Ieri ci siamo fermati per una bella chiacchierata sulla città con il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu.
Eccovi il video integrale
https://www.facebook.com/98444701992/posts/10156448306976993?sfns=mo
Ieri ci siamo fermati per una bella chiacchierata sulla città con il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu.
Eccovi il video integrale
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Lascio la macchina in uno di quei mega-parcheggi sotterranei chesenon ricordiilnumerodellostallogiricomeunfesso, e attraverso la city cagliaritana intrufolandomi tra avvocati e professionisti che pullulano in quel coacervo di vite, soldi, aspettative che è piazza Repubblica. Troppo lontana e diversa dalle nostre brutte periferie. Penso che qui la gente sia più bella e curata, che anche i profili urbani curati creino persone ordinate ed eleganti. Ma questo non nasconde che i vizi e i peccati siano democratici, e non abbiano territorio e confine, al di là della geolocalizzazione.
“Sarà una operazione di routine”
“La dimettiamo stasera, se servisse resta a dormire sa noi” dice un infermiere con una cadenza marcatamente campidanese.
Mamma non smette di parlare in questi momenti, mamma racconta in due minuti tutto e di più e sento che parlano pure di nero di seppie prima che lei venga portata in sala operatoria.
Poi le solite coincidenze: l’infermiere, sento, è di Tuili, vicino a Siddi, paese di lei. E partono i “tizio lo conosce? Da quando non va a Siddi?”.
Mamma oggi ha un piccolo intervento. Vero, dovrebbe essere routine, ma quali pensieri può avere un figlio senza più padre con una mamma avanti con l’età in ospedale?
Lei, per rasserenarti, prima in auto mi ha detto “se dovessi morire…” giusto per esorcizzare, come fa spesso. Ho sorriso e l’ho mandata a quel paese. Poi ho pensato: quando i genitori cominciano già a sentire quel fiato sul collo del tempo é complicato.
Nessun buon motivatore serve per raccontare loro che la vita é lunga, i figli per loro restano piccoli per tutta la vita.
“Che ne sapete voi…” ci ripetono anche quando superiamo gli anta.
Che ne sappiamo noi? Anche noi soffriamo, pensiamo, abbiamo carichi di responsabilità e paure che nemmeno vi immaginate. Ma spesso ce li teniamo dentro per non appesantire chi ci ha dato tutto.
In bocca al lupo le faccio, mentre i suoi due occhi spuntano da un camice bianco e la barella si allontana.
In bocca al lupo, mamma.
Se dovesse esistere un simbolo dei nostri tempi penserei certamente alla transenna. 
“Nasce” per segnalare pericolo, dividere, limitate una zona, diventa una sorta di totem da cui trovare la metafora dell’oggi: l’immobilità, l’indecisionismo, l’approssimazione, la stagnazione.
La transenna ci accompagna, ci circonda, ci insegue. Ovunque trovi transenne, specie quando ci sono lavori eterni o pericoli improvvisi. Restano là, per mesi e anni, a evitare che qualcuno intervenga e risolva. A raccontare come siamo diventati, come siamo finiti.
Un popolo diviso, incapace di scegliere e risolvere, sempre in perenne stand by, immerso in uno stato immobile e approssimativo.
Felice così, di non poter fare (o saper fare) mai di meglio. Di rinchiudersi nelle sue piccole certezze. O forse preoccupato perché togliere la transenna significa rischiare di mettersi a fare qualcosa, superare lo steccato, sporcarsi le mani.
Ci sono piccole storie sportive che viaggiano sui campi della città. Storie che nessuno mai racconterà, eppure per tante persone sono conosciute e magari hanno fatto parte della propria giovinezza.
Circa nove anni fa c’era un liceale che frequentava ogni tanto le mie serate in disco, mentre io facevo gli ultimi anni da mister di calcio a 5. Proprio le disco erano diventate il serbatoio per portare al futsal tanti ragazzi molti di quali avrebbero proseguito e magari avrebbero calcato parquet nazionali.
Renato, che è il più classico appassionato del calcetto degli amici, sapeva anche da Facebook della mia passione per il calcio, mi invitava spesso a un torneo amatoriale – Torneo Bacuccu-Urbes – che si svolgeva ogni weekend, partite del Cagliari permettendo, all’Ossigeno, impianto sportivo nel centro città. E io, ogni tanto, curiosamente, accettavo l’invito.
Sono passati 9 anni, e il torneo esiste ancora. Quando qualcosa dura, credo sia giusto raccontarla perchè non è un fenomeno passeggero, ma è una piccola storia. Un torneo, il cui motore era la sua squadra e “società” (Bacuccu) dal nome curioso e che è diventato – posso dirlo senza paura di essere smentito – il torneo giovanile amatoriale di calcio a 7 più importante e longevo della città.
Una bella storia di amicizia e sport, un gruppo di ragazzi cresciuto assieme attorno a quella passione: ritrovarsi e giocare a calcio, prendendosi sul serio ma non troppo. Eppure, a proposito di serietà, ci sono loghi, pagine facebook, profilo instagram, conferenze stampa, convocazioni, sponsor, dirette, interviste, news e firme di contratti con tanto di presentazione al pubblico. Ci sono magliette ufficiali e articoli. C’è Bacuccu IE Sports, altro progetto collaterale seguito dall’amico Michael Piano.
Un torneo dalle partite infinite, autoarbitrate, spesso con polemiche risolte attraverso un panino al vicino caddozzone, cronache sui social e sfottò immancabili. Campioni e scarponi, giocatori tesserati in FIGC o semplici appassionati della porta accanto. Tutto come sempre è cominciato per caso e scommessa. “Il primo torneo – racconta Renato – è nato nel 2010 c’era un bel numero di squadre che si sfidava in amichevoli ogni sabato. Quindi pensai ‘perché non fare un vero e proprio campionato?’. E da allora ogni anno ho organizzato il campionato e le varie coppe di lega fino ai giorni nostri”.
8 anni fa, quel 10 ottobre 2011, la mia vita sarebbe cambiata.
Il 10 ottobre é una data speciale, che arriva ogni anno, come un fardello, un ricordo con cui fare i conti.
Una telefonata di primo mattino, la sensazione di qualcosa prima di rispondere.
Mio padre non c’era più. E la corsa all’ospedale non permise nemmeno l’ultimo saluto, come avrei voluto.
Era già andato via. Restava un corpo nel lettino, esanime, e un’immaginetta, con le lacrime di mia madre e le mie trattenute a stento.
Quando muore un genitore cominci a pensare a tante cose, al tempo che passa, ai ricordi, all’infanzia, alle occasioni perdute, agli abbracci mancati, alle cose non dette e perdute, a tutto ciò di importante che hai.
Ti passa la vita davanti in un attimo come un tir e nella migliore delle ipotesi ti investe.
Da quel giorno non sei lo stesso, senti il freddo attraversarti le vene, sei solo e devi cavartela ancora di più, specie se fai parte di una famiglia semplice dove tutto è frutto del tuo lavoro e della tua creatività, senza sconti e regalo. Inizia il tuo livello 2.0. E così è stato.
Ho dato una stretta a molte cose facendo un patto con me stesso: avrei seguito orgogliosamente e testardamente solo ciò che mi avrebbe fatto star bene a costo di rompere schemi e simpatie.
Ho iniziato a viaggiare, scrivere, conoscere, fare il Dj, percepire, capire, sentire, occuparmi solo dei miei sogni e obiettivi in maniera quasi estremistica. Questo ha preoccupato tanti amici, lo ammetto. Cosa era diventato il pacifico Tixi che viaggiava per mezza Europa, scriveva cose personali e continuava a fare il DJ? Lo ammetto. Ho perso molti amici, che non hanno compreso l’evoluzione della vita nostra o forse ci sono arrivati dopo molto. Li capisco, eh.
Non è stato facile, alcune volte sono stato coerente, altre volte meno. Coraggioso e vile.
Turchia, Norvegia, Danimarca… Nei miei tanti viaggi ho provato a cercare quei luoghi per il mondo dove fosse passato lui e forse afferrarne ancora un pezzo d’anima. Nei miei voli ho creduto che le nuvole mi avvicinassero ancora un po’ per potergli dire GRAZIE e ancora GRAZIE!
Otto anni di viaggi, progetti, parole, persone, vita vissuta e ancora quel fiume carsico scorre sotto e poi affiora, nei ritorni a casa in auto la sera, negli occhi tristi di mia madre, nei ricordi e nelle sue tracce, una lettera, un oggetto, una foto.
Molte cose parlano di lui. Otto anni difficili ma pieni di persone splendide che mi hanno supportato e capito nei miei cambiamenti e complicanze.
La vita è complessa, difficile, perenne fluire di cose, persone ed emozioni. Bravo chi percepisce e sa rispettare le sensibilità degli altri, ne comprende i silenzi e le parole.
Ancora oggi questa data è un ricordo che mai avrei voluto, ma è un inizio come per ogni rottura di un equilibrio che pare eterno. Un inizio e un insegnamento: mai dimenticarci dei nostri genitori e di quanto hanno fatto per noi.
Mai rimandare, perdere tempo e aspettare troppo per ricordarci chi siamo e cosa vogliamo dalla vita. Mai.
Abbiamo ripreso! Da qualche settimana la nuova versione estiva del mio programma musicale sulle frequenze di Radio Sintony.
Una fresca selezione di dance e house per accompagnare la notte del weekend 🙌
Ci sentiamo il venerdì all’una e il sabato a mezzanotte.
Che ne dire di ascoltarci?
Le nostre frequenze radio (in Sardegna) http://www.sintony.it/istituzionale.php?page_id=3
Streaming (ovunque) www.sintony.it/streaming.php
Segui tutta la programmazione di Sintony su www.sintony.it
E poi capisci che tante cose sui social non vanno scritte, non vanno riportate, anche quando vorresti raccontare un tuo successo o traguardo dopo anni di fatica o vorresti ringraziare qualcuno.
Generano solo invidia e gelosia, pericolosissime conoscendo chi c’é in giro. Amici, colleghi, sconosciuti, dietro certe facce si nascondono veleni inattesi.
Vola basso, ogni tanto esci allo scoperto per raccontare quel che fai, ma poi vola basso.
Qualcosa di mio, in movimento
1) prendere l’aereo alle 6 del mattino é un’esperienza devastante, specie se con Ryan air che vende oggetti e profumi per buona parte del volo. Ma il sorriso e le battute ai controlli di Paolo Melis allietano ogni partenza
2) ieri a Samugheo e poi a Turri é stato speciale vedere bimbi in piazza correre e giocare liberi. Ho pensato alla mia giovinezza e quanto sia bella la vita di paese.
3) per i miei concittadini, contatti e amici, ci vediamo dal 28 e questo agosto alla Saia a Santa!
4) lavorare con persone molto più brave ed esperte di te é un colpo di fortuna – se non di culo – pazzesco. Abbiamo bisogno di sfide, stimoli e alzare l’asticella sempre.
5) alle volte in aeroporto incroci per caso persone speciali, come il “mio” capitano storico quando facevo l’allenatore Alessandro Mocci
Mai come oggi Vasco dimostra di essere un’eccellenza della musica italiana, capace stagione dopo stagione, di lasciare sempre il segno.
Apprezzo Vasco a periodi, sia nei lavori vecchi che nuovi, e da DJ non posso far altro che riconoscere l’evidenza e provare ammirazione sincera per un artista che ha portato il rock in Italia a livelli a cui praticamente nessuno ha mai osato aspirare, facendosi accompagnare da alcuni dei migliori musicisti italiani e non solo.
Anche questo tour è stato un evento da record, che ha dimostrato come si possa organizzare qualcosa che non era mai stato tentato prima. Non solo un concerto, il tour, l’attesa febbrile ma una campagna marketing straordinaria e unica, culminata con le navi brandizzate.
L’età conta tanto quanto. La freschezza di questo Vasco fa paura a tanti, giovani vecchi e adulti invecchiati presto e lamentosi, a chi pensa che gli anni siano qualcosa da tenere in considerazione come valore assoluto.
Conta il talento, la passione, la voglia, lo spessore. Quelle non le trovi drogando visualizzazioni di youtube e ascolti su spotify. Non le trovi facendo la meteora con un pezzo stagionale con il ritmo e la parola del momento.
Dopo decenni di onorata carriera, Vasco ha costruito fans che attraversano più generazioni, la dimostrazione di un carisma che non diminuisce con l’età e la capacità di stare ai margini del music business imbruttito attuale e delle starlette da quattro soldi.
Vasco continua però a dividere e vedo alcune ragioni per cui anche una star di alto livello generi critiche:
– Più arrivi in alto, più aumenta la visibilità e il numero di ammiratori come quello di chi ti odia. Non si sfugge, nel bene e nel male.
– Più una personalità si innalza rispetto alla moltitudine e più diventa un bersaglio facile da colpire.
Vasco è il rocker numero uno, indubbiamente in Italia, e pertanto non stupisce che la sua idea ‘personale’ di rock italiano abbia scontentato altri. In un paese poi che vive di rabbia repressa.
Soldi, fama ed il raggiungimento di grandi obbiettivi inevitabilmente causano invidia da parte di chi, per qualunque motivo, sente di essere stato defraudato dal destino della sua parte di gloria.
La gloria terrena però non è un contenitore chiuso, e se qualcuno ottiene un risultato non ci sta automaticamente privando della nostra parte.
Ognuno è artefice del suo destino e probabilmente tante critiche a Vasco, come ad altri, arrivano da chi non ha mai provato sul serio a fare quello che ha fatto lui. E ce ne sono tanti.
Ma lui esce anche stavolta vincitore assoluto, con la musica.
Perché ha cantato storie, perché ha saputo attraversare stagioni e momenti anche personali difficili, perché ha capito che la vita é un brivido che vola via, più di tanti altri.
Votare l’idea o la persona?
Quante persone competenti esistono nonostante le loro idee siano diverse dalle vostre?
Votereste un incompetente che ha le vostre idee?
È il grande cruccio di ogni elezione amministrativa dove si conosco direttamente i profili e le storie dei candidati.
Un consigliere comunale non può far miracoli e nemmeno, spesso, un sindaco. Ma può dare una direzione a una città.
Amministrare è faticoso e complesso, perché ci sono molte variabili. L’ho fatto, nel mio piccolo, da consigliere circoscrizionale e non sempre alla grande.
La grande lezione é sempre stata quella che da un po’ mi guida nella vita: le etichette e i colori contano, certo, sono gabbie dorate che non mettono problemi e fan perdere tempo, ma le persone belle sono ovunque, anche dove non ti aspetti. Sarà un discorso ovvio, ma resta una regola aurea.