C’è da chiedersi come possano stare in piedi programmi del tenore di Grande Fratello, Isola dei Famosi, Vita in diretta e simili.
Cerchiamo risposte. Guardiamo i dati d’ascolto e quanto gira attorno (sponsor, copertine, gadget). Alla base di questi prodotti commerciali c’è uno zoccolo duro, gli aficionados, gli incollati alla tv, certe casalinghe e gli studenti annoiati, che si sentono parte di quelle emozioni, che vivono intensamente l’esperienza di questo programma come pubblico attivo e partecipativo.
Questi programmi sono diventati appuntamenti irrinunciabili e argomenti di discussione. Non esco perché c’è il GF. Non cercatemi, devo vedere chi ha vinto all’isola.
Ci si immedesima in qualche personaggio, lo si sente, diventa icona e modello.
In un paese in cui in certe edicole tre quarti degli spazi sono composti da giornali scandalistici e di gossip, di sport o di moda, tanti giovani non hanno più interessi significativi fuori da internet, la discoteca, il bel vestire, l’arrivare a comprarsi (o meglio, farsi comprare) una macchina o vivere con un tenore altissimo.
Diseducazione che parte dai genitori in primo luogo. Genitori che pensano che l’affetto sia una banconota e gli abiti all’ultima moda da comprare alla prima lamentela dei figli, una doverosa necessità anche a discapito del bilancio familiare.
I propri figli non vanno tenuti dietro quelli degli altri, semmai avanti. Sfoggiare, sfoggiare, sfoggiare.
Tempo fa era vantare i risultati scolastici del figlio a tener banco nelle chiacchiere e nei pranzi, ora gli oggetti esteriori e i negozi dove si compra.
Così tanti giovani crescono con una corazza di plastica, forte solo in apparenza, ma debole di fronte ai primi drammi della vita: un voto negativo, una fidanzata che li abbandona. E allora nasce il trauma, perché di fronte alle sfide della vita gli rimane in mano poco coraggio e la PSP. Eccoli i drammi, i pianti. Piangono per tutto. Perché non andranno in disco o perché non gli prendono la macchinina. Piangono se la ragazza li lascia o se non possono partire ad Amsterdam.
E allora i riferimenti del 2010 diventano questi programmi tv e i loro personaggi. Tutti dotati di linguaggi strampalati e offensivi, esibizionismo al maschile e al femminile, abbigliamenti strafirmati. Giovani annoiati e distesi sul letto o sul divano in attesa di caffè e panino, protagonisti di discorsi sul nulla che pretende di essere cultura (un po’ come tanti link e gruppi su facebook), rutti e sbadigli che cancellano le melodie della vita.
Finte emozioni e lacrime per le uscite dalla casa, per i tradimenti, che pare siano più forti di lutti e malattie reali.
Il loro linguaggio non conosce fantasia, si aggrappa su poche parole artefatte e di massa. Mazzi, cash, paglia e tutto il resto. O frasi copiate e incollate dai Club dogo e parenti vicini.
Alla fine, se guardate in giro, tutto riecheggia questo mondo. I discorsi, le movenze, gli stati su facebook.
Riecheggia l’assenza educativa di una famiglia dove i figli sono un ingombro, un gingillo da auto, un optional rispetto a vite adulte impegnate su altri fronti. E allora perchè farli? Ce lo si chiede davvero, quando li vedi abbandonati e soli davanti a internet o allo schermo ultrapiatto del salotto, annoiati e vuoti, in cerca di affetto e di riferimenti reali e forti che non esistono.
Allora si potrebbero fermare i giorni e le banconote, usare i salotti di casa per parlare, confrontarsi. Impegnare i figli in attività sportive, puntare sui voti scolastici, promuovere i viaggi e le occasioni di crescita ed esperienza.
Spunti per vivere con equilibrio il proprio tempo e crearsi una corazza buona per i nostri tempi bui e difficili in cui i veri grandi fratelli si chiamano solitudine, massificazione e incertezza.
Nicola Montisci