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Carloforte, Mediterraneo

“Cosa posso farci, se io sono nato nel Mediterraneo?”
C’è sempre qualcosa di speciale nelle città di mare e prendere un traghetto e sentire anche solo quell’odore acro di gasolio, ferraglia e salsedine, la spuma e l’approdo in un altro luogo ti riconcilia con la vita.
Alle 18 la bianca Parrocchia di San Carlo Borromeo rintocca e i pochi fantasmi per il centro si diradano.
I bimbi tristi puntano le bici verso casa e tante piccole lucciole si perdono nelle ombre della sera. Gli anziani stanchi cominciano la camminata, i bar riordinano le sedie e chiudono i conti in cassa.
Tutto si ferma in questi angolo di Mediterraneo, lontano dalle ansie del mondo e dagli stress delle metropoli.
Resto io e pochi temerari a sfidare questo lockdown mentale. Forse solo io. Camminando per il dedalo di strade che nascondono segreti di famiglie, decifrando rumori di pompe di calore, guardando insegne curiose, menù disposti sugli angoli, chiacchierate lontane e motorini, profumi di forno a legna e venticello che solletica la pelle. A un certo punto sono davvero solo: mi siedo nei gradini e mi faccio cullare dalla magia del momento sicuro che nessuno in questo angolo di terra, tra questi scalini con ciuffi d’erba casuali, possa disturbarmi.
“Cosa posso farci, se io sono nato nel Mediterraneo?”

Giara di Siddi

In questo momento di incertezza non mi va di richiudermi a casa. Così, prendo la macchina e mi allontano dalla città.
Scopro che ci sia un’energia nei nostri territori e paesi che quasi ti mette in crisi. La avverti, la vivi, cerchi di farla tutta tua. Attimi di beatitudine da non farsi scappare quasi fossero l’ultimo treno della notte.

Ieri sono finito quasi per caso all’altopiano di Siddi, a ripescare tante cose: i ricordi da bambino, la serenità, la gioia di vivere, la dolcezza della vita agropastorale, quell’ultimo giorno che vidi mio padre in forma. Ricordi belli, sensazioni e nostalgie che non si sciolgono.

Il rumore delle pecore, il fruscio del vento, un pastore che mi raccontato il suo lavoro e la sua vita con quella semplicità che ti stupisce, le luci dei paesini all’avanzare della sera, dopo un tramonto infinito.
Cose semplici, in tempi dove l’odio e l’isteria hanno preso il sopravvento.

Preparando le vostre cazzo di autocertificazioni metteteci anche questo: il diritto a essere liberi e goderci la natura, a uscire per un motivo alto e nobile, noi stessi e la nostra vita. E questo lo dico a certi politicanti e ai loro vassalli, agli yesman travestiti da anime pie e tutti i servi che fanno parte della nostra società, con o senza medaglie, che hanno venduto la nostra dignità per due euro. Che hanno giocato a testa o croce col dolore di chi ha voce, di chi soffre, di chi obbedisce tacendo.

Distanti da tutto e da tutti, responsabili e consapevoli, ma liberi e vicini al proprio cuore e alla gente, quella vera.

Slurp!, musica house, Sardegna e amore!

Musica house e territorio! Slurp è un progetto condiviso con l’amico Matteo Carta e alcuni colleghi dj (Laddo, Giacomo Busonera, Mr Bizz) per aiutare la Sardegna in questo momento di difficoltà, attraverso il racconto della bellezza del suo territorio.

Djset in location straordinarie (nel video mi vedete in Batteria Boggi, a Nora), che diventano video da far circolare. La musica è un codice universale capace di arrivare ovunque, superare le distanze e gli steccati, di parlare a tutti. Promuovere la Sardegna ma non solo… anche farci sentire meno soli!

Siamo partiti da Pula, chissà dove arriveremo con Slurp!

Ecco il mio video promo!

Viaggiatori contemplativi

L’amica Giulia Loglio, esperta di turismo contemplativo, mi ha insegnato tempo fa una parola nuova: flaneur, che vuol dire “passeggiatore svagato e a momenti curioso”. Le parole aprono mondi e suggestioni infinite, che puoi riempire poi di contenuti.
Ho finalmente trovato qualcosa che riassumesse un modo di viaggiare che adoro, disincantato, leggero, scazzato, curioso e senza ritmi turistici.
Pochi punti di riferimento, molta casualità, vicoli incerti e luoghi meno battuti.
Si rischia di sbagliare, di perdere tempo, ma forse il genius loci o il dio dei viaggiatori ci trova sempre una soluzione!

Oggi mi son inerpicato per le vie strette di Coimbra senza una direzione particolare, se non quella di salire e salire, non senza fatica, incuriosito dal silenzio e dai vicoli senza fine che nascondevano giardini e case abbandonate, fichi e piccole taverne. E trovare poi tante cose interessanti da vedere, non sempre scontate!
Grazie ancora Giulia!

Mondo della notte, the day after

The day after, anzi il secondo giorno dalla decisione del Governo di chiudere i locali da ballo lascia spazio a ragionamenti meno istintivi e più ponderati. Queste mie parole vogliono essere un contributo propositivo al dibattito, anche per abbassare certi toni registrati in rete.

L’amarezza è tanta, non solo per la chiusura delle disco in sé – che in realtà leggendo bene è un divieto al ballo come motivo dell’assembramento e una disposizione a fare altro come aperitivi e ristorazione con accompagnamento della musica del DJ o dei gruppi dal vivo – quanto l’attacco mirato, violento e ingrato al mondo della notte, come causa di tutti mali nostrani.

Un attacco che si perde, perdonate la ripetizione, nella notte dei tempi. La disco come luogo di perdizione e di crimine, le stragi del sabato notte, i crimini della notte, quando, numeri alla mano, si potrebbero snocciolare mille esempi diversi.

La domanda è: perchè sempre le disco? Perché il mondo della notte? In questi oltre vent’anni da dj e giornalista che ha raccontato questo mondo dalla mezzanotte in poi me la son sempre fatta. Come se le disco non fossero un piccolo specchio del paese. Come se nelle disco ci fossero altre umanità non riconducibili a questo pianeta, magari i nostri figli, parenti, vicini e conoscenti, ma “altre persone, altri mondi misteriosi”. Persone normali che le frequentano e ci lavorano: dallo studente che si paga l’università facendo il camerie al manutentore, dal padre di famiglia che esegue i lavori al service, dalla security agli staff bar insieme a tanti fornitori e collaboratori. Ma non voglio restar qui a dilungarmi su chi abbia più o meno colpe o a riaffermare che gli assembramenti sono ovunque. Basta girare per i social e uscire di casa per vedere che il problema di responsabilità ed educazione sul Covid-19 è collettivo. Ho visto assembramenti e zero controlli in tanti luoghi, adulti e giovani che non avevano cura di stare attenti e distanziati, irridere qualsiasi regola tronfi del proprio essere “a casa loro”. Questo non fa notizia. Ripeto, non sto qui a ribadire chi abbia più o meno colpe e fare il pubblico delatore, pur avendone documentazione, anzi lascio ad altri l’ingrato e infame compito. Le guerre tra categorie sociali ed economiche non mi appartengono.

Forse, scriveva bene Alessandro Lippi su Djmag, la disco è un “capro espiatorio comodo per accontentare morale e ipocrisia paesana“. Cancellerei anche il forse, perché ne ho la certezza. Ma attenti, questa assunzione non esula tanti locali dalla loro colpe. Indifendibili per tanti casi visti che hanno messo in secondo piano chi, e son tanti, hanno provato ad adeguarsi alle regole. Tanti son caduti nel tranello di riaprire senza mettersi il dubbio che una costante e continua violazione delle regole potesse essere accettata e durare a lungo, neanche memori del disprezzo accumulato nel tempo dall’opinione pubblica.

Oggi più di ieri al mondo della notte manca, però, qualcosa di più: la volontà di far parte della società, di essere credibili, di dotarsi di una vera rappresentanza che possa condividere e non subire le decisioni della politica, la credibilità e la voglia di essere categoria seria e presentabile e non un oggetto sconosciuto e misterioso, con i suoi mille vizi e ambiguità.

I professionisti son pochi, chi mette la faccia idem – unico a Cagliari è Nicola Schintu del Room – e quando accadono questi avvenimenti si nota fino in fondo quanto poi ci si riduca solo a sbraitate sui social o silenzi imbarazzati senza nessun passo in avanti utile e senza mai essere presi sul serio da nessuno. Il divertimento invece è un’industria, è un lavoro, è impresa da 4 miliardi di fatturato e centinaia di migliaia di posti di lavoro, non è propriamente un gioco. Questo dovrebbe essere punto di partenza.

Quali idee, allora? Creare una consulta regionale dell’intrattenimento che lavori costantemente con istituzioni e forze dell’ordine e che sia il punto di riferimento. Stilare delle regole e valorizzare il mondo della notte in maniera di diversa, come elemento di aggregazione e risorsa culturale e sociale del territorio, tutelando chi lavora onestamente. La disco può essere un veicolo di messaggi sociali ed educativi importante. Rafforzare l’idea che la musica sia un elemento cultura da difendere e tutelare in tutte le sue forme, e che imprenditori, lavoratori ed artisti non vengano lasciati soli.

Diceva sempre bene sempre Lippi: “la disco oggi è incompatibile con la situazione sanitaria che stiamo vivendo”. Inutile girarci attorno. Il ballo crea assembramento e qualsiasi pensiero si abbia sul virus, qualsiasi sensibilità, è un dato di fatto. Nascondersi sarebbe da falsi e ipocriti. Peggio ancora soffiare sul fuoco, incitare alla disobbedienza, strategia che diventerebbe un boomerang. Se ne son accorti molti clienti che mi hanno scritto. Mi ha stupito che fossero giovani. E noi stessi dj facciamo la differenza e veniamo acclamati in una pista e da un’organizzazione se facciamo ballare o meno la gente. Come risolvere questo dilemma? 

Oggi come oggi, gestire il pubblico è impossibile. Come dire ai clienti “non ballate e distanziatevi”, quando la disco di per sé è questo, ballo, socializzazione, incontro, abbraccio, strusciamento?

Ecco perchè bisogna fare un salto di qualità. Non possiamo con il nostro interesse particolare e momentaneo mettere a rischio neanche lontanamente il futuro, oltre che del paese, dello stesso mondo della notte, specie quando capiamo che ogni errore sarà oggetto di campagne di stampa contro, di giornali affamati di click e poca conoscenza del problema, di opinione pubblica col dente avvelenato.

Bisogna essere oggi un po’ meno attaccati al momento e più lungimiranti. La disco non è più la stessa. La gente, anche quella che ama la disco, non è (sempre) la stessa. L’opinione pubblica non è la stessa. Ogni errore si paga, anche strategico e politico, anche fatto in buona fede.

E’ stata un’occasione perduta, posso dirlo? Per dare un’immagine diversa, per far emergere il bello della categoria. E ci siamo dentro tutti, ci mancherebbe. Nessuno nega che fosse arduo se non impossibile vincere questa battaglia in un campo fangoso con le regole – impossibili e assurde – come il distanziamento arrivato fino ai due metri. Siamo seri, come era possibile rispettarle? Forse si doveva restare chiusi con indennizzo, forse sarebbe stata miglior strategia, che andare in pasto ai leoni.

La disco deve darsi una mossa e cambiare passo. Non si può più vivere a metà pensando di trovare escamotage o soluzioni miracolose. Questo “apri e chiudi” continuo sarà la colonna sonora dei prossimi mesi, sempre più incerti, di un Paese dove cultura e istruzione sono ugualmente ferme, dove la sanità è ancora nel caos e spesso fare una visita specialistica comporta tante attese. Un paese che, volenti o nolenti, ha sofferto e in cui tanti hanno paura. Neanche questo si può dimenticare. E noi dovremo adeguarci a questo strano e nuovo ritmo, una occasione di svolta.

P.s. Un pensiero particolare va a tutti i lavoratori del mondo della notte che oggi sono in difficoltà.

Un sabato al litorale di Gonnesa

Il litorale di Gonnesa è la Riccione del Sulcis. La sensazione è che la macchna del tempo si sia accesa e come per magia abbia tenuto fermo e immacolato questo luogo alla fine degli anni 90. Lontano da tutto e tutti. E le persone sono sempre quelle.
Da Gina il menù è cambiato: i generosi primi piatti, i tranci di tonno carlofortino e i sontuosi crudi di mare son stati sostituiti da soluzioni veloci, panini e hamburger, anche se va a ruba l’unica pasta con frutti di mare nel menù e una generosa teglia di cozze.
I turisti, pochi, si muovono disorientati tra una folla solo locale.
Il karaoke non è ancora partito e la musica in sottofondo è quella della classifica dell’estate che inonda gli avventori del Sapore di Mare che si godono la brezza di mare e ogni tanto volgono lo sguardo alla spiaggia dove i più temerari si godono questo sabato a due passi dalle onde.
In un tavolo una ragazza con una maglia nera prova a muoversi.
“Il suono delle tue risate
Il primo giorno di una nuova estate
Ho voglia di fare tardi la sera
Karaoke Guantanamera” mentre una giovane mamma spupazza la figlia, stanca e sonnecchiante, in braccio.
Nel piccolo litorale sulcitano sono lontane le auto di lusso e vip, i jet set e i ritrovi patinati sostituiti da generose utilitarie rateizzabili guidate da famiglie allargate con figli incollati agli smartphone, coppie anziane che si godono la musica da lontano con sguardo nostalgico e signore che si gustano ogni patatina intingendola con saggezza nel ketchup.
Alla paninoteca da Giada il personale vestito di nero sforna panini con salsiccia e wustel ma anche carne di cavallo. “Diffidate delle imitazioni”, c’è scritto nel cartello sul marciapiede. Forse c’è tensione con l’altro paninaro, il Rainforest, il cui outfit è tutto verde e lo schermo spara Estate di Jovanotti mentre un ragazzino con tatuaggio vistoso e lo sguardo furbetto recupera una birra e chiede un panino con salsiccia ben cotto. Welcome to Plage Mesu, c’è scritto, ma nessuno qui parla inglese.
“Metà ketchup e metà maionese, sono
12 euro”.
Il karaoke di Sapore di Sale è partito con un timido applauso e una canzone dei sempreverdi Litfiba che un tempo nella provincia sarda facevano derby con Vasco Rossi. Poi arrivò la dance di Corona e Gigi d’Ag, ora il reggaeton. Chissà cosa fosse meglo.
«Acqua e sale mi fai bere….» e ancora altra musica italiana. Roberto e Anna, sposi da poco, si dividono il microfono tra gli incitamenti degli amici del tavolo 12.
Un cartello ricorda le destinazioni: no, non ci sono NY, Barcellona, Mosca, Oslo o Tokio ma Carloforte, Nebida, Sant’Antioco, Masua. Troppo lontano quello che si chiama resto del mondo, e chissà se poi davvero siano interessati, qui a Gonnesa, nella Riccione del Sulcis, a raggiungerlo.

Sul Lungomare del mondo

Poche città in Sardegna hanno un lungomare. Non è così scontato anche se siamo in un’isola.
Il lungomare non è solo un luogo fisico, una strada, un lastricato, è un’esperienza di vita, una filosofia, un modo esistenziale, un affacciarsi al mondo e alle sue vicissitudini.
Avevo promesso di tornare ed eccomi qui, per fortuiti impegni di lavoro e per chiedermi «cosa posso fare io per la Sardegna?». Scoprirla, sentirla, senza la presunzione di capirla. Anche se cerco in Sardegna cose che difficilmente fanno parte dell’immaginario tipico del turista. Non la massa, non la spiaggia patinata, non il luogo strafrequentato. Cerco leggerezza e malinconia, cerco ancestralità, che sono parole complesse in un mondo sempre più assetato del peggior marketing, quello che dimentica il valore assoluto delle persone.

C’è questo lungomare allora, dove il profumo della salsedine si appiccica in stanche ma dignitose barche dai nomi diversi, femminili più che altro, ormeggiate in maniera quasi casuale e in attesa di riprendere il mare. L’ansia di chi si sente oppresso da una corda che lo lega.
Dove il profumo dei primi fritti a cena che le famiglie e le coppie aspettano con ansia aleggia insieme a gabbiani che descrivono geometrie.
Dove a una certa siamo rimasti in pochi a goderci un inutile mercoledì senza pensieri, lasciando scorrere via le amarezze e le delusioni dell’anima e riabbracciando il senso profondo.
Da onesti nomadi digitali, da dj senza fissa consolle, da scribacchini senza libro, viaggiatori precari riusciamo ancora a emozionarci davanti al mare.

Cala Sinzias

Quanta acqua è passata da quando, estate 2018 pensavo che forse quella epserienza milanese sarebbe stato un capitolo, bellissimo, ma pur sempre un capitolo.

Ci riflettevo qui, in questa spiaggia, ravanando le scatole a due pazienti amiche con cui parlavo seduto in riva al mare.
Poi quel pensiero divenne realtà un anno dopo, con una lettera di dimissioni e un ritorno in patria.
Ma quante cose son successe ancora? È c’è stata anche la pandemia a ricordarmi il valore del tempo e delle persone e alla necessità di non sprecare.

In questi mesi ho conosciuto e incontrato centinaia di persone, avviato progetti senza l’ossessione di dover fare tutto con tutti e soprattutto evitando quelle situazioni che sapevo non potessero andare bene e quelle persone che portavano energia negativa (e ce ne sono) anche se fossero molto forti “politicamente”.

La cosa bella è che, nonostante tutto, persone positive attraggono altre persone positive. Ismaele le chiama “persone etiche” e mi ha illuminato con questa sua frase qualche giorno fa.

Il cammino è lunghissimo ma ogni giorno mettiamo un granellino di sabbia nel nostro contenitore chiamato vita. Alla fine dei nostri giorni, se saremo riusciti a riempirlo senza aver rammarichi, quella sarà la più grande soddisfazione.

In riva al mare

Ora sono di fronte al mare. Il cielo è nuvoloso come fosse ottobre. I ragazzi e le famiglie giocano spensierati. Il mare è una tavola liscia. L’aria è fresca e questo è un momento magico. Adoro il mare senza il sole, queste giornate incerte che non sai come si evolvano.

Nel pc c’è l’ultimo progetto editoriale, uno dei tanti su cui mi sbatto ogni giorno. Purtroppo il computer si è riavviato e ho perso il lavoro di un’ora. Maledico la mia disattenzione e provo a capire il perchè.

Ci sono sogni che posso raccontare che poi obiettivi su cui mi misuro ogni giorno.
Dopo vent’anni, mi auguro almeno altri vent’anni da DJ, poco importa se diranno – lo fanno già ora – che sono vecchio e passato o scarso. E poi che la mia piccola attività di comunicazione e ufficio stampa che ora è bella impegnativa si sviluppi ancora molto. Possa fare del bene per tante persone che puntano su di me, assumere buoni collaboratori e dare lavoro ad altri, specie nella mia Terra.
Restare sempre autonomo e indipendente, anche se significa restar “piccoli” in un mondo di squali.

Bigliettini

Nonostante l’accelerata del digitale, la web call, il lavoro a distanza, credo ancora nel caro e vecchio biglietto da visita, nel contatto umano, nell’incontro e nella condivisione.
Questi biglietti, nati da un’idea di Matteo Carta e dalle foto di Davide Esse sono stati stampati in quarantena.
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