Faccio colazione in un bar al Quartiere del Sole, vicino a un ufficio dove collaboro. In attesa della mia ordinazione, cappuccino, pasta, mezza minerale, mi giro e un bimbo è proprio dietro di me, in un passeggino. Concentra la sua attenzione su di me e io vengo piacevolmente conquistato da quei suoi occhioni dolci che spuntano e brillano di luce propria.
Comincio uno show da mister Bean con facce smorfie e tutto quello che il mio repertorio comico permette di usare per sembrare un perfetto idiota. Il bimbo mi guarda inizialmente stranito dal mio muovermi, poi accenna un sorriso, poi un altro.
La mamma guarda felice la scena, e pure altri. In un momento l’attenzione del bar è per noi.
Terminato quel momento di carica creativa, penso a lui, alla gioia di ogni nascita, a una nuova vita, ma anche – purtroppo – a cosa lo aspetta e mi chiedo che si troverà in questo mondo, se davvero stiamo lasciando un orizzonte positivo a chi verrà.
E per un attimo mi vergogno davvero di tutto quel che siamo e della nostra incapacità, forse, di creare un bel futuro.