Pensate a come vengono utilizzate le parole ai giorni nostri. E come certe parole vengono ripetute finché non risultano svuotate del loro significato e contenuto, diventando vuote e insignificanti.
Il mondo della disco in questo è padrone. Usa un termine fino alla sua completa dissoluzione, finché nessuno ci crede più, come un mago che ripete sempre la stessa magia, ma oramai gli spettatori hanno carpito il segreto.
C’è stato il periodo freedrink, quello revival, la parentesi lounge e buddha bar, Poi si diffuse l’ondata supalova e diabolika. Recentemente Papeete era la parola magica.
Ora tutti fanno l’aperitivo, non importa se questo sia un modo per definire (in tanti locali, bar e affini) un drink annacquato e due patatine (così si fa in molti locali a cagliari) con prezzi da furto con scasso e scortesia. Ma è moda dire che si fa l’aperitivo.
Piovono parole strategiche che nascondono quello che c’è dentro: il nulla. Gusci vuoti dove si vuol far immaginare qualcosa che non esiste. Se dici “Papeete” o “Ibiza” il cliente medio della discoteca, quello poco svezzato, intende tendenza, bella musica, animazione. Anche se di quello c’è ben poco. Eppure si usa come esca per attirare i clienti, fargli immaginare luoghi lontani e situazioni irripetibili. Come se tu mettessi un nuraghe e una pecora in Germania: non saresti comunque in Sardegna.
Poi c’è la guerra a chi scrive che è più esclusivo o cerca dei sinonimi. Termine usato e abusato fino a diventare macchietta, si associa – come significato – a un ambiente riservato a pochi, dove l’ingresso non è per tutti ma necessita di particolari requisiti, magari con invito riservato e personale. È così anche da noi? E chi scrive è più esclusivo di altri?
Ma non sono qui per far polemica. Ognuno vede e giudica.
I dj hanno fatto la loro parte con il termine house ed electro, che è il leit motiv di ogni persona (soprattutto alle prime armi) che vuol etichettarsi alternativo e magari propone un po’ di musica commerciale con influenze elettroniche o qualche decina di mp3 scaricate da emule.
Allargandoci anche al commercio c’è stato il tempo del discount (all’uscita dei supermercati), del fuori tutto e oggi si parla sempre dell’outlet, parole utilizzate per cercare di avvicinare i clienti facendogli credere che si risparmi. Molti negozi scrivono in vetrina outlet, i prezzi sono gli stessi, la qualità può essere minima, ma crea più interesse sentirsi in un outlet. Nell’immaginario si pensa a grandi marche e a importanti risparmi.
Così come le trattorie dove ti aspetti buona cucina e prezzi ridotti, ma che di ridotti hanno solo i piatti.
Poi la politica è padrona nell’usare termine: liberale, democratico, fascista, comunista, volontà sovrana, popolo. Il nostro premier ha una capacità dell’uso delle parole che tutt’oggi è oggetto di studio.
Con le parole si gioca oramai una grande sfida. Certe parole valgono più dei contenuti che esprimono. Su facebook tutti usano parole, espressioni, termini con grande sufficienza e leggerezza, senza valutare né il significato né le conseguenze. Senza che ci sia controprova che scrivano il vero o il falso. Ma, se aguzzate la vista, tanti scrivono cazzate belle e buone. Se uno calcia un pallone all’Ossigeno non è un professionista. Se ha strimpellato nella chitarra “la canzone del sole” non è un novello Battisti né è un musicista.
È l’era della democrazia virtuale che ci ha reso tutti purtroppo “uguali” livellati verso il basso, dove si vuol far passare la cultura per due link copiati e incollati, dove una frase di un autore conta più di dieci libri letti, dove il parere di un ignorante spesso conta alla pari di chi ha studiato. Dove fregare con l’uso delle parole, millantando oramai di essere questo o quello, scrivendo curricula ricchi di inesattezze e bugie, è uno sport oramai diffuso. Non accade solo su facebook ma anche in tv o nei giornali, negli inviti, nelle promozioni, negli articoli. In disco come nel commercio, nell’istruzione così come nel lavoro. Le parole sono armi.
Purtroppo la massa, la gente comune, spesso non filtra i messaggi, non si sofferma sui significati e sui contenuti, entra nel merito. Non c’è tempo. Recepisce passivamente. Non capisce spesso dov’è il vero e dov’è il falso. Da qui nascono le piccole fregature o, se permettete, anche le grandi crisi.