In questi giorni due episodi mi hanno riflettere molto sul concetto di arte, libertà e censura
Parlo del recente spettacolo delle Lucido Sottile, compagnia teatrale cagliaritana e della presenza del rapper Fabri Fibra al concerto del primo maggio.
Le prime, attaccate (puntualmente) da (nonmeglionote) associazioni cattoliche e ree di oltraggiare e dileggiare la religione con uno show che già dai manifesti richiama senza doppi sensi simboli e figure della cristianità; il secondo “eliminato” dalla manifestazione dei sindacati per richiesta di un’associazione che si batte contro la violenza sulle donne a causa dei versi delle canzoni Su Le Mani e Venerdì 17. In “Su le mani” Fibra esalta la disponibilità al sesso delle donne, citando il presunto “mostro di Firenze” Pacciani; in “Venerdì 17” descrive lo stupro e l’assassinio di una bambina.
Ma non sono mancate le difese: tanti cagliaritani per le Lucide e addirittura Jovanotti per Fibra. Qualcuno ha gridato alla censura.
Si gioca una battaglia: da una parte il dispregio della religione, delle donne e l’esaltazione di comportamenti (con il rischio di emulazione ) e dall’altra la libertà d’espressione e l’arte in tutte le sue forme (teatro e rap non hanno mai mandato a dire le cose, per intenderci).
Quale diritto salvaguardare? La libertà d’espressione o il rispetto?
Al di là dei nomi in oggetto, che possono piacere o meno, che dividono, è difficile capire dove possa arrivare la libertà d’espressione e dove invece il rispetto delle “regole”. Un tema antico e di difficile soluzione, soprattutto in Italia, su cui le parole a sproposito si sprecano.
È un dibattito in cui si potrebbe parlare per ore e ore senza raggiungere una soluzione che faccia contenti tutti.
Senza entrare nel merito della vicenda, ho sempre pensato che l’artista sia un genio, quello che susciti emozione e riflessione usando i suoi mezzi in maniera innovativa e rivoluzionaria, e che gli debba essere riconosciuta la libertà di farlo.
L’artista lascia il segno, sempre. E per questo motivo non può ricevere solo e sempre applausi, né si può facilmente capire.
Non credo nelle censure, di ogni tipo. Non credo nei benpensanti. Ma questa è solo una mia umilissima idea e non sarà esente da critiche.
Giusto per confondere me e voi, butto nell’arena di questo post mille domande disordinate, le stesse domande che mi faccio anche quando scrivo, pur non essendo sicuramente io un artista ma un semplice scribacchino sgrammaticato. E le vivo forti nel momento in cui cerco di far passare certi messaggi anche con toni volutamente forti o sarcastici (purtroppo non lo intuiscono, ma non è un problema mio).
Cominciamo allora:
Prima domanda. Quanto è libero (parliamo di cantanti e di attori, ma possiamo allargare a qualsiasi campo, la scrittura, la pittura, la comicità) un artista (o una persona) di esprimersi?
Seconda. Ci sono dei limiti e degli schemi a cui è sottoposto?
Terza. Se esistono, chi decide quali siano?
Quarta. Chi decide chi è l’artista che può avere queste libertà? Un numero di copie vendute, la popolarità, i followers o cosa? (perché sapete bene che un signor nessuno verrebbe immediatamente arrestato o bannato)
Quinta. Senza dimenticare poi il dilemma solito (tipico del giornalismo sallustiano): ci si accorge di Fibra e le Lucide e si tace su tanta bestialità e volgarità comunemente diffusa sui mass media?