PROFESSIONISTI E CADDOZZONI
Non si deve premiare l’impegno ma il risultato. Tutti possono fare qualcosa, ma è il riuscirci a fare la differenza.
Faccio due cose che sono quotidianamente svilite: il dj e il giornalista. Tutti oramai credono che ci si svegli, dopo aver fatto altro nella vita, basti scaricare musica dicendo che si ha passione, avere una consolle ed ecco fatto. Oppure scrivere su un tasinantaonline per essere definiti giornalisti. E si atteggiano pure a grandi professionisti, svendendo in giro il proprio lavoro e trovando gestori, pr o direttori per i quali “tutti sono uguali” e risparmiare è un grande affare.
La crisi dovrebbe far investire sulla qualità e sulla capacità di distinguersi, e invece…
Che conta a quel punto l’esperienza, lo studio e il talento?
Ecco, chi si propone non è intraprendente o intelligente.
Chi da due giorni si atteggia a grande star è solo un cinese della professione, un tarocco.
Mettere un dilettante in un posto chiave è come avere ai fornelli uno che non sa nulla di cucina. I piatti escono pure ma chi assaggia se ne accorge che dietro non c’è un esperto. È un segno di disfatta: vedo locali che mai avrebbero fatto reggaeton o messo ragazzini a mixare in serate importanti o testate che mai avrebbero fatto scrivere persone che a malapena riuscirebbero a prendere 6 in un tema.
Nessuno pensa che un dilettante abbia bisogno di tempo per apprendere e crescere né il dilettante si pone questo problema.
Ripeto: tutti possono fare tutto. Inventarsi quel che vogliono. Svegliarsi e farlo. Ma riuscirci non è una cosa per tutti. E chi supporta il dilettantismo, chi deprezza i servizi che offre, la musica, la scrittura, e i propri collaboratori, si dirige al fallimento.
E la crisi non c’entra nulla.