Era considerata una delle astrofisiche italiane più importanti e una “madre nobile” della divulgazione scientifica in Italia. È stata la prima donna a dirigere un osservatorio astronomico in Italia e ha dato un forte contributo alla ricerca per lo studio e la classificazione spettrale di molte categorie di stelle. Hack era membro dell’Accademia dei Lincei, dell’Unione Internazionale Astronomi e della Royal Astronomical Society.
Eppure nemmeno su questa donna c’è umanità di consensi e riconoscimenti. Perché prima dei suo meriti si ricordano il carattere burbero, la poca familiarità con i salotti buoni, l’ateismo e l’impegno politico.
È prevista sempre la modalità “ti devo criticare” per appartenenza politica, religione oppure cerco il pelo nell’uovo: “sì è bravo/a peró…” figlia del giornalismo sallustiano e del modus italiano in cerca sempre del particolare che scalfisce il tutto e getta fumo negli occhi su meriti universalmente riconosciuti.
In Italia è vietato perché si è in preda a un curioso gioco: ammettere che tutti sono uguali, tutti sono ignoranti, tutti rubano alla stessa maniera. Anzi, se hai dei meriti, se ti sei fatto il mazzo per raggiungere un obiettivo, se hai elevato l’esistenza tua e della tua società, non bisogna dirlo, non bisogna sottolinearlo, rischi di apparire presuntuoso, rischi di non ricordarti “degli altri”, e poi potresti offendere la povera massa teleidiota tutta culto del corpo e moda.
Mi sono sempre chiesto se esisterà mai una persona che alla morte avendo fatto qualcosa di importante nella vita (non sempre ciò che piace a noi) avrà il riconoscimento di tutti o almeno l’onore delle armi.
Si chiama onestà intellettuale: non mi piace ciò che fai, non sono dalla tua, ma ammetto che sei un grande.
Prendiamo oggi la Hack, morta a 93 anni.
Nata a Firenze, era considerata una delle astrofisiche italiane più importanti e una “madre nobile” della divulgazione scientifica in Italia. È stata la prima donna a dirigere un osservatorio astronomico in Italia e ha dato un forte contributo alla ricerca per lo studio e la classificazione spettrale di molte categorie di stelle.
Hack era membro dell’Accademia dei Lincei, dell’Unione Internazionale Astronomi e della Royal Astronomical Society.
Eppure nemmeno su questa donna c’è umanità di consensi e riconoscimenti. Perché prima dei suo meriti si ricordano il carattere burbero, la poca familiarità con i salotti buoni e l’impegno politico.
È’ prevista sempre la modalità “ti devo criticare” per appartenenza politica, religione oppure cerco il pelo nell’uovo: “sì è bravo/a peró…” figlia del giornalismo sallustiano e del modus italiano a in cerca sempre del particolare che scalfisce il tutto e getta fumo negli occhi su meriti universalmente riconosciuti.
Vanno via figure storiche e emblematiche che ci hanno accompagnato in quest’epoca. Si vedono pochi personaggi capaci di essere all’altezza. Questo è il vero dramma.
Muore la Hack e Mandela è in fin di vita. Vanno via figure storiche e emblematiche che ci hanno accompagnato in quest’epoca e che hanno cambiato il mondo. Restano i commentatori stolti e tante altre comparse che non potendo essere all’altezza provano a sfregiare la memoria dei grandi. All’orizzonte poco o niente che possa sostituirli e anzi non provarci o ti boicottano.
Questo è il vero dramma.