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La Lolla ad Arzana

Sabato scorso, una intensa ad Arzana dove ho curato la comunicazione per la posa delle Lolle, le pensilini identitarie e sostenibili.

Un progetto nato da Marco Bittuleri di Opera.bio, con l’interior designer Luca Poerio e l’intervento creativo dell’artista Mara Damiani.
Felice di fare questo bellissimo lavoro di comunicatore e giornalista per dare voce alle buone idee.
Felice di essere vicino alle nostre Comunità, alle persone, alle loro storie e progetti e scoprire ogni volta mille motivi per stare in #Sardegna.
La Lolla, anzi le Lolle, sono realtà! 😎
Ancora grazie e complimenti a Marco Bittuleri Luca Poerio Mara Damiani Comune di Arzana Opera.bio

Due giorni ad Alghero, tra ricordi e futuro

“Voglio andare ad Alghero in compagnia di uno straniero” cantava Giuni Russo, la bella voce della musica leggera italiana, purtroppo scomparsa, che nella cittadina catalana aveva posato le sue radici.
Quanto erano belli quei tempi per noi nati a metà anni Settanta?
Ricordi da cassettina musicale, da estati che iniziavano a giugno e finivano a settembre, musica nei radioni, stabilimenti balneari e abbronzature infinite.
Per i sardi l’estate era solo il mare, senza eccezioni. Ed il mare, quello vero, era solo Sardegna.
Alghero, anni ottanta. Fotografia Kodak. La gioia, la spensieratezza del tempo del pentapartito e dell’Italia socialista e democristiana ricca e gaudente, del contraltare della Costa Smeralda. Alghero meno patinata e più popolare, ma pur sempre uno dei (pochi) avamposti sardi del turismo organizzato.
Alghero è stata anche i primi capodanni importanti di fine millennio, i concertoni e i fuochi d’artificio, Ryanair, e gli irlandesi. Le discoteche celebri che resistevano alla crisi tenendo il baricentro sulla musica house e le Pasque dei cagliaritani in trasferta.
E’ la Cagliari che ce l’ha fatta, e nessuno dei miei concittadini si offenda. Un viaggiatore avverte che è una città realmente turistica, pur con le tante remore a sfruttare tutte le potenzialità di un territorio bellissimo, non solo nella sua delimitazione urbana.
Alghero d’inverno è ora una cartolina sbiadita, ma pur sempre speciale di quella dolce vita mediterranea. Bisogna camminare spensierati aspettando la primavera, magari provando a ricordare i fasti del passato, perdersi tra vecchie insegne, hotel dal sapore riccionesco e stabilimenti in ricostruzione.
Nel centro storico stradine illuminate con negozi deliziosi, lampade sospese, cartelli in catalano solleticano la fantasia. Ci sono le influenze e i profumi di una storia lunghissima tra fasti e carestie dal XII secolo sino ai giorni nostri.
Tutto è ordinato, gioioso, festaiolo, anche se purtroppo c’è poca gente. Ma all’aperitivo serale giovani e meno trovano un posto per sorseggiare un drink e chiacchierare vicino alla Torre di Sulis.
Orange bar, drink, music and fashion, propone la musica reggaeton e trap. Clienti giovani, scelta in target. Il Ristorante il Pavone nasconde un’insegna di altri tempi.
I tavolini sono allineati nelle piazze, protetti da coperture frangivento. Nei ristorantini si offrono menù gustosi tra terra e mare, arricchiti da vini sontuosi come il Torbato, Sauvignon, Chardonnay e Vermentino tra i bianchi, il Sangiovese, il Cabernet Sauvignon, il Cabernet Franc e il Cagnulari tra i rossi. Nei tavoli si nascondono stranieri residuali, algheresi doc e viandanti come me in cerca di nuove sensazioni o ritorni al futuro.
Il mare dell’ovest Sardegna è la certezza, il tramonto uno spettacolo da godersi senza dover pagare nulla, “il sole che resta più a lungo” una frase azzeccata che accompagna il cartello d’ingresso alla città. È il raggio che si poggia fino a tardi su chiese, torri e costruzioni, voci del tempo che raccontano tradizioni, costumi di ogni epoca.
Il lungomare principale è un salto immediato a Barcellona: inizia dal porto storico, sotto le mura e termina al confine con Fertilia. L’idea, mi racconta l’amico Fausto Farinelli, è di farlo proseguire ancora. Ci sono tante opere incompiute e Alghero può dare ancora di più. Forse il sole, la bellezza del suo profilo, il mare che incombe e durante la sera diventa una voce in sottofondo, sussurra la necessità di rilassarsi e di non andare oltre. Non sprecarsi per creare una nuova città del futuro. Accontentarsi.
Mi fermo per far colazione sempre davanti alla spiaggia, tra il Kelu Lounge Bar e il Mar de la Plata, due bellissimi chioschi distanti un chilometro. Incontro un amico, Gianmarco. Mi racconta del suo amore per questa città. Ora lavora in un ristorante con cucina americana e ha trovato il suo equilibrio. Germania, Francia, e poi ancora Sardegna. “Voglio mettere radici qui” e fare questa scelta oggi è coraggiosa.
Beviamo un caffè a due passi dal mare, gioia degli occhi e della pelle solleticata dal vento. Poi lo saluto, una call di lavoro e sono impegnato per un po’. Mi chiedono da Milano da dove mi stia collegando. Mostro lo scenario attorno. C’è un po’ di benevola invidia.
Per pranzo vado al Lido che ha ancora una vecchia insegna e ti abbraccia tra l’azzurro delle pitture e quello del mare luccicante di metà giornata.
Il cameriere, simpatico e con tono di sfida, chiede subito “allora, terra o mare?” e poi racconta i gustosi piatti che la cucina propone. Deliziarsi con uno spaghetto e lo scenario della spiaggia è una altro spettacolo. C’è molto vento, stiamo dentro. La sala è grande e da una vetrata osservi il lungomare.
Ci serve una cameriera dagli occhi a mandorla gentili, protetti da occhiali con montatura dorata. Incrociamo per caso il signor Beltramo. E’ il gestore della struttura, in divisa da lavoro. Saluto Fausto che intanto va via. Il signor Beltramo mi invita un caffè e mi racconta di tutti i progetti, la sua storia, i ricordi cagliaritani. Mi presenta il personale e il figlio che lo sta aiutando nei lavori di ristrutturazione, con un invito “torna da queste parti, sei nostro ospite!”.
Mi metto le scarpette, devo provare Alghero da runner. Correre qui significa trovare un senso alla fatica. Gli occhi si rigenerano e puoi vedere cambiare lo scenario, tra lungomare, porto, bastioni e poi cala Bona, una insenatura protetta dove mi fanno compagnìa una famigliola che prova a entrare in acqua. Quando il sole cade sul mare il freddo comincia a farsi sentire. Alzo la zip della felpa ma capisco che serva a poco.
Sera.
Nei lungomari si accendono i lampioni, le città assumono un’altra veste, delicata, malinconica, tra una canzone di Carboni che “vedeva accendere stelle ad una a una” e di Jovanotti che resta disorientato facendo i conti col passato, sempre in un lungomare.
Alessandro, un caro amico che fa l’autotrasportatore ma lo vedrei bene come mio agente personale da DJ, mi porta sempre a scoprire ristorantini interessanti.
“Fermati o torno a Cagliari con dieci chili in più” ma lui, indomito, consiglia posti e propone con una recensione accurata. La Saletta e poi l’Aragon. Poi una pizza al Miramare. Anche lui è diventato algherese.
Alghero è sarda e italiana, un po’ tutto e un po’ niente, ma non solo, come si può immaginare facilmente leggendo i nomi delle strade, in doppia lingua e assaggiando la regina delle ricette locali, l’aragosta alla catalana. Enclave vera e propria del regno iberico, tutto ad Alghero rimanda a Barcellona. Ed essendo Barcellona una mia seconda casa, anche Alghero oramai sta diventando un luogo dell’anima.

Lunedì da zona bianca in Sardegna

Lunedì, faccio la spesa, incontro un amico e poi vado in studio di registrazione per un progetto musicale.
Tutto programmato per poi rientrare a casa, farmi un’insalata semplice, senza nessuno slancio. È lunedì e il corpo lo sa.
Le 9 di sera sul cruscotto, l’aria frizzante, le luci del lungomare.
Perché tornare a casa? Cambio strada, via. Alla radio gli Spandau Ballet, through the barricades. Mi rivedo nell’88, pischellino di 13 anni con i vinili nello stereo Aiwa del salotto, ascoltavo la musica di mio fratello, schiacciavo i tasti della Olivetti di papà e sognavo cose che avrei fatto da grande. Tutto scritto dal destino: scrittura e musica. Scrittura e musica. Non sono nato oggi, radici profonde.
Prima pizzeria, insegne luminose, troppo tardi per chiamare qualcuno a unirsi. «Sono solo», scambio sorrisi col cameriere, poi ai tavoli. Si accomoda anche il mio zaino che mi farà compagnìa. Vedo l’emozione di chi come me vive questo strano giorno e una cena un po’ speciale. Un compleanno rumoroso, una coppia di amici, un’altra di amiche.
Non è capodanno, non è natale, è un fottutissimo lunedì che potrebbe essere inutile se non fosse il primo di zona bianca. Un lunedì di speranza.
Sono felice per me, per chi lavora, per chi vive, per come stanno andando le cose.
Una pizza e un bicchiere di vino. Li chiamo attimi di inutile felicità. Ma grazie a questi sopravvivo e invecchio come voglio.

BUONA VITA A TUTTI

Bitti, ferite e futuro

Non so se sia una caso con la bella notizia della zona bianca, ma oggi sono a Bitti per una bella iniziativa della Federazione calcio, in una giornata di sole.
Essere qui significa vedere, metro dopo metro, il contrasto tra una natura che ti affascina e ti rende un puntino, e i segni delle ferite, il terreno violentato dalla furia di acque e detriti in ogni suo angolo.
Ferite che si riemargineranno, ne son certo, e che non scalfiscono l’orgoglio dei bittesi, che tengono duro, e anche oggi lavorano alla sistemazione.

Poi c’è la speranza.
C’è il signor Giorgio che, incuriosito delle foto che sto facendo, mi mostra la sua casa in via Cavallotti e indica il livello dei detriti: «Pensa che fino a lì era tutto fango, non è facile ma ci proviamo». Mi regala un sorriso genuino.
I piani di sotto sono sistemati, le serrande sono nuove, alcune cantine sono riutilizzabili, ma la strada e alcuni caseggiati nei dintorni sono incerottati e polverosi.

Nella bella piazza c’è il Comune, con una facciata bianca pulita, e vicino Su Zilleri de Pigozzi con il tendaggio verde.
Targhe vecchie e nuove, San Pellegrino, Ichnusa, gelati Motta e ancora attenzione, pericolo, con ritmo e velocità Ninnè con i suoi occhiali a goccia e la capigliatura folta sforna caffè e birre e poi avvisa tutti “Saludi pitzinnos e a chent’annos” mentre sorseggia un bicchier d’acqua pronto a mo’ di fil’e ferru.
La voglia di ripartire è negli sguardi orgogliosi di due appassionati di calcio che ricordano i fasti della Bittese, nei panni stesi al sole, nella parole del sindaco: « Non basta ricostruire case, bisogna anche rimettere in movimenti culturale, sport e socialità».
Il paese è un grande cantiere, dove tutto viene rimesso a posto. Come in Piazza Giovanni dove una tenera madonnina con fiori freschi controlla un incrocio di varie direzioni e una cassetta delle lettere solitarie. Chissà quante parole e sentimenti saranno passati per quel pertugio.
L’alluvione ha tagliato il paese tanto che per andare da una parte all’altra bisogna trovare soluzioni che i navigatori non suggeriscono. Strette viuzze che celano segreti e piccole storie. Una chiesetta aperta con i banchi vuoti e il sole che entra, un cartello stop tondo, una donna che si allontana in una salita polverosa, un archetto dove passare con fatica con l’auto e ancora i comignoli e case abbandonate chiuse da arrugginiti cancelli.

Com’è che diceva Cremonini? “qua in Sardegna splende sempre il sole anche quando è il caso di far piovere sul cuore”. E il sole anche oggi splende su Bitti. Su questo bel campo dove dei bambini giocano. La speranza ha forma di pallone.

Intervistixi


Viaggi, comunità, politica, giovani e Sardegna. Una bellissima chiacchierata con Fausto Farinelli – grazie! – stamattina durante la puntata di Alle9 su www.icebergonair.it.

Per chi volesse (ri)sentirla, ecco il link!
https://icebergonair.it/?p=2898

Tanti auguri e…8 cose che ho imparato dal 2020.

Ultime ore e poi saluteremo il 2020. Un anno che ci ha messo a dura prova. Ho pensato molto se scrivere questo post poi la risposta è stata sì!
Non so te ma per la prima volta nella vita non comincio il nuovo anno con i programmi.
Serendipity, forse è la parola giusta. Trovare qualcosa mentre si cerca altro. Ed è un po’ quello che è successo. E cercando cercando, si imparano e rivoluzionano tante cose ma alla fine si torna sempre al cuore, all’essenza, alla consapevolezza di quello che si è e si vuole.
Allora ho deciso: voglio condividere con te 8 cose che ho imparato dal 2020.
  1. Che non bisogna abbandonarsi alla paura. Che abbiamo forze e risorse che non pensiamo. Allora agire, senza mettersi troppi dubbi, senza paura, senza pensare a come ti giudicheranno, prima ancora che promettere di agire.
  2. Che essere liberi e indipendenti – che non vuol dire egoisti o fuori dal mondo – è un gran rischio e una rottura, ti mette ai margini di tante cose, ma non puoi farne a meno.
  3. Più libri, più viaggi, più curiosità, più arte, più ritmo, qualità e sfide: se si vuole migliorare bisogna alzare l’asticella, ricercare e mettersi sempre in gioco e in pericolo rispetto alle certezze. Salvare il tempo e l’attenzione.
  4. Servono parole per capire e condividere le idee che abbiamo. Serve comunicazione onesta e appassionata per migliorare il mondo. Le parole e le frasi ti rendono libero e ti avvicinano.
  5. Bisogna cercare il bello che ci circonda. E se questo non si trova, imparare a scovarlo o capire come si fa.
  6. Le persone sono la miglior risorsa. Creiamo ponti, condividiamo storie e conoscenza con spirito aperto e comprensione, ascoltiamo i dolori altri senza giudicare.
  7. Meditazione, scrittura, musica, corsa e lettura, buon mangiare, minimalismo e respirazione sono esercizi quotidiani irrinunciabili. Forse ci allontanano dalla massa, magari ci avvicinano al cuore.
  8. Bisogna anche alzare il volume e suonare “musiche” nuove. Come fa un dj. E se questo provoca fastidio a qualcuno, siamo sulla strada giusta.
E tu, cosa hai imparato dal 2020? Per affrontare il 2021 ci vorrà tanta grinta e bellezza. La voglia di non mollare e magari anche di meravigliarsi delle cose belle. Auguri ancora e…teniamoci in contatto!

Due giorni a Santu Lussurgiu

Il racconto di due giorni a Santu Lussurgiu, un viaggio, quasi per caso, a dicembre del 2020.

LA SERA A SANTU LUSSURGIU

Immaginate di lasciare la 131 e accendere la macchina del tempo, trovare dopo chilometri e chilometri di pioggia e nebbia un luogo dove il tempo scorre lento, dove non esiste la frenesia delle giornate scandite dai ritmi imposti dalla moderna società, dove lo stress delle città è davvero lontano.
Un luogo che si nasconde tra luci giallognole e solitudine dettata dal freddo e dal lockdown. Un luogo dove, se ci arrivi quando è sera come me oggi, sembra di stare immersi in una favola di Collodi.
Eccomi allora scendere in strada, nelle meravigliose e antiche vie acciottolate, ammirare gli angoli, i ricordi, i rumori, tra un tocco di campane e una grondaia, un uscio che sbatte lontano e il più classico dei profumo di caminetto.
Fantasma nella sera, accompagnato solo dai passi. Quando trovo la pizzeria, con un portone di casa e un scritta di legno con scritto APERTO mi chiedo se sia davvero una pizzeria. Ma l’indirizzo è quello giusto. Prendo coraggio, busso e appare una vecchia osteria con un camino enorme, una tovaglia biancorossa e il proprietario novello Mangiafuoco.
Sembra un luogo del passato, dove i viandanti si riparavano dalla neve aspettando che finisse la tempesta. Perchè qui a Santu Lussurgiu, borgo immerso nelle rocciose vallate del Montiferru, si respirano le atmosfere del passato.
Parlo con il simpatico signor Mangiafuoco – lo chiamo così con rispettoso affetto, non avendogli chiesto il nome – che mi racconta che qui prima c’era un fienile e gli animali. Poi questo spazio è stato liberato da una decisione dell’amministrazione e dato in concessione. Che dietro c’è un bellissimo vecchio mulino, purtroppo crollato e non si sa quando lo rimetteranno in sesto. Che quando la pizzeria era aperta si respirava un’altra aria. Ora son tutti a casa.
In pochi minuti, mentre prepara una pizza fragrante, mi racconta del Carnevale, della musica, di una grande attività culturale, della tranquillità che si respira. Dice che d’estate sia tutto più animato. E io aggiungo: perché togliere questa sensazione fatata del freddo e dell’inverno? Io amo il freddo!
Mi sento a casa, sento un luogo dove poter ritrovare la propria anima.
Vado via riprendendo la strada per l’intricato dedalo di viuzze poco illuminate, silente e pensieroso. Ho una strana sensazione, la solita: ma come sarebbe vivere a Santu Lussurgiu?

IL GIORNO A SANTU LUSSURGIU.

E quando viene giorno, Santu Lussurgiu riserva altri colori e altre emozioni, sempre speciali
Oggi c’è il mercato e la piazza sotto la chiesa di Santa Maria degli Angeli si è animata di gente che contratta la verdura e gli oggetti in vendita. Qualcuno scherza sulla mascherina e le donne, riempita la busta della spesa di gustosi prodotti, tornano nella case perdendosi in questo intricato dedalo dove ora fanno da padrone i rumori di artigiani e lavoranti.
Al Bar Raju Ruiu – modernissimo e caldo – mi fermo per colazione osservando un po’ di vita, gli operai che asfaltano la strada, i passanti, incrociando un gruppo di ragazze universitarie che prepara un esame al tavolo vicino, chiacchierando anche dei docenti e del futuro del proprio corso. Studiano scienze sociali, così ho capito.
Dal ristorante Bellavista al primo piano si gusta un menù di terra, con un sottofondo musicale jazz che rompe il silenzio.
“Una tagliata di sardo modicana con patate” mi consiglia la giovane cameriera con i capelli a spazzola. Di fronte al mio tavolo si apre una veduta speciale che abbraccia i tetti del paese, su cui il fumo dei comignoli si eleva, quasi volesse difenderli dalle intemperie di questo 2020 o forse dalle ansie e dello stress del mondo che corre a pochi chilometri da qui.

CONSIGLI
Dove alloggiare: bnb Templars Guest House
Dove mangiare: ristorante Bellavista | bar Raiu Ruiu | Locanda del Convento

TUTTE LE FOTO https://www.facebook.com/media/set/?set=a.10221533550502158&type=3

Il mio intervento a Mensfit, l’evento nazionale del Coni

Tixi ospite a Mensfit, l’evento nazionale del Coni. Ebbene sì, c’ero anche io tra i 150 relatori chiamati a misurarsi su tanti temi legati allo sport, il marketing, la comunicazione, la motivazione. Un palcoscenico importante.
“L’emozione, l’ansia, la preparazione, lo stress e poi via…pronti!”
Lo sport come racconto, la comunicazione come opportunità per tutti, non solo per gli addetti ai lavori e il mestiere del comunicatore di sport: i temi con cui son intervenuto domenica all’evento nazionale Mens Fit – Scuola dello Sport del CONI.
Ho raccontato il mio lavoro, dai primi passi fino alle attuali bellissime collaborazioni, con una menzione speciale per due amici da una vita che mi hanno aperto le porte di questo mondo tanti anni fa: Antonello Lai, che mi ha aperto le porte della prima redazione, ovvero il settimanale Match, e Alberto Carta, che mi ha fatto entrare nel mondo della Federazione gioco calcio.
Complimenti a Gian Mario Migliaccio per l’organizzazione generale.
Grazie a tutte le persone che hanno lavorato dietro le quinte. Grazie in particolare agli amici Stefano Esu, Stefano Cruccu, Pier Paolo Murgioni e Matteo Carta

10.11 Gratitudine


Grazie, grazie, grazie, a tutti quelli che si son ricordati del mio compleanno ieri.
Non so se riuscirò a rispondere a ogni persona, come vorrei, ma ci proverò.

Certo, pensare che per ogni compleanno oramai ero in giro per il mondo e oggi vivo insieme a voi questi giorni di incertezza facendo viaggiare solo la mente è strano. Ma anche da questo bisogna trarre il meglio.

Una giornata normale ieri, come tante. Scrittura, musica, scadenze di lavoro, famiglia e una visita al mio caro papà al cimitero.
Tante riflessioni sul tempo che passa e sulla necessità di non perdere attimi preziosi che mai torneranno. Di non essere mai indifferente al dolore, di arricchire le vite altrui con parole e musica.
Di continuare a respirare mordere la vita senza paura e senza rinunciare a ciò che ci riempie il cuore e l’anima.

Grazie ancora a tutti! ❤️

(Qualche giorno fa, a Calasetta)

Quando la musica incontra la salute mentale

Chi fermerà la musica? Potrebbe essere, in ricordo di Stefano d’Orazio, il racconto del mio sabato mattina, nato da una chiacchierata con la psicoterapeuta Annalisa Mascia, invitato dalla cooperativa Agape Sardegna a portare la musica in una bella casa famiglia a Quartu, con gli ospiti e loro storie. Di caduta e di riscatto. Storie che spesso vediamo passarci di fianco.
Storie per farti amare il dono della vita, anche quando questa sembra sbagliata.

Vedere quei volti e quei sorrisi, che scrutavano il mio maneggiare la consolle, mi ha fatto pensare a quanto potere abbia la musica e quanto l’unica malattia che può contagiarci sia oggi l’indifferenza.

Grazie Annalisa, grazie Agape, grazie a tutti i pazienti! 🙏

“Buona primavera, per chi vola non c’è frontiera”