È un sabato mattina londinese e sono immerso in un crogiolo di tutto e di più. C’è la musica – oh, la musica! – un tappeto sonoro che mi segue ovunque, modulando il suo ritmo in perfetta armonia con il contesto spaziale-temporale.
Il cielo, una tavolozza di grigi che talvolta, come oggi, si rompe in un azzurro così penetrante che ti fa dimenticare il cliche delle giornate uggiose.Hyde Park è un quadro – un’oasi che esplode nell’autunno, ora un promemoria vivente delle stagioni che avevo dimenticato. Il tappeto di foglie gialle è un’immagine che mi porterò.
E poi, ci sono le persone. A Londra, il cosmopolitismo è arte elevata alla massima potenza, dove ogni individuo ha facce e provenienze diverse, un racconto viaggiante, un romanzo non scritto.
La tua anonimità; sei un punto tra milioni, libero da giudizi e da aspettative sociali. Non sei niente e nessuno e questo ti toglie ogni ansia necessità di dover spiegare chi sei e cosa fai. Non potresti presentarti come quello che, figlio di…, tutto è perenne scorrere.
Infine, le interazioni, quelle conversazioni improvvise che nascono dal nulla e si dipanano in storie. Ogni panchina può essere la sede di un dialogo che cambia la tua giornata, o forse la tua vita.
Potrei scrivere un saggio intero sul significato filosofico di queste interazioni casuali, sul modo in cui riflettono e refrangono l’esperienza umana in una città che è, in se stessa, un microcosmo del globo. Quella esperienza di cui ho sempre bisogno. Il mondo.