Cagliari e il mondo della notte? Uno scenario difficile da identificare e schematizzare nella contemporaneità.
La scena notturna, che in molte città europee vive il presente con dinamico ed è un terreno fertile per sperimentazioni musicali e culturali (e anche attrattiva del turismo), qui appare stagnante, divisa tra la sicurezza di proposte commerciali e la marginalità autoreferenziale delle nicchie musicali.
Un dualismo che riflette una polarizzazione dei gusti e una difficoltà strutturale nel costruire una scena varia, inclusiva e riconosciuta.

La polarizzazione dei gusti e l’assenza di una via di mezzo

Da un lato troviamo serate cosiddette commerciali, spesso indistinguibili tra loro, dove le playlist sono una replica di ciò che si sente quotidianamente in radio o nelle piattaforme di streaming. Sia chiaro: se c’è una domanda, l’offerta si adegua. Dall’altro lato, esistono ritrovi dedicati alla musica elettronica o ad altri generi di nicchia, percepiti però ancora come “territorio per sballati” o accessibili solo a un pubblico ristretto e comunque chiusi all’esterno e alla massa. Come a dire “noi siamo noi e voi non siete un ca**o”.
Questo divario non solo limita le possibilità di chi cerca qualcosa di diverso e inclusivo, ma spegne anche l’innovazione artistica, lasciando ampi spazi vuoti nella proposta musicale e culturale cittadina.

Un esempio calzante è la musica house e techno, che in città come Berlino, Londra o persino Barcellona – cito destinazioni facili – non solo riempie i club, ma plasma un’intera cultura. Artisti come Peggy Gou, Solomun o Charlotte De Witte – anche qui, i primi nomi – riempiono festival e sono simbolo di creatività e inclusività, mentre a Cagliari sembrano restare nomi relegati a un pubblico di appassionati, lontani dal radar della maggior parte delle persone. Lo stesso vale per generi come l’afrobeat o l’hyperpop, che all’estero trovano spazio in club e playlist, mentre in Sardegna sono considerati quasi alieni se non per sporadiche intromissioni in serata.
Questo isolamento musicale è però più ampio; lo specchio di una società insulare che fatica a recepire qualsiasi novità e, paradossalmente, appare più chiusa oggi rispetto al passato.

Le radici di una società stagnante

La stagnazione del mondo notturno cagliaritano non è un fenomeno isolato, ma riflette perfettamente la condizione della società sarda. Da sempre lenta nel recepire il nuovo, l’isola sembra oggi incapace di seguire il ritmo di una globalizzazione culturale che altrove è già metabolizzata o di creare un proprio trend identitario.

Eppure, non è sempre stato così. Negli anni ‘80 e ‘90, in Sardegna approdavano correnti musicali innovative: dalla new wave al rock alternativo, dal funky al jazz. Un dinamismo che rendeva il sud Sardegna come un crogiulo di futuro o semplicemente faceva parlare di sè anche attraverso ospiti che oggi sono nell’album dei ricordi. Ecco quindi, che esistevano esperienze come il Jazzino o  come la Città Globale e il più recente Tsunami – sì, lo sappiamo, mainstream, ma che ospiti! – dei primi anni, che riuscivano a sorprendere per la capacità di attrarre un pubblico variegato e diventare iconici.

Da tanti anni, questa vivacità sembra essersi spenta, sostituita da una pigrizia e apatia culturale diffusa, che si manifesta sia nella mancanza di attivismo degli operatori culturali che nella scarsa curiosità di un pubblico ormai assuefatto a offerte standardizzate. Colpa anche di noi Dj, eh!

Non si tratta solo di “gusti”, ma di un intero sistema incapace di rigenerarsi: i locali optano per serate sicure, i promoter faticano a osare e ripetono stessi format, e gli artisti locali spesso si trovano isolati, incapaci di creare un ponte tra sé stessi e un pubblico potenzialmente ricettivo. Scelgono il facile e il sicuro, per paura di svuotare pista e perdere il posto. Legittimo e umano. Oppure si affacciano nuovi pr e dj che hanno come obiettivo solo il proprio ego e mancano di qualità e capacità.

L’invecchiamento della popolazione e la diversificazione del divertimento

Un fattore che contribuisce a questa stagnazione è l’invecchiamento della popolazione. La Sardegna, già nota per la longevità dei suoi abitanti, registra però anche un costante calo demografico tra i giovani, molti dei quali scelgono di trasferirsi altrove in cerca di opportunità. Questo svuotamento generazionale pesa sul mondo della notte, che tradizionalmente si rivolge a una fascia di età più giovane, ma che oggi si ritrova con un pubblico sempre più ridotto e meno incline a esplorare nuovi trend.

Inoltre, il concetto stesso di divertimento si è diversificato. Non si tratta più solo di andare in discoteca, ma di vivere esperienze che includono cene, viaggi brevi, weekend rilassanti o semplicemente il non fare nulla. Questo cambiamento nei consumi culturali ha spinto molte persone a scegliere alternative più tranquille rispetto alla notte, lasciando i club a un pubblico ristretto e spesso non sufficiente a sostenere un panorama variegato.

Un ambiente culturale che frena la notte

Un altro ostacolo è rappresentato dall’atteggiamento culturale generale nei confronti della notte. A differenza di altre città europee, dove il mondo notturno è percepito come un’importante espressione culturale e sociale, a Cagliari la notte non ha mai fatto quel salto di qualità necessario per essere riconosciuta come parte integrante della vita culturale cittadina. Questo si traduce in una mancanza di supporto istituzionale, in regolamenti poco favorevoli e in un atteggiamento diffidente del cittadino medio verso le attività notturne, spesso considerate più un problema che un’opportunità.

Possibili soluzioni per una rinascita notturna

Nonostante il quadro attuale, le opportunità ci sono. Occorre, però, una presa di coscienza collettiva per invertire la tendenza. Perché ciò avvenga, è fondamentale:

Coltivare la curiosità del pubblico: Organizzare eventi che raccontino generi nuovi, non come prodotti di nicchia, ma come esperienze culturali accessibili e coinvolgenti. Ad esempio, creare festival tematici che uniscano musica, arte visiva e storytelling.

Riconnettere artisti e pubblico: Creare un dialogo più efficace tra artisti e pubblico, raccontando le esperienze e il valore delle loro proposte, non solo attraverso eventi, ma anche attraverso contenuti sui social e workshop.

Raccontare la notte: Costruire una narrazione che dia dignità al mondo notturno, mostrando come possa essere un laboratorio culturale e sociale di valore, capace di attirare anche un pubblico più adulto e maturo.

Un’opportunità da cogliere

La musica, come la società, è un organismo vivo. Dove ristagna, riflette apatia; dove si muove di energia, mostra una comunità che cresce, che vuole esplorare e mettersi in gioco.
Cagliari ha il potenziale per nascere, forse, ma serve una visione condivisa. Per ora lontana dal vedersi.

Serve che i locali non siano solo spazi di consumo di playlist e drink, ma fucine di cultura. Vadano oltre, insomma; che gli artisti si percepiscano non come intrattenitori isolati o come semplici dj da scaletta, ma come parte di un movimento più grande; che il pubblico smetta di accontentarsi del già visto e si lasci sorprendere come lo fa quando viaggia.

Le correnti musicali che oggi dominano le capitali europee non sono lontane anni luce: sono lì, a portata di mano. Manca solo la volontà di aprirsi al nuovo, di costruire un’identità notturna che rispecchi la ricchezza di un’isola che ha sempre avuto qualcosa di speciale. Una città che non rischia di notte, però, rischia di non crescere mai davvero di giorno. La notte di Cagliari non è solo una questione di intrattenimento: è un simbolo del nostro desiderio di andare oltre, di esplorare, di vivere il futuro e di sfruttare il territorio, ringiovanendo anche la mentalità.
Sta a noi decidere se lasciarla dormire, come pare, o darle una nuova energia.