Ogni tanto perdo qualcosa: un numero, un foglio, un’agenda.
La velocità e la fretta fanno il resto. Io sono incasinato, finché non arrivano i segnali, i semafori rossi, che ti fanno capire che bisogna rallentare e stare attenti.
Accade che ieri, di rientro da una bellissima giornata sportiva (a proposito, grazie a tutti i presenti) il mio portafogli sia caduto da una tasca mentre scendevo dall’auto. Tornato a casa, ho pranzato e mi sono messo subito a lavorare con il computer. Squilla il citofono, un vicino mi avverte che l’ha ritrovato. E giustamente mi cazzia. Ritrovato tutto, mancavano i soldi, circa 80 euro.
Che dire? Prendersela con il solito ladro? E con chi se non con me stesso? Posso prendermela solo con me stesso.
Alla fine ho pensato all’aspetto buono della storia. Sperare che chi abbia preso quello ne abbia davvero necessità. In tempi come questi dove la povertà si sfiora ma si fa finta che non ci riguardi, dove la gente pensa al suicidio con una tremenda facilità (e coraggio), che il disagio che sia cosa altrui (come le malattie e le sventure), finché non la tocchiamo con mano, potrebbe essere anche una magra, anzi buonissima consolazione.