Tanti sono i diplomandi che seguono la mia pagina facebook, leggono le mie note e vengono alle mie serate.
È giunto il momento di salutare la scuola, quel mondo (o prigione, se vi piace essere così drammatici) in cui siete stati per cinque o forse più anni. Darete l’esame, farete le “notti insonni” davanti ai libri, stringerete amicizia con alcune materie chiedendovi il perché, sentirete le stesse emozioni decantate da Antonello Venditti negli anni 80 in “Notte prima degli esami“.
Ricordavo l’emozione dell’ultimo giorno quando, nei banchi scribacchiati del Pacinotti, pensavo a come sarebbe stata la vita DOPO. Ricordavo la prima sensazione da diplomato nella spiaggia di San Teodoro, il giorno dopo l’esame, sotto l’ombrellone, davanti a un bel mare azzurro. Un senso di libertà che non ho forse mai più sentito. Avevo raggiungo un obiettivo, e ne ero felice e soddisfatto. Prendermi un diploma, diventare, forse, grande.
Ancora oggi nei sogni (o negli incubi) mi rivedo all’esame di maturità, alle prese con l’ansia di quel giorno, con una commissione di sinistra, io che di sinistra non ero certamente e non ne ho fatto mai mistero: uno iscritto all’MSI che frequentava il Fronte della Gioventù. Ma ero forte in italiano, storia e filosofia, ero simpatico, faccia di ca**o quello che ci voleva, appassionato delle cose che studiavo, anche se scadente in matematica (lo scritto fu un vero flop).
Ero riuscito a far tifare i miei prof per me, conquistandoli anche sulla mia scelta politica.
Poi mi sono accorto che, finita l’estate – c’erano i mondiali del 94, Baggio e Baresi sbagliarono i calci di rigore in finale col Brasile, in disco si ballava a dance e altri dischi che fecero epoca) iscrivendomi all’Università degli studi di Cagliari, facoltà di scienze politiche, dove poi mi sarei laureato anni dopo, il liceo mi mancava.
Mi mancava il suono della campanella, i compagni, la regolarità e la quotidianità, i tanti gesti e i professori, la merenda e le partite il giorno dell’assemblea, l’interrogazione del giorno dopo, la chiamata alla lavagna, le vele e gli scioperi senza motivo. Mi mancava il giornalino d’istituto, l’attesa delle pagelle, il lancio del cancellino, le novità del nuovo anno, le nuove compagne e i nuovi compagni, i ponti e i pizzinni per copiare sotto i banchi. Il senso liberatorio del sabato mattina dopo una settimana di studio e di levatacce.
Si apriva uno scenario nuovo, di maggiore libertà e responsabilità. Lo chiamano “mondo adulto”, età della ragione: nessuna restrizione, orario particolare, nessuna mattinata spesa tra i banchi. Weekend in disco o dove cavolo volevi. Viaggi e trasferte senza l’ansia del lunedì a scuola. Li – ber – tà!
Dovevi decidere tu, scegliere, come “mixare” tempo libero, uscite, cazzate e studio. Ci si doveva organizzare la vita, i ritmi, le pause, lo studio o trovar lavoro. Fare un progetto di vita.
Ma sicuri che fossimo pronti? E sicuri che quella prigione chiamata scuola fosse poi così tanto male rispetto al mondo esterno?
Ancora ci penso e non trovo la risposta.
Alcuni – in questo tremendo passaggio – ci riusciranno: sono dei cavalli vincenti, hanno già capito l’andazzo e non avranno problemi a firmare una brillante carriera. Partiranno, viaggeranno, studieranno fuori. Quanti ne ho visti che da una sonnecchiante carriera studentesca sono diventati dei big del lavoro. Quanti ex p.r o ex amici hanno preso il volo ed ora sono in giro per il mondo?
Altri non dovranno muovere dito: hanno già la strada spianata e i soldi da papà. Uno studio e una professione già avviata. L’università sarà solo un passaggio per diventare più grandi, un’attesa.
Altri cominceranno il proprio declino, sperando nelle manne dal cielo. Ciondoleranno all’università per far passare il tempo. Eterni universitari fuoricorso e fuori di testa ogni tanto, svernando in viale Fra Ignazio, tra connessioni wifi, caffè nei baretti e attesa spasmodica della prossima onenight dove lavare i propri peccati e spaccarci tutto per poi raccontarlo il lunedì a bocce ferme.
Tra un esame stiracchiato e un nuovo jeans da mettere in mostra alla pivella (e in queste categoria si comprendano anche quelli della seconda).
Ora comincia, insomma, una nuova vita. Un duepuntozero di tutti quelli che non sono più ragazzini (e cercano di non esserlo più da tempo, facendo gli adulti, frequentando adulti, andando a serate di adulti) ma neanche adulti.
Di quelli che credono che la fuga dalla scuola sia una liberazione, ma in realtà hanno ancora una prigione dentro. La loro età, le loro insicurezze, le passioni di un qualsiasi giovane. Hanno un’Italia che va a rotoli, che non li accoglierà a braccia aperte neanche se dimostreranno voglia e grinta da vendere. Anche se tanti giovani non si mettono in testa che l’ora della ricreazione è finita da tempo.
In bocca al lupo a tutti.