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Sarajevo, tra freddo, silenzio e ferite di guerra

“Sarajevo, perché?” È la domanda che molti mi hanno fatto quando ho deciso di visitarla. Complice il mio compleanno e i suggerimenti del mio caro amico Giuseppe Marcialis, sempre pronto a propormi destinazioni che risuonano con le mie tensioni ideali ed emotive, ho deciso di partire.

Non avevo mai pensato a Sarajevo come a una città turistica. Mi attirava la sua complessità, il fascino enigmatico del mondo balcanico, la possibilità di immergermi in una realtà fatta di storie e non di cartoline.

Al mio arrivo, il primo impatto è stato quello di una città fredda, lenta, ancora segnata dalla guerra. Le cicatrici sono ovunque: nei muri crivellati dai proiettili, nei ruderi lasciati a metà, negli occhi delle persone. Eppure, ho sentito subito un’accoglienza sincera, una gentilezza quasi disarmante, unita a una curiosità autentica verso chi arriva da fuori.

Perdersi nel freddo e nel silenzio

Mi sono concesso il lusso di perdermi. Il freddo era pungente, tagliente, ma mi ha spinto a rallentare. Ho ascoltato il silenzio, rotto solo dal richiamo del muezzin che elevava la sua preghiera. Quel suono mi scuoteva, mi riportava alla realtà, ricordandomi quanto fosse diverso e al tempo stesso simile il mondo che stavo esplorando.

Sarajevo porta ancora le ferite del lungo assedio dal 1992 al 1996. Quattro anni di isolamento, durante i quali la città è stata sotto il tiro costante dei cecchini appostati sulle colline. Ho camminato lungo quello che un tempo era il Viale dei Cecchini, oggi trafficato e pieno di vita. Pensare che, per anni, attraversare una strada significasse rischiare la vita è stato straniante.

Le immagini che avevo visto online mi tornavano in mente: persone che correvano, cercando di prevedere il prossimo sparo. I palazzi, ancora crivellati dai proiettili, sembrano custodire la memoria di quei giorni, come a voler dire: “Non dimentichiamo.”

Il Cuore Storico: Baščaršija

Il mio giro è iniziato da Baščaršija, il cuore storico della città. Le strade strette, le botteghe artigianali, le moschee che si alzano discrete: tutto sembra parlare di una Sarajevo che non ti aspetti. Mi sono fermato accanto alla fontana Sebilj, circondata dai piccioni. Ho comprato un succo di melagrana da un venditore ambulante e, sorseggiandolo, ho osservato la vita intorno a me: anziani che chiacchierano sulle panchine, bambini che rincorrono i piccioni, uomini che si recavano nella moschea.


Ho passato tempo a osservare le donne della città. Anziane avvolte in sciarpe pesanti, donne col velo con un’aria di dignità che mi ha colpito; giovani con uno sguardo sereno, spesso dietro ai banconi dei caffè o delle botteghe, con sorrisi che trasmettevano forza e resilienza.

Il Tunnel della Speranza

Fuori città, ho visitato il Tunnel della Speranza (Tunel spasa), un passaggio scavato a mano per collegare Sarajevo assediata al mondo esterno. L’ingresso, in Džemala Bijedića 19, ospita un piccolo museo che racconta la storia del tunnel con video e oggetti originali. Camminare in quel breve tratto ancora accessibile è stato come sentire il peso di chi, in quel buio, ha trovato la forza di resistere.

Il Gusto di Sarajevo

Mangiare a Sarajevo è immergersi nella sua cultura. Ho assaggiato il ćevapi, servito con pane caldo, cipolle crude e una cucchiaiata di kajmak: un piatto semplice, ma incredibilmente soddisfacente. Nei pekara(forni), ho trovato il burek, una spirale di pasta sfoglia ripiena di carne, che ho mangiato passeggiando mentre il freddo mi pizzicava le mani. Era confortante, perfetto per una sera d’inverno.

In un caffè accogliente ho provato il caffè bosniaco, servito nella tradizionale džezva. Si versa lentamente nella tazza, evitando la posa. Accompagnato da un baklava dolcissimo, è il modo ideale per scaldarti e prenderti una pausa.

 

Le Rose di Sarajevo

Anche il suolo parla. Passeggiando per le strade, ci sono piccoli crateri lasciati dalle bombe, riempiti con resina rossa. Si chiamano Rose di Sarajevo. Sono segni indelebili, memoriali spontanei che ricordano le vite perse. Camminare sopra di esse è un’esperienza che ti costringe a rallentare, a riflettere.

I ponti sul fiume Miljacka

Sarajevo è una città attraversata da ponti, ciascuno con una storia. Il Latinski Most (Ponte Latino) è il più noto, famoso per essere stato il luogo in cui l’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria e sua moglie Sofia furono assassinati nel 1914, segnando l’inizio della Prima Guerra Mondiale. È un ponte semplice, di pietra, ma ricco di significato.

C’è poi il Ponte Vrbanja, teatro di scontri e tragedie durante la guerra. Qui furono uccisi Admira e Boško, i “Romeo e Giulietta di Sarajevo”, simbolo di un amore che resisteva anche alla follia del conflitto. Attraversare questi ponti, con il fiume Miljacka che scorre lento sotto di essi, è come passare da un tempo all’altro. Lungo le sue rive, le case e i palazzi raccontano storie di decadenza e rinascita.

La stazione dei treni

Uno dei luoghi più surreali che ho visitato è stata la stazione dei treni. Mi ci sono ritrovato per caso, in attesa di un autobus per Mostar. Sembrava un pezzo degli anni ’80 lasciato intatto, un luogo sospeso. All’interno, bar vecchi di più stagioni, un grande muro con uno slogan datato di Coca-Cola, una biglietteria chiusa e qualche sparuto viaggiatore che sembrava più perso che in attesa. Non c’erano treni in arrivo né in partenza. L’atmosfera era quella di un non-luogo, un luogo dimenticato dal tempo.

La notte

Di notte, Sarajevo si acquieta. Il freddo pungente avvolge la città come una coperta ruvida. Non c’è caos, non c’è fretta. C’è solo il respiro della città, che ti invita a fermarti, a immaginare le vite che l’hanno attraversata.

Non è stato un viaggio semplice, né leggero, ma Sarajevo mi ha insegnato che nelle cicatrici si trova spesso la vera bellezza e che il mondo Balcanico, per quanto vicino geograficamente, è un universo tutto da scoprire e da capire.

Il mio viaggio a Malta, perdersi fuori stagione

Il mio viaggio a Malta, anzi, i miei viaggi a Malta. Sono diventati tanti, e ogni volta mi sono dimenticato di scrivere qualcosa. Così, a distanza di mesi dalla mia ultima puntata, eccomi qui a raccontarvi qualche suggestione.

Malta è un’isola che si rivela lentamente, come un libro che si sfoglia con calma. All’inizio confusa, caotica, ma poi divertente e perfino rilassante. Dipende sempre da te, dal tuo stato d’animo e da dove ti sposti. Ogni volta che ci torno, mi accoglie con il suo clima mite e quel mix nordafro-siciliano-inglese davvero unico e speciale.

Ti consiglio di alloggiare sulla costa di La Valletta: scegli un piccolo albergo, diffida delle grandi catene, leggi le recensioni e assicurati che nelle vicinanze non ci siano fonti di rumore, altrimenti… addio sonno!

Non posso che cominciare da un luogo “facile” come la capitale, La Valletta, con i suoi edifici fatti di pietra color miele che riflettono il sole. I balconi chiusi, i “gallariji”, spuntano a ogni angolo come piccoli teatri privati.

Passeggiare per La Valletta è un viaggio nel tempo. Lascia la strada principale, Republic Street, troppo affollata di turisti, e perditi nei vicoli. Non dimenticare la Concattedrale di San Giovanni: forse da fuori non ti dice nulla, ma nasconde una gioia per gli occhi e la mente. Un luogo che non è solo un capolavoro barocco – naso all’insù e poi dimmi! – ma anche custode di uno dei dipinti più drammatici di Caravaggio, La Decollazione di San Giovanni Battista. Raffigura il momento con un realismo crudo e un uso magistrale della luce e dell’ombra. In un’altra sala si trova San Girolamo Scrivente: San Girolamo assorto nella scrittura, con un’espressione intensa e concentrata. Caravaggio dimostra di saper catturare l’anima umana attraverso il gioco di luci e ombre. Entrare lì è come essere trasportati in un’altra dimensione, dove l’arte e la spiritualità si intrecciano in un silenzio quasi sacrale.

Per tornare alla materialità, ahimè, i turisti si affollano ogni giorno, alle 12:00 e alle 16:00, per la tradizionale cerimonia del saluto a colpi di cannone dalla Saluting Battery, una pratica che risale ai tempi dei Cavalieri di Malta, nei Giardini Barrakka. Per la pausa pranzo, per gustare qualcosa, c’è l’imbarazzo della scelta: non so perché, ma mi sono affezionato a un bel ristorante romano, la Trattoria ZeroSei. Eh sì, anche a Malta ho mangiato italiano.

Ma Malta non è solo La Valletta. Le Tre Città – Birgu (Vittoriosa), Senglea (L’Isla) e Cospicua (Bormla) – spesso restano nell’ombra, dimenticate dai turisti frettolosi. Eppure, queste città – le ho raggiunte con un curioso servizio di trasferimento su una traballante barca di fortuna spacciata per turistica che partiva da sotto i Giardini Barrakka – hanno un fascino tutto loro. Birgu, con il suo porto che sembra un dipinto, offre un’atmosfera rilassata, lontana dal trambusto della capitale. Il Forte Sant’Angelo, che domina il Grand Harbour, è un monumento alla resistenza e alla forza, un luogo che racconta le storie dei Cavalieri di Malta e delle loro battaglie. Immancabile una pausa aperitivo in un locale universitario come il Date Art Caffè.

La costa orientale dell’Isola è quella più abitata e movimentata: partendo da nord, da St. Julian’s, l’energia di Paceville ti avvolge con la sua vivace vita notturna, mentre a Spinola Bay il ritmo rallenta tra barche colorate e cene tranquille sul mare. Proseguendo verso Sliema, il lungomare si anima di passeggiate, caffè affacciati sul porto e lo scintillio di negozi a Tigné Point. Lasciando la modernità alle spalle, si entra nella calma di Ta’ Xbiex e Gzira, dove gli yacht ondeggiano pigri nella marina e Manoel Island custodisce il suo forte silenzioso. A Msida, il porto accoglie barche a vela, e la chiesa di San Giuseppe si erge come una sentinella barocca.

Dicevamo St. Julian’s. Questo è il cuore pulsante della vita notturna maltese. La zona di Peaceville è un caos di luci, suoni e persone. Ogni notte è una festa, una serata, un invito a entrare e buttarsi nei locali. Caos assicurato: ci sono giovani da tutto il mondo mescolarsi e divertirsi, creando un’atmosfera che non trovi altrove. Malta è anche due locali top per chi ama la musica house ed elettronica: il Cafè del Mar e il Gianpula, dove eventi e djset internazionali sono sempre in programma.

Muoversi sull’isola con il bus – sì, lo so, storcerete il naso! – è un’esperienza di per sé. Gli autobus maltesi sono un microcosmo in movimento: anziani che chiacchierano, studenti che discutono del prossimo esame, turisti confusi che cercano di capire la loro fermata (un po’ come me!). E poi c’è l’autista, un personaggio che potrebbe benissimo essere il protagonista di un romanzo, con la sua guida un po’ spericolata e quel mix di serietà e ironia che solo i maltesi sanno avere. L’unico mezzo di trasporto pubblico a Malta è lui, non ci sono né treni, né tram. Spostarsi in autobus è semplice: le distanze sono piccole e tutti i centri abitati sono collegati direttamente alla stazione degli autobus di Valletta, con una corsa ogni 15-60 minuti a seconda della località. Il concetto di puntualità a Malta è piuttosto elastico: l’autobus può spaccare il minuto oppure arrivare con un quarto d’ora di ritardo, più probabile se venite in estate.

Allontaniamoci. Andiamo verso Marsaxlokk, a sud. Viverla è come vivere in un’altra velocità, come canterebbero Battiato e Alice nei Treni di Tozeur. Questo villaggio di pescatori è una fiera di colori, con le sue barche luzzu dipinte di rosso, giallo e blu, e quegli occhi enigmatici dipinti sulle prue, simbolo di protezione contro il male. Seduto lungo il porto, con l’odore del mare che riempie l’aria e il vociare dei mercati, puoi pranzare nei piccoli bar e ristoranti che offrono (in particolare il fritto) a tutte le ore e  non puoi non provare una certa meraviglia nel vedere le bancarelle colme di pesce fresco, frutta e verdura.

Altra tappa è Mdina, la città silente, un altro mondo. Anche qui consiglio di arrivarci in bus. Appena varchi le sue mura il tempo sembra fermarsi. Non ci sono suoni di automobili, solo il rumore dei tuoi passi e, forse, un soffio di vento che sussurra tra le antiche mura. Le strade strette e tortuose ti conducono in angoli nascosti. La vista dalle mura è mozzafiato: campi verdi che si estendono a perdita d’occhio, punteggiati qua e là da piccoli villaggi e chiese. Ristorante da consigliare: Coogi’s

Se vuoi cercare silenzio e lentezza, la parte occidentale dell’Isola fa per te. Malta è, infatti, tanti scenari, tanti colori, tante suggestioni. Sulla costa opposta a La Valletta ho visitato le scogliere di Dingli. Qui, il paesaggio cambia drasticamente: dalle città e dai villaggi si passa a un ambiente selvaggio e incontaminato. Le scogliere si ergono maestose sopra il mare, offrendo uno spettacolo di forza e bellezza. Seduto su una roccia, con il vento che ti sferza il viso e il rumore delle onde che si infrangono sotto di te, ti senti piccolo, ma in pace con il mondo. In zona ho pranzato in un bel ristorantino, a due passi dal mare, di nome Bobbyland.

Un altro luogo poco conosciuto, sempre sulla costa occidentale, è la baia Ghajn Tuffiena con un interessante locale per fare un aperitivo al tramonto del sole, tra l’altro gestito da un simpatico staff di romani: si chiama Singita Miracle Beach. Occhio agli orari dei bus del rientro e alle fermate perchè poi rischi di confonderti.

Malta è anche altre isole, come Gozo, l’isoletta sorella. Raggiungibile con un traghetto (partenza anche da Ċirkewwa), è un rifugio di tranquillità e autenticità. Le sue colline ondulate, i campi coltivati e i villaggi offrono un paesaggio completamente diverso. Victoria, con la sua Cittadella, è un luogo che domina l’isola, offrendo viste spettacolari e serenità che difficilmente trovi altrove. E poi c’è Ramla Bay, con la sua sabbia rossa e le acque cristalline, un luogo perfetto per rilassarsi e lasciarsi cullare dal suono del mare.

Malta è più grande della sua estensione. C’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire, un angolo nascosto, un villaggio poco noto, una storia da ascoltare.

Alcuni consigliai finali, immancabili:

  • Visitala fuori stagione I mesi primaverili e autunnali sono i migliori per godere dell’isola senza il caos turistico. Ovviamente, se cerchi serate e disco, troverai meno offerta!
  • Perditi nelle zone meno trafficate. Lasciati guidare dall’istinto, esplora i vicoli secondari e i sentieri meno battuti.
  • Ascolta il mare: Trova un posto tranquillo lungo la costa, siediti e lasciati cullare dal suono delle onde.
  • Assapora la cucina locale: Non perdere l’occasione di provare piatti tradizionali come il *fenek* o la pastizzi
  • Vivi l’isola con lentezza: Malta non è un luogo da visitare di corsa. Anche se ti troverai nel caos, nelle disco, nel vociare di studenti e turisti (anche un po’ cafoni) e nel traffico, prenditi il tempo di assaporarla, di immergerti nella sua storia e nella sua cultura.

Scrivere di Malta è fissare su carta i ricordi, le emozioni e le scoperte. Chissà, magari tornerò a scrivere ancora, perché Malta ha sempre nuove storie da raccontare ai viaggiatori come noi.

5 motivi per viaggiare da soli seguendo il proprio ritmo

Viaggiare è uno dei modi migliori per arricchire la propria vita e ampliare le proprie prospettive. Mentre molte persone preferiscono viaggiare in compagnia di amici o familiari, c’è qualcosa di straordinario nel fare un viaggio da soli.

Se sei un amante dei viaggi e un appassionato di scoprire nuovi orizzonti, viaggiare da soli ti darà tante altre soddisfazioni.

Da molti anni, ho scelto di abbracciare questo modo unico e gratificante. Una modalità di esplorazione del mondo, per alcuni assurda, diventata non solo una passione, ma un’autentica forma d’arte e filosofia che ho perfezionato nel corso del tempo.

Ecco allora cinque ragioni per cui ho scoperto e amato il viaggiare da solo.

1. Libertà Assoluta

Una delle gioie di viaggiare da soli è godere della libertà assoluta di pianificare il tuo itinerario come desideri. Non c’è bisogno di compromessi o di adattarsi agli interessi degli altri. Se desideri esplorare un museo d’arte, immergerti nella cultura locale o semplicemente rilassarti in una tranquilla spiaggia o fermarti per ore al bar, sei il capitano della tua nave. Questa libertà ti consente di seguire i tuoi istinti e di adattare il viaggio alle tue esigenze e passioni.

2. Auto-Scoperta

Il viaggio da soli offre un’opportunità unica per conoscersi meglio. Quando sei lontano dalla routine quotidiana e dalle influenze familiari o sociali, hai l’opportunità di esplorare i tuoi pensieri, desideri e ambizioni. Questo processo di auto-scoperta può portare a una maggiore consapevolezza di te stesso e delle tue aspirazioni nella vita, ma anche a un’apertura nei confronti del mondo.

3. Incontri Significativi

Sebbene tu stia viaggiando da solo, sarai sorpreso da quanti incontri significativi potresti fare lungo il percorso. La solitudine spesso attira l’attenzione degli altri viaggiatori o degli abitanti del luogo, aprendo la porta a nuove amicizie e connessioni interculturali. Questi incontri possono arricchire la tua esperienza di viaggio in modi che non avevi mai immaginato. C’è un altro aspetto: dovrai obbligatoriamente interagire con gli altri! E quindi sarai costretto a parlare, chiedere, farti avanti!

4. Crescita Personale

Il viaggio da soli può essere una sfida, ma è anche un’opportunità straordinaria per la crescita personale. Imparerai a essere autosufficiente, a prendere decisioni rapide e a risolvere i problemi in modo indipendente. Queste abilità possono tradursi positivamente nella tua vita quotidiana, rendendoti più sicuro di te stesso e resiliente di fronte alle sfide.

5. Apertura Musicale (consiglio tipico da DJ)

Come appassionato di musica, apprezzi la libertà di ascoltare i tuoi brani preferiti quando vuoi. Durante un viaggio da solo, puoi creare la colonna sonora perfetta per la tua avventura. Che tu sia un amante della musica house, dance, techno o folk, puoi immergerti nel tuo genere preferito e sperimentare la musica locale in modo indipendente.

Il viaggio da soli è un’esperienza straordinaria che offre libertà, crescita personale, apertura mentale, incontri significativi e l’opportunità di scoprire te stesso in modo più profondo.

Con anni di esperienza nel viaggiare da solo, posso testimoniare quanto questo possa arricchire la tua vita. Non aspettare allora, non fidarti dei cattivi consigli e di chi lo vede come un assurdo! Prepara la tua prossima avventura solitaria per scoprire il mondo a tuo ritmo, con la tua musica preferita come colonna sonora e il tio zaino come amico fedele! 😉

Che aspetti?

Siviglia, tornare è sempre bellissimo

Tre giorni di viaggio a Siviglia, un luogo dove tornare sempre, caldo, accogliente, movimentato. Una città come un dipinto impressionista che si muove e respira.

Sono arrivato ripetendomi nella testa una frase banale e ricorrente: “Non sei triste, hai solo bisogno di un po’ di Andalusia”.

Siviglia sa fare il suo. È una città dove tornerei sempre. Cuore dell’Andalusia, nel sud della Spagna. Aggiungo tutta l’Ansalusia che ha un’energia speciale e merita sempre un viaggio, specie nei momenti di ansia e stagnazione personale.

Comincio dalla sua bellezza, attraverso l’architettura moresca. Siviglia è un gioiellino. La città è piena di capolavori come l’Alcázar, un palazzo reale con giardini geometici, e La Giralda, l’iconica torre campanaria della cattedrale di Siviglia che offre una vista panoramic sulla città. Non può mancare un salto, dopo una bella camminata dal centro, in Piazza di Spagna, una delle piazze più maestose che io abbia mai visto, circondata da un canale e decorata con ceramiche colorate: ogni volta che ci passo ci sono nuovi angoli e particolari da scoprire.

Siviglia e tutta l’Andalusia hanno un’altra rara qualità che ritrovo quasi sempre nei miei viaggi in Spagna: ti invita stare sempre in giro, goderti tutti gli angoli, camminare per le strade e lasciarti trasportare dai rumori, dagli odori e dalla musica, entrare in un bar, farsi una cerveza fresca, chiacchierare e lasciarsi andare. Il flusso che non si ferma e che vede protagonisti soprattutto i giovani che qui trovano delle Università di prim’ordine.

Da dj le mie orecchie sono sempre sintonizzate sulla musica. Siviglia è la patria del Flamenco, l’espressivo genere di musica e danza tradizionale spagnola. Ci sono in giro spettacoli autentici e coinvolgenti, ma anche suonate gitane. Ne trovi nei porticati in piazza di Spagna oppure vicino alla Cattedrale, in quasi tutte le ore del giorno. Una pausa musicale che merita.

Cammino sempre per le sue strade strette, con i balconcini, i piccoli bar – nel Casco Antigo ti suggerisco il popolare Er Tito – e i negozi datati. Stimoli sensoriali, patchwork di colori, suoni e odori che si fondono in una sinfonia caotica e gioiosa.

Come un moderno flaneur, mi lascio guidare ogni volta dall’istinto e dalla curiosità, pronto a scoprire ogni tesoro nascosto ma anche a riabbracciare quello che ho visto negli altri viaggi, magari con nuove consapevolezze.

La sera, che sera! Le strade si riempiono di vita e allegria. I bar, i ristoranti e le terrazze si animano di persone che si godono la vita. C’è un’energia che ti entra nelle vene. Tapas e gastronomia andalusa ti conquistano, con le crocchette di jamón, le patatas bravas e il salmorejo.

Un buon ristorantino economico è il Bodega de San Fernando in calle San Fernando dove potrai anche scegliere anche una semplicissima ma curata insalata detox (e non è così scontato trovarla). Un aperitivo invece è consigliabile nella plaza de San Francisco, anche questa animata di musica. Le opportunità sono davvero tante e troppe da raccontare!

Prima di partire mi godo un aperitivo tinto d’arancio in un baretto di nome Kiosko Bombay, davanti alle acque del Guadalquivir. Con una bella selezione houseggiante del dj locale, vedi il tramonto che scende sulle case, con un misto di meraviglia e nostalgia, consapevole che momento sia il miglior saluto alla città.

Contrasti e energia, cara Siviglia! Ogni angolo racconta una storia, ogni vicolo nasconde un segreto sotto forma di baretto o negozio curioso.

Promessa di inizio racconto rispettata: Siviglia ti dà qualcosa che ti manca! Magari sono riuscito con le mie parole a trasmetterla.

Hyde Park e passeggiate londinesi

È un sabato mattina londinese e sono immerso in un crogiolo di tutto e di più. C’è la musica – oh, la musica! – un tappeto sonoro che mi segue ovunque, modulando il suo ritmo in perfetta armonia con il contesto spaziale-temporale. Read More

Sitges e la Catalogna, le due facce della Spagna

Prendere i treni di notte in stazioni vuote è una ginnastica per l’anima.

Lascio Sitges come sta per piovere.

La vitalità di queste città iberiche sul mare, così uguali con il “solito” lungomare di spiagge lunghissime, ristorantini, caffè , case basse e centro storico medioevale è sorprendente.

Ogni angolo rivela una ricchezza di storia e cultura, unendo il passato e il presente.

La Spagna e la Catalogna sono così, l’ho capito: tradizionali e rispettose del passato, tenuto orgogliosamente vivo delle insegne dei negozi fino alle feste religiose, ma pure consapevoli del presente e del dinamismo della società. Un compromesso, come nella lingua che rimastica i termini inglesi e li propone nella versione locale.

Si respira sempre una grande vitalità. La musica, il movimento continuo della gente, le birre come fosse una fabbrica, l’olio in ogni dove, la spiaggia come un agorà, i bimbi che giocano ovunque a pallone con le maglie del Barcellona, i parchi e le piazze affolate di giovani e anziani e la chiacchiera quasi fastidiosa della gente.

Non a caso qui è passato, leggo, anche il Modernismo catalano. Gli artisti continuano a trarre ispirazione perché l’aria sfuggente glielo suggerisce.

Ho incrociato così la storia di Santiago Rusiñol y Prats, artista, scrittore e drammaturgo catalano che ha esercitato in un’epoca di impressionante effervescenza nella cultura di una Catalogna borghese e cosmopolita.

La Chiesa di Sant Bartomeu i Santa Tecla, quella che si nota in ogni cartolina e foto, sembra quasi tuffarsi in acqua. Una bella scoperta all’interno: è ricca di ornamenti e di particolari. La trovi vicina al mare – strano, rispetto al solito – una sentinella silenziosa, un baluardo dalla furia delle onde che oggi non hanno dato tregua. Divide la città in due, così come due spiagge, la Platja de Ribeira e de La Fragata e quella di San Sebastià.

Proprio vicino alla Chiesa c’è il museo del Cau Ferrat fondato da Rusinol per conservare e mostrare la sua collezione d’arte. L’ha donato alla città per l’affetto che provava.

Quanto l’amore per gli artisti ha dato lustro alle città? Ma questo amore non va isolato: è poi attaccamento continuo di chi ci vive.

That’s all fuck!

Il Viaggio che sa di Cammino sta per finire.

Ho ancora un po’ di tempo per me come le ultime Brooklin incartate d’argento che spuntavano dalle tasche dei Levi’s prima della scritta minacciosa BENVENUTI A CAGLIARI.

La stanchezza affiora. Le gambe – per fortuna – resistono bene, la testa pure. Aveva ragione è quell’amico che fa il verso al venerdì per dirmi “le gambe sono tutto!”.

Le storie sul quaderno sono avanzate. Ho fatto foto, pochssimi video. Ho ascoltato poca musica seguendo più i rumori e i silenzi. Ho corso un pochino, quanto bastava per dire che l’ho fatto. Ho camminato molto. Credo che in totale abbia accumulato non meno di cinquanta chilometri, tanti con lo zaino di oltre dieci chili. Mi accorgo che posso togliere ancora qualcosa per renderlo più leggero. Una maglia in meno e forse il computer. I libri letti con l’ebook non sanno di nulla, sono sesso senza coito.

Ho meditato ogni giorno provando a cogliere l’energia dei luoghi, il genius loci. In alcuni casi mi son immerso, in altri ho dovuto aspettare, in altri mi son sentito estraneo. Ho imparato qualche parola e frase di castigliano che non avevo. Ho letto in catalani. Ho visto e ballato la sardana. Ho fatto tante gaffe. Non ho capito cosa mi dicevano gli altri e ho risposto YES. Ho incrociato storie di artisti e persone che voglio approfondire. Ho letto un po’di Pessoa e Proust, faticosi e intensi che meritano attenzione e cura. Potevo mangiare meglio, questo è vero. Ho riaffermato il mio amore per i treni, specie la notte, e la salvezza dei bus.

El prat è immenso, ma senza poesia. Le vetrine patinate, i caffè con logo studiato, le cose unitili del duty free.

Due persone urlano. Riconosco la parlata. “Lo vedi che imbarcano là?!”. Nella moltitudine dell’aeroporto sono protagonisti della scena. Sono sulla strada giusta per il gate. Incontro un amico che non vedevo da tempo immemorabile. Anche lui è innamorato di questo paese e ha la fidanzata spagnola. Chiacchieriamo e raccontiamo un po’ di esperienze e viaggi, paesi da vedere e scene da viaggiatori. Tipo che quando l’aereo atterra nella nostra città tutti si alzano in piedi prima che il comandante tolga l’indicazione delle cinture. Sorridiamo anche perché l’aereo per Cagliari sia sempre parcheggiato in fondo alle piste.

Caos allla partenza. Bagagli che volano. Davanti a me un sardo dice a uno spagnolo che ha lagato per avere lo zaino in cappelliera, ma lo spagnolo gli chiede di metterlo sotto che altrimenti non sta il suo trolley. Alla fine stanno tutti e due. Le hostess sono le più pazienti e sorridenti che abbia visto.

In volo vicino a me c’è una coppia spagnola che legge un portentoso volume turistico sulla Sardegna. Si sofferma sul Sulcis. Confermo l’ottima scelta con una frasettina che mi preparo da Google traduttore.

Atterriamo. Il venticello caldo e umido della Sardegna. La prima scala mobile non funziona. Cartelloni sardi. Sardo buono, sardo bello, compra sardo. Non rubare la sabbia ched’ è peccato. Lo sguardo degli agenti della finanza. Niente sapone nei bagni. “Ha cambio?” solita scena al bar con quello sguardo di traverso che solo noi, solo noi, canterebbe Cutugno.

Stazione di Elmas Aeroporto. L’obliteratrice non funziona. I turisti hanno timore di essere multati. Un anziano francese fa la foto alla rotaia e sorride. Nessuno a cui chiedere. Avremo sbagliato posto?

Il treno ha la temperatura di un discount d’estate. Una voce squillante ricorda gli abbonamenti pendolari. Il controllore ha un codino, un ciuffo bianco e doppio orecchino. Controlla con tono gentile. Tempi che cambiano.

Niente fermata a Santa Gilla, che poi mi chiedo ancora a cosa serva. Domande senza risposta.

Stazione di Cagliari, corsa finita.

Piazza Matteotti. Transenne. Cacca di cane. Panino mangiato a metà. Sguardi torvi. Transenne. Solo i turisti hanno sguardi curiosi e pieni di fiducia.

Poi ci sono io, viaggiatore a casa mia. Che poi casa mia è un concetto pericoloso, prevede un proprietà e la presenza di un “altro” che non sarebbe a casa.

Fine della poesia. La più grande missione è trovarla ancora, in una terra bella e violentata, che come me ha paura del mare e di tutto quello che c’è fuori. Quella poesia, dove si è nascosta? Questo bel venticello da qualche parte ci porterà.