Come sempre succede in Italia il calcio muove tutto: la cronaca, gli istinti, le passioni, l’attenzione dei media.
Ieri era impossibile non sapere dell’inchiesta sulle gare truccate che ha colpito vari giocatori: tutti i giornali hanno aperto con questa notizia. In un attimo sono stati cancellati nell’ordine: il dramma di Brindisi, il terremoto in Emilia, il maggiordomo infedele del papa e la crisi economica.
I nomi sono altisonanti: potrebbero comporre una squadra che lotterebbe forse per qualcosa in più che una salvezza in serie A.
E poi gli agenti nel tempio del calcio italiano, Coverciano, i dubbi su Conte, neo allenatore scudettato.
La giustizia farà il suo corso ma credo che questa sia solo la punta di un iceberg che porta tanti giocatori, per ignoranza o semplicemente smania di guadagno, a vendere le gare. Pare ci siano di mezzo anche i tifosi, alcuni che stanno a menarcela spesso col “calcio moderno”. Strana idea di modernità, se dovessero essere realmente coinvolti. Se lo fanno i professionisti, figuriamo cosa può succedere a livelli più bassi. Prove non ce ne sono, ma ragionando non è da escludere, sperando di sbagliare.
Il campionato da più bello del mondo sta diventando il più truccato del mondo.
Ieri un ragazzo mi ha chiesto un consiglio su un tema scolastico il cui titolo citava la frase “il fine giustifica i mezzi“.
È una delle filosofie più seguite negli ultimi tempi: qualsiasi mezzo è valido, è possibile, è pensabile per vincere, per guadagnare, per aver la meglio. Non c’è più quella cornice di regole e di valori che dovrebbe permeare la vita di tutti e i rapporti personali, al di là delle abitudini, dei gusti, delle religioni, delle idee politiche.
Lo scandalo scommesse finirà sempre con tante parole al vento, e buoni propositi. Quello che è peggiore: tanta ipocrisia, come sempre si conviene alla nostra Italia quando passa un polverone.
Poi ci sono quelle belle storie, come Giuseppe Gambaiani, semisconosciuto portiere del Galtellì che ha fatto qualcosa di diverso dal solito nella gara contro il Cala Gonone, seconda categoria. Ha “confessato”. Ha detto all’arbitro che un pallone che aveva giudicato fuori era entrato in gol. Come risultato ha ricevuto gli applausi del pubblico ma la sua squadra ha perso ed è retrocessa dalla seconda alla terza categoria. Quanti l’avrebbero fatto? È un fesso o un eroe?
Mi sono dimesso da tifoso sfegatato da tempo, seguo con molta distrazione il Milan, ho abbandonato il Cagliari da tanti anni. Quando ci sono le partite, spesso ho quasi la vergogna di dire che me ne frego. Se mi chiedete con quali squadre giocherà l’Italia in questi Europei vi risponderei “non lo so”.
Ho smesso di seguire il calcio professionistico con la passione dell’infanzia. Mi stufano le polemiche arbitrali, le ossessioni, i titoloni, le moviole, gli atteggiamenti presenti sia livelli alti che a livelli più bassi, quando ragazzini, dirigenti e colleghi spesso emulano i peggiori esempi, dalle scarpette di marca, al gel nei capelli, delle parolone da finale di Champions League ai soldi buttati in stupidate. Preferisco dedicarmi al calcio dilettantistico, ai settori giovanili e allo sport scolastico, ai progetti e ai tornei. Credo dia maggiori stimoli e soddisfazioni. Risparmio tempo e denaro, anche se ogni tanto una simpatica provocazione su facebook ci sta.
Nessuno dopo questo (ennesimo) scandalo ripagherà la passione di tanti tifosi che oggi si sorprendono e gridano allo scandalo, ma poi comprano gli abbonamenti delle pay tv, vanno allo stadio, cercano un sogno vestendo una maglietta o mettendo al collo una sciarpa. Sono fessi anche loro? Sono semplici appassionati e meritevoli di assoluto rispetto.
Oggi si incavolano ma domani saranno pronti a (ri)foraggiare questa passione. Come ogni droga, l’astinenza non potrà durare a lungo. Purtroppo anche i furbi, non i Gambaiani della situazione, torneranno anche dopo questa inchiesta, tra un anno o forse meno. Magari ai prossimi Mondiali.