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Perché le persone hanno bisogno di vederti

Sono appena atterrato a Milano, dopo un’oretta tra le nuvole. Bellissima sensazione! Il cielo è coperto e l’aria afosa. Prendo ora la 74 e vado in centro per poi godermi una serata in Isola. Sarò a casa stanotte, la mia piccola dimora meneghina.

Domani metterò musica – se si parla di dj si può dire? – a un evento sportivo con il Comune di Milano e la Fondazione Milan in un bell’impianto sportivo in centro, zona Moscova, il Playmore.

Amici conosciuti grazie a Corrado Melis che mi ha coinvolto nella manifestazione Superleague al Terrapieno in questi anni e che ancora ringrazio. E poi in questo weekend amici e contatti di lavoro. Si prova a fare tanto in poco tempo.

Pensavo in volo che in queste due settimane di ritorno in terra sarda ho incontrato tantissime persone.

Mi son stupito da quanta energia positiva e gentilezza ho ricevuto.

Mi son emozionato nel vedere il cambiamento negli occhi di tanti, nonostante le difficoltà e la crisi economica. Un caffè, una chiacchierata, una cena,,anche un saluto veloce magari per caso. È successo talmente tanto che sembra passato un anno

Mi son ricordato quanto sia importante il rapporto umano, stabilire legami prima ancora di fare collaborazioni e lavori assieme, che siano un progetto di comunicazione o una serata da DJ.

Ho capito che per quanto possa essere sui social la gente vuol sapere che tu esisti veramente. Ti vogliono vedere, toccare, incontrare. Vogliono vedere che sei degno di fiducia e che sei veramente come racconti.

Quando capiscono che sei la persona “giusta” si aprono con te. Nascono amicizie o collaborazioni, tutto é possibile. Ti danno quanto ricevono, se non di più.

Allora perché muoversi sempre? Perché viaggiare? Finché non ti muovi non accade nulla. Devi far increspare l’acqua che stagna, stupire, invitare, incontrare, proporre, chiacchierare prima di tutto per il gusto di farlo, al di là di quel che accade. Prima di dare una mano agli altri devi riuscire a toccare il cuore delle persone.

Eterni ritorni

Uno dei motivi per cui ho deciso di tornare in Sardegna, lasciando le certezze di un lavoro sicuro, fermo restando che resterò sempre con un piede a Milano, é una questione di affetto. AFFETTO.

Oltre al cuore, a mia madre da sola, alle persone a cui voglio bene, a chi ha contato su di me anche quando gli altri hanno evitato di farlo, o altri ancora si son tirati indietro, mi rodeva il fegato la lontananza continua e lo sbattermene della mia terra e città e dei suoi problemi.

In questi tempi parlare di amore e affetto alla gente, di attenzione e di passione, significa essere considerati degli imbecilli e dei sognatori fessi. Non nascondo di averlo percepito quando ho spiegato che una parte dei motivi delle mie rinunce nascevano da qualcosa che con i soldi, la carriera e il lavoro non c’entravano proprio. Nascevano da qualcosa di profondo che niente e nessuno potrà mai toccarmi. Le mie idee, i miei valori, la mia anima, la mia visione della vita.

Non mi sono mai fatto gli affari miei nella vita, ho lavorato e vissuto sempre con e tra le persone, in radio, nei media, nei campi, in politica, nelle periferie, in discoteca, prendendomi carico anche di tutti i difetti e i problemi possibili della sovraesposizione e della presenza in tempi in cui mettere la faccia significa guadagnare antipatie e insulti. Prendendo schiaffi e insulti, tradimenti e sgambetti. Sono parte del gioco, di chi si mette in gioco e non ama nascondersi e far pretattiche. Che con amici e collaborazioni lavorative non fa giri e giochi, triangolazioni e trucchi. Ingenuo, sicuro, ma vero.

Però ho sempre pensato che nella vita ci sia una parte da dedicare a sé stessi e qualcosa da offrire agli altri. Qualcosa che non ha prezzo e non ti dà nulla indietro anche se investi, perché lo fai solo se te lo senti e hai quella tensione giusta.

Io sono uno di quelli. Inutili forse ai tempi d’oggi dove se sei cattivo e abile vinci al tavolo. Gioco sul tavolo diverso, di quelli decisi sempre a dover dare agli altri qualcosa, rinunciando anche a loro stessi.

Ho avuto sempre poco da offrire, la mia musica e la scrittura, e quel poco non ha mai cambiato il mondo. Ma tutte le volte che con quel poco ho avuto un messaggio, un apprezzamento, un gesto di fiducia, ho cambiato la giornata a qualcuno, fosse nel buio di una disco o nella newsfeed di facebook leggendo un mio pensiero, ho capito di poter essere utile al mondo. E questo continua a farmi

sempre felice e rendere migliore la mia piccola vita.

(www.tixi.it)

Last day, ultimo giorno di un lavoro e di un capitolo di vita

Ore 8:30

Come ci si sente l’ultimo giorno di un lavoro e di un capitolo di vita? Boh, strani. Ogni piccolo gesto, ogni situazione, verrà catalogato in quello che si chiama “il file dei ricordi”.

Dicono che nella vita bisogna sempre accontentarsi, io rispondo “dipende”. Ogni persona ha il suo progetto e valori. Ci sono persone che amano le certezze e su quelle trovano linfa vitale e altre che mettono in gioco tutto e ritirano i dadi perché amano l’incertezza. Altre che purtroppo non hanno scelte perché legate a responsabilità. Chi ha ragione? Non lo so.

La vita é un progetto personale che nessuno conosce, solo il destino. Ognuno é protagonista della sua, sa quel che deve fare, lo sente dentro. Peggio é se sa, sente una voce e decide di restare fermo. Allora sarà purtroppo destinato a vivere male.


Ore 17:45

Piove, piove tanto su Milano. Last day, la giornata infinita che era l’ultima é finita.
Gli abbracci dei colleghi, le parole d’affetto – anche inattese – le strette di mano, le mail, il “non perdiamoci di vista” e i ringraziamenti a chi mi ha fatto crescere e vivere un’esperienza unica.
Titoli di coda. Due anni e mezzo lavorativi in Volkswagen Italia bellissimi e intensi finiscono, per scelta mia, che se me lo fossi detto mesi fa mai ci avrei creduto.
E ora nuovi stimoli, nuove avventure, nuovi problemi da affrontare e altre palle da tirare fuori.
Si ricomincia a camminare, costruire, senza scherzi e con tutti i rischi del caso. Con una lacrima, voltato l’angolo su viale Certosa, senza più la visuale del palazzo di Volkswagen Italia a Milano, perché
i finali sono sempre difficili da vivere.

De Rossi e le esclusioni silenziose

Ho sempre disprezzato le persone che spariscono senza motivo o ti escludono senza le palle di dirtelo. Ne ho visto tante nella vita, in tanti posti, nel lavoro nello sport e nella musica e ho sempre pensato che raccontassero bene il loro “valore”, basso, bassissimo, tendente allo zero.

L’esclusione di Daniele De Rossi dalla Roma, eseguita in maniera cinica e senza nemmeno una comunicazione, conferma che lo stile e la professionalità non appartengono a tanti, nemmeno alle grandi società rispetto ai professionisti. E non è l’unica esclusione eccellente col metodo silenzioso.

Quando succede che si venga esclusi o estromessi da qualche progetto o lavoro o collaborazione – o peggio ancora dall’amicizia e dall’amore con un metodo che oggi si chiama ghosting – con il silenzio di chi nemmeno ha la delicatezza e il coraggio di dircelo pensiamo di essere gli unici e sfigati.

Oramai la cronaca e la storia, invece, ci permettono di capire che no, non lo siamo. E al destino dell’esclusione silenziosa siamo esposti tutti, star e sconosciuti.Gli sfigati sono quelli senza palle, che spariscono e non affrontano le situazioni, che non hanno il coraggio di parlarci.

Per certi versi saperlo é una piccola nota lieta in un oceano di maleducazione e indelicatezza.

Gli alpini a Milano e un ricordo forte…

Oggi Milano è stata invasa dagli Alpini e stasera, prendendo la metro vedevo tanti tornare a casa o in albergo con il caratteristico cappello con la piuma.
Ho pensato al mio caro papà, Alpino anche lui, a quanti sacrifici lontano da casa, per farci studiare e vivere con dignità, e di quel tempo fare il militare non era una passeggiata.
Ho pensato a quel suo bel cappello che tanto ammiravo, che indossavo di nascosto e mi rendeva orgoglioso di essere suo figlio.
Oggi, nelle luci della notte milanese, ho pensato ancora una volta a quanto la vita sia ingiusta.

Quelli che realizzano i propri sogni

Non so se sia un caso ma negli ultimi giorni incrocio molti amici e conoscenti che hanno realizzato i propri progetti e sogni. Calciatori, comunicatori, grafici, viaggiatori, imprenditori, insegnanti, dj, produttori e tanto altro.

Li avevo lasciati anni fa nell’anonimato o annaspando col rischio di andare giù. Perché erano persone senza grandi mezzi. Perché avevano messo in gioco tutto.

Ho sempre pensato che il successo vero non sia di chi ha tanto a disposizione di partenza – e spesso é esaltato oltremodo – ma di chi ha poco o nulla e riesce a far tesoro.

Ho ascoltato le storie e ho visto che c’erano delle cose comuni molto interessanti: una grande perseveranza, un’umiltà spaventosa, l’accettazione dei sacrifici e il coraggio di rischiare prima che un talento vero e proprio nel fare.
Poca estetica molto spessore.
Piccoli artigiani prima che artisti.
Una bella lezione.

Swedish house mafia, the reunion a Stoccolma!

Doveva essere evento, evento è stato. La Tele2 Arena di Stoccolma, che non pensi sia uno stadio da calcio in erba che poi si chiude e diventa palazzetto ma poi guardi su Google ed è proprio così, é stata testimone e luogo della reunion degli Swedish House Mafia.

Giovedì 2 maggio, se ne parlava da tanto, e per chi vive in Svezia, patria della dance che ha dato i natali anche a gente come Avicii, ma anche per chi segue la scena Edm (electronic dance music) era una data importante. Il trio di Dj e producer di nuovo assieme dopo 5 anni se si esclude una brevissima parentesi all’Ultra Music Festival.

Tele 2 Arena, Stoccolma, fermata Globe. Fuori nevica e si spera che l’ingresso sia veloce. Lo è. La fila scorre, gli accessi sono tanti, il personale é gentile e l’organizzazione meticolosa. Niente bottigliette, mi dispiace, dice un addetto alla sicurezza.

Il palco è ancora coperto. C’è spazio per l’opening appannaggio di due dj e producer Jarami e della formazione live Vargas & Lagola che vantano varie collaborazioni con artisti dance ed edm. L’acqua è gratuita, tramite lavandini posti ai bordi del campo. C’è da fare la fila al bar ma soprattutto tradurre i listini in svedese e capire quale marca di birra sia quella giusta.

Da quando, alle 22, il grande telone che avvolge il palco scende e il primo urlo rompe l’attesa una fila di luci sul punto più alto, disposte orizzontali, detta la scena. Gli Swedish, dopo un lungo intro, snocciolano il repertorio offrendo nuovi incastri e rielaborazioni a canzoni storiche e recenti, queste ultime perlopiù firmate da Axwell e Ingrosso. Le linee melodiche si scontrano, lo stile e il basso sono inconfondibili e si allineano. L’impianto luci e scenico é maestoso. Ma ci sono altre sorprese: fuoco, fiamme, tre strutture che riprendono il simbolo dei tre cerchi della Swedish house mafia, che si muovono producendo altre geometrie di luci. Lo schermo ripropone, oltre ai loro primi piani e a vecchi filmati della prima avventura insieme, donne in fuga, donne in difficoltà, donne in armonia, baci saffici ma anche temi classici e opere artistiche.

Il mondo della musica che la SHM ha lasciato sembra molto diverso oggi. In particolare, la musica EDM è stata travolta da trap, hiphop e reggaeton. Tuttavia, il sospetto che oramai i fans siano andati altrove si sta dimostrando totalmente ingiustificato: i tre concerti dell’Arena del weekend hanno avuto un ottimo botteghino e c’è lunga serie di date in arrivo. Nonostante gli scioperi aerei della Sas, compagnia scandinava, oltre ad una base fortissima svedese che si compone paradossalmente di trenta/quarantenni di media (non aspettatevi ragazzini), ci sono tanti stranieri che dimostrano che la SHM è ancora un fenomeno internazionale.

Tutti hanno raccolto l’effetto nostalgia, l’effetto reunion, l’effetto “eccoci ancora qui se ci avete perduto o avete sentito parlare di noi”, un argomento molto più pesante rispetto al fatto che il gruppo in realtà non abbia ancora prodotto nuova musica se non una ID che viene presentata ma non buca il timpano e il cuore. La sensazione complessiva è che sia una festa tra amici per ritrovarsi dopo tanti anni, senza forse mai essersi persi di vita. “Noi ci siamo ancora eh, noi siamo ancora all’altezza della dance, e voi ci siete ancora?”. E’ questa la domanda che il trio svedese pone.

Oltre ai pezzi prodotti come SHM, tutte e tre le carriere da solisti in corso devono raccogliere le canzoni e trovare il giusto mix per dare una logica alla playlist di stasera. Mettere assieme Greyhound, Miami 2 Ibiza e la linea pop della cooperazione Axwell & ingrosso, su cui spiccano Dreamer e More than you know non sembra essere complicato.

Il finale é spazio alla melodia, al cantato, quando l’Arena esplode in fuochi d’artificio, urlando Don’t worry child. Quando si trasforma in una collettiva liberazione sulla frase Save the world tonight, e il trio si abbraccia: lo Swedish House Mafia 2.0 riempie e tira anche 2019. Forse complicato comprendere questo evento in Italia, ma in Europa la dance ha un altro passo e energia e trascina cuori e business. È una concezione troppo diversa dalla nostra terra, dove fenomeni così sono lontani dal vissuto di operatori e clienti.

Dopo un live così ti resta l’adrenalina per ore che mette a tappeto stanchezza e freddo. La bordata di vento artico nella notte di Stoccolma non lascia scampo a chi come me non è abituato. Loro, gli svedesi, hanno le pelle e la tempra per stare in camicia, io no. Anzi, ogni parte del viso che resta fuori viene punita. I vagoni della metro sono pieni, in venti minuti riesco a incastrarmi in uno e tornare a casa non prima di aver addentato un provvidenziale panino con salsiccia di dimensioni mini e prezzo altissimo.

Save the world tonight… riusciranno gli Swedish house mafia a salvare il sofferente mondo della dance?

Il mio 20 aprile, tra calcio a 5 e DJ

Nel mio 20 aprile passano tante cose di mezzo.

Passa nel 2011, la fine di una bella esperienza da allenatore di calcio a 5 per un progetto, l’Atiesse, che ha coinvolto tantissimi ragazzi e persone che ci hanno aiutato e supportato in quei quattro anni fantastici.
Una finale amarissima, persa contro il forte Basilea di Massimo Frontedduquando pensavamo che fosse la stagione giusta per conquistare un titolo inseguito da anni, e un ciclo che si chiudeva per me e per tanti. Dopo quella gara ricordo che presi l’auto e me ne andai a Margine Rosso ripensando a tutte le belle cose costruite e passate ma anche all’idea che forse era il momento di cambiare.

Il 20 aprile è anche, più recente, la morte di un dj e producer che ha segnato tanto per la musica internazionale e per la mia carriera in consolle: Avicii. Resta ancora l’amarezza di aver perso troppo preso un giovane talento, dal suono inconfondibile capace di rivoluzionare come pochi la dance. E averlo perso nel peggiore dei modi, in preda forse alla sua grandezza diventata poi depressione ingestibile

 

Non è mai tempo perso (una sera alle Poste)

Milano, ufficio Postale, ore diciotto più o meno.
Devo spedire un oggetto venduto su Ebay. Prendo il numero 77 che significa tanto tempo d’attesa. Qui nelle grandi città è così. Finisci il lavoro, speri nella serata liberatoria, poi ti impantani in una commissione e bruci tutto il vantaggio.

La sala è piena, odore di umanità. Il bip dei numeri in successione intervalla il bisbigliare della gente, quella gente che trovi solo dal medico, alle poste o negli autobus. La gente normale, non bellissima, non photoshoppata. Eppure esiste.

Mi metto in un angolo e attendo il turno. Apro un libro, questi sono i momenti migliori per provare a smaltire capitoli e pagine.

Un uomo, di provenienza araba, mi avvicina: “Ho un bollettino da pagare, mi aiuti?”. Non so perchè fra tanti scelga proprio il sottoscritto. Non so se avessi scritto qualcosa in faccia, tipo fesso, buono, semplice, normale.
Nel caos di sciure milanesi, rampanti bocconiani che attendono pacchi da casa e semplici clienti ha scelto me. Deve pagare delle fatture insolute alla Wind. Gli spiego come funziona un bollettino e lo compilo per lui. “Qui ci metti chi paga e qui chi riceve i soldi”.
Ha una carta d’identità italiana, un nome lunghissimo (lo chiamerò Hamed). Segue con attenzione quello che faccio. Ha gli occhi illuminati. Hai presente quando guardavi la maestra delle elementari scrivere con calligrafia perfetta alla lavagna? La mia scrittura fa schifo, ma è vista da lui con ammirazione. Quando finisco mi dice tante volte grazie che quasi mi imbarazza. E’ la mia ricompensa migliore.
La gente mi guarda quasi come fossi un alieno, eppure non ho fatto nulla di strano. Ho rotto l’indifferenza, forse questo irrita.

Arriva il mio turno, numero 77. Devo acquistare anche la scatola perchè le Poste propongono una spedizione all-inclusive. Allo sportello c’è una signora, italianissima, avanti negli anni, con un maglione color carne, occhiali da presentatrice Rai anni 80 e sguardo vessato dall’età.
Non riesce a vendermi la scatola. Dice che i codici sono cambiati e il sistema non ha memorizzato la spedizione. Resto in attesa. Il tempo passa. Si capisce che non riesce. Chiama una collega, nulla. Niente codice.
In lei rivedo la paura di essere sbeffeggiati e rimproverati, come è successo prima quando uno studente universitario, se n’è andato via dall’ufficio dicendo “io mi sto costruendo il futuro, voi resterete sempre qui” ridicolizzando un altro impiegato. Cosa volesse dire quella frase, lo devo ancora capire. Forse pensava che studiando si costruisse il futuro e che non ci fosse presente, passato e futuro anche in un umile impiegato?

Certo, di fronte a quell’attesa, potrei parlare del mio tempo bruciato, potrei irritarmi, potrei dirle che non è efficiente. Le farei passare una serata di merda. Se lo merita? No. Non se lo merita. Aspetto. Suda, è imbarazzata. Passano i minuti. Poi desiste. Dice che non riesce a leggere il codice, dice che dovrei portarmi una scatola mia, indicandomi un negozio vicini che ovviamente non trovo.

La serata è saltata. In palestra forse non andrò. Ho bruciato un’ora abbondante. Però non sento un pizzico di amaro. Ripenso a tutte le volte che sono stato imperfetto e ho fatto gaffe, alle volte che non sono stato all’altezza di un compito. Alle altre volte che ho chiesto aiuto e ho trovato qualcuno che senza conoscermi mi ha dato una dritta.

Prendersela con gli altri, giocare sulle difficoltà o evitare di aiutare è un segno di cinismo che non ci deve appartenere. Bisogna essere diversi. Guardare negli occhi queste persone fa capire tanto, e realizzi che quando perdi tempo per “colpa” altrui in realtà lo guadagni. Una volta aiuti, un’altra volta sarai tu nel bisogno.

 

(se trovi errori segnalamelo a info@tixi.it, grazie ;))

Le 7 regole d’oro di Brian Tracy

Giorni fa ho visto un video interessante di Brian Tracy, autore prolifico e conferenziere canadese. Parlava di 7 regole importanti per il ventunesimo secolo. Alcune le conosci già, lo so, altre possono essere interessanti. Che ne dici se facciamo un ripasso? Magari da alcune di queste regole di Brian Tracy puoi trarre qualche motivazione!

  1. La tua vita può migliorare quando migliori tu. Non c’è limite al tuo miglioramento, e quindi a quando conseguentemente possa migliorare la tua vita.
  2. Non è importante da dove vieni ma dove vai. Dimentica il passato, ti servirà solo per imparare le lezioni e avere ricordi del passato. La prima ragione dell’infelicità della vita è che le persone non si dimenticano le cose tristi del passato. Impara ciò che c’è da imparare e lascia dunque gli errori del passato. Quando guardi il sole, l’ombra è sempre dietro. Dove vai, infine, è limitato solo dalla tua immaginazione. Fissa obiettivi grandiosi e pensa a quelli, sempre!
  3. Ricordati che tutto quello che vale la pena fare bene agli inizi si può fare anche poco bene. Nulla funziona al primo colpo, quando si comincia si fanno mille errori. Ricordi quanto sei andato la prima volta in bici? Sei caduto. Pian piano hai imparato a stare in piedi. Nessuna paura nell’apprendimento.
  4. Puoi imparare qualunque abilità, perché hai un potenziale importante. Il tuo cervello è un muscolo, più impari e più puoi imparare. Qualsiasi argomento ti è possibile.
  5. Sei libero tante quante sono le tue opzioni. Più opzioni e più scelte ti danno libertà, così che devi lavorare per creare più opzioni. Più conoscenze significano più opportunità. Cosa succederebbe se scomparisse il tuo lavoro o la tua azienda? La persona media sarebbe triste, spaventata. Cosa accadrebbe? Come potrei pagare le bollette? Le persone eccellenti hanno più opzioni. Posso fare nuove attività: cambiar città, azienda, fare altro. Costantemente sviluppano nuove opzioni. Una delle cose più importanti è continuare a svilupparle.
  6. Dentro ogni sfida c’è il seme di qualcosa di più grande in termini di opportunità e beneficio. Quando c’è un problema che provoca tristezza e infelicità, chiediti sempre, qual è la lezione che posso trarre? Una buona lezione può risparmiarti cinque anni di duro lavoro.
  7. L’unico vero limite che tu hai è quello che ti sei autoimposto. Non ci sono limiti esterni, sono tutti dentro.

Chi è Brian Tracy

Nasce il 5 gennaio 1944 in Canada e a 73 anni conta all’attivo la pubblicazione di oltre settanta libri prevalentemente incentrati su come aumentare la produttività e gestire al meglio il proprio tempo.

Prima di fondare la compagnia di consulenze di cui è tutt’oggi CEO, Tracy ha sempre alternato la sua vita lavorativa nei diversi settori del commercio, degli investimenti e dello sviluppo immobiliare con quella di scrittore prolifico, consulente manageriale e insegnante.

Nel 2001 fonda la Brian Tracy International, e da allora pone fine ad ogni collaborazione per conto terzi e si dedica esclusivamente ad una attività di consulenza puntando soprattutto sui self-made man.

Tracy, secondo il suo sito, ha collaborato con oltre 1.000 agenzie ed ha tenuto più di 5.000 discorsi pubblici in oltre 70 paesi sparsi sui sei continenti, raggiungendo una ragguardevole cifra di utenza, pari a più di 5 milioni di persone, parlando di economia psicologia, storia, filosofia e business.

Alcuni libri sono diventati best seller, come Eat That Frog, Earn What You’re Really Worth e forse il più famoso di tutti: The Psycology of Achievement, tutti disponibili su Amazon Italia.