Posts in Storie & Idee

3 ragioni per cui il DJ Alberto Lisini manca profondamente

Alberto Lisini manca profondamente. Alberto Lisini è stata una persona speciale con cui ho lavorato tanti anni in consolle. Amico, collega DJ, mentore, esempio, professionista impeccabile, ho condiviso una delle prime serate da DJ resident proprio con lui, alla discoteca Varadero di Cagliari nel 2001.

La comunità musicale ha perso un luminoso astro quando Alberto, il DJ con un cuore d’oro e mani magiche sui giradischi, è stato portato via troppo presto nel 2014. La sua assenza ha lasciato un vuoto incolmabile, e ciò che rende la sua mancanza così palpabile sono principalmente tre ragioni che definiscono il suo ruolo unico nell’universo dei DJ.

1) Apertura Mentale Musicale: Un Precursore di Nuovi Suoni

Alberto Lisini era noto per la sua incredibile apertura mentale nei confronti della musica. Era un vero visionario quando si trattava di esplorare nuovi generi e suoni. La sua capacità di mescolare e fondere diverse correnti musicali era semplicemente sorprendente. Era sempre un passo avanti agli altri, introducendo al pubblico le ultime tendenze musicali molto prima che diventassero popolari.

Il suo coraggio nel rompere le barriere musicali e nel sperimentare nuovi stili ha ispirato molte nuove generazioni di DJ. Alberto Lisini ha dimostrato che la musica è un linguaggio universale che può unire le persone, indipendentemente dalla loro origine o preferenze. La sua apertura mentale musicale ha creato un ponte tra culture e generi musicali, un lascito che rimarrà indelebile.

2) Il DJ come Professionista e Artista: Dedizione Insuperabile

Alberto Lisini incarnava l’essenza stessa del DJ professionista e artista. La sua dedizione al craft era evidente in ogni performance. Era uno studente instancabile della musica, trascorrendo ore a perfezionare le sue abilità tecniche e a scoprire nuovi suoni. Era sempre in cerca di quel mix perfetto che avrebbe fatto brillare la pista da ballo.

Ma Alberto era anche un artista. Ogni sua esibizione era un’opera d’arte unica, una storia musicale che sapeva catturare l’attenzione del pubblico e portarlo in un viaggio emozionale. Era capace di leggere la folla come pochi altri, creando una connessione profonda tra la musica e gli ascoltatori.

3) Tecnica e Scelta Musicale: Un Maestro dei Suoni

Uno degli aspetti che rendeva Alberto straordinario era la sua tecnica impeccabile e la sua abilità nella scelta musicale. Era un maestro nel mixare le tracce in modo fluido e sorprendente. Le sue transizioni erano così fluide che sembravano essere parte integrante della canzone stessa.

Ma la sua vera magia risiedeva nella sua capacità di selezionare la musica perfetta per l’occasione. Conosceva il suo pubblico così bene che poteva anticipare i loro desideri e umori musicali. Ogni sua scelta musicale era una sorpresa piacevole, un regalo per l’udito di chiunque fosse presente alle sue performance.

Alberto come DJ manca profondamente per la sua apertura mentale musicale, la sua dedizione come professionista e artista, e la sua maestria tecnica e nella scelta musicale. La sua eredità continua a ispirare coloro che, come me, lo hanno conosciuto e apprezzato, dimostrando che la musica può essere una forza unificante e trasformativa nelle mani di un vero artista come lui. Ma anche che si può essere DJ senza troppi compromessi.

La sua musica vivrà per sempre nei nostri cuori e nelle nostre orecchie. Grazie ancora Alberto.

Cosa penso della guerra e delle guerre

Trattare la violenza e il sangue come una partita di calcio, i morti come vittime di serie A e serie B, il noi e voi, tifare per questo o quello, annullare la complessità del mondo per piegarla a semplicismi, non ci renderà persone migliori.

Questo approccio dialettico, caro a tanti, dimostra che quella violenza la teniamo anche noi, ma solo per una coincidenza fortunata non abbiamo i mezzi per operarla.

La teoria della “banalità del male” di Hannah Arendt è perfetta: le persone possano compiere azioni malvagie – o accettarle – senza necessariamente essere mostri, ma piuttosto seguendo semplicemente il conformismo e l’adesione a ideologie.

Non ci resta che esaminare criticamente e laicamente la nostra partecipazione e comprensione della violenza e della polarizzazione nella società.

La routine dei miei viaggi

Mi sveglio presto. Medito, faccio colazione con un cappuccino, una spremuta e del pane abbrustolito con salsa di pomodori. Smaltisco un po’ di lavoro a distanza. Poi prendo lo zaino, cammino, osservo e prendo appunti. Cerco di assorbire tutto: particolari, rumori, profumi, suoni, scritte, persone. Chiacchiero e chiedo anche al solo scopo di sentire la risposta e attaccare bottone.

La musica in cuffia è solo nei momenti di relax o nel computer quando lavoro su Ableton.

Non guardo le notizie (anzi ne sto lontano), scrollo una sola volta la home di fb per non farmi incancrenire l’anima dal mix di battute e lamenti.

Bisogna stare attenti; qualsiasi cosa accada sullo smartphone a distanza può cambiarti l’umore. Controllo in alcuni momenti precisi chat e mail. Mi fermo nei bar. Non c’è un tempo preciso. Ricomincio il cammino.

Vado avanti fino a sera, qualche volta mi metto le scarpette e corro. Poi inizia la revisione della giornata: tutto quello che ho scritto prende forma. Correggo, riassetto, taglio e incollo. Un lavoro di sartoria con le parole. Una forma grezza che servirà per modellare qualcosa.

L’incidente di domenica a Cagliari e i giovani sempre colpevoli

Sulla tragedia dei ragazzi di domenica scorsa abbiamo detto tutto. Sono complice anche io dell’oceano di inutili parole.

Ho un’idea che mi illumina tra mille dubbi e domande che arrivano fino al mistero della vita. Ho l’idea che sia inutile fare i guru e i boomer, i moralisti e i perbenisti.

Ci riesce bene, ci mancherebbe, ma non funziona così.

La vita è altra cosa e non segue criteri razionali e programmabili a tavoli.

E poi, e poi…

Se davvero fosse, così come diciamo e pensiamo, poi, NOI quante cazzate abbiamo fatto?

Quante cose al limite?

Quanti rischi corsi per arrivare prima giustificandoci con urgenze idiote?

Quante volte abbiamo chiuso gli occhi?

E quante volte lo facciamo anche oggi che di anni ne abbiamo tanti?

Suvvia. Quanti adulti corrono, guardano il cellulare, fanno manovre assurde, superano in curva e galleria?

Quei ragazzi, sempre che abbiamo la certezza di come sia andata, siamo anche un po’ noi.

Ecco, io direi che siamo in tanti. Che non sono “solo” sempre sti maledettissimi giovani, a cui demandiamo tutti i nostri problemi da adulti per liberarci dai peccati.

E poi, ancora, perché dobbiamo sempre sentirci giudici delle vite altrui? Siamo sicuri che gli irresponsabili di questo mondo siano sempre e solo i giovani? Siamo sicuri che il male sempre e solo legato alla notte, altro assioma sempre utile.

A me non pare. E la dimostrazione, se abbiamo l’onestà intellettuale di osservare con spirito laico e di aprire una rassegna stampa, ce l’abbiamo tutti i giorni.

Forse un po’ di empatia salverebbe più il mondo. Questo non significa certo che le cazzate “qualche volta” non si paghino caro. Succede a vent’anni come a cinquanta e pure a ottanta. Solo che se sei adulto pare essere normale e passa in secondo piano.

Vedo solo un grande male di vivere. Una sofferenza che attraversa tutto e tutti r che proviamo a evitare nascondendoci. Il dolore, quello che affrontiamo ogni giorno perdendo cari, vite, tempo, è condiviso.

Facendo cose continua! Nel segno e nel sogno di Sonia

Avanti con FacendocoseaCagliari!

“Nel segno e nel sogno di Sonia”.

Questo quasi-gioco di parole mi ha mosso nello scrivere insieme a Martha e Jaime il post per annunciare ufficialmente che il progetto Facendo “Cose” a Cagliari e in Sardegna va avanti, con tanti altri amici e amiche che ci aiutano.

Quel che possiamo e riusciamo a fare perché sarà davvero una bella impresa (e se volete aiutarci, perché no?) e chi lavora come me nell’editoria piccola sa che non è per nulla facile.

Grazie anche chi lo hanno fatto sviluppare – come non dimenticare il prezioso apporto di Gianmarco e di Francesco – e a tanti altri compagni di avventura.

Torniamo indietro.

Abbiamo fatto tesoro di tante chiacchierate e idee messe in campo quando c’era Sonia e avevamo pensato a un facendocose 2.0: è il momento di provare a concretizzarle.

Mi troverete e ci troverete anche là, anzi ci state già trovando da giorni con tanti contenuti e articoli.

Continuiamo con quello spirito divertente e leggero, per offrire un servizio alla città e all’isola ma anche per far circolare buone idee e cose. Interviste, eventi, curiosità.

Se avete qualcosa da proporre – idee, storie, news – scriveteci! 🙃

Attimi di bellezza

Le nostre città spesso fanno schifo. Odio i clacson, i volti tristi, gli sguardi di sfida, lo stress e il traffico.

Poi ci sono attimi di bellezza che, quasi fosse un miracolo, incroci.

Una signora cuce qualcosa davanti a una porta. È concentrata e minuziosa.

Non so come ma si accorge che le sto facendo una foto. La rassicuro: “Signora, è una scena bellissima e volevo immortalarla, lei è un quadro vivente, uno spicchio di bellezza in questo schifo di quartiere”.

Mi guarda per un attimo, sorpresa e forse un po’ diffidente. Capisco bene.

Poi, un sorriso timido si disegna sul suo volto. “Grazie.”

Nemmeno avrà capito, son certo, chi fossi e il perché.

Riprende a cucire, ma ora con un sorriso più luminoso e consapevole che qualcuno, uno sconosciuto, si è accorto di lei.

La mia seconda vita da DJ Tixi

Qualche anno fa, prima che la trap e la musica latina italiana facessero irruzione sulla scena, ero a un bivio: continuare a fare il dj classico e adagiarmi o provarne altre strade ri-pensandomi, senza perdere l’anima “pop”.

Quel nuovo scenario musicale mi ha dato consapevolezza, mi ha fatto riflettere sulla bellezza e la profondità della musica che avevo sempre amato e che non andava perduta.

Quel tesoro di esperienze, vinili, cd, viaggi, festival e serate poteva sopravvivere in un mondo dove il prodotto musicale era talmente massificato che fare “altro” rischiava di portarti fuori da tutto?

La mia second life da DJ non era restare fossilizzato o seguire quella ondata, ma fare scelte e agire come un “tramite”.

Mentre molti DJ si precipitavano a suonare le ultime hit, io vedevo opportunità: diventare un ponte tra il pubblico generalista e quei ritmi meno scontati ma non troppo di nicchia. Funky e disco 70 e 80, tribal e organic, genericamente house.

Entrare in un nuovo mondo. Pensare a partire dal tramonto. Ripensare al concetto di djset e dj. Iniziare a studiare musica e cominciare a produrre musica.

C’era un intero universo di musica tra il mainstream e l’underground. Musica che magari non sentivi in radio e nei locali, eppure diffusa in Europa, con i suoi appassionati (veri e potenziali), la sua storia e il suo impatto.

Più persone potevano aver “accesso” a questi suoni, scoprirli ed apprezzarli.

Quando cresci, infatti, certi ritmi e testi possono non risuonare più con la tua esperienza. La trap e il latino italiano non sono miei, non ho nulla che mi leghi con loro.

Da alcuni anni così ho l’opportunità unica di “guidare” le persone per un altro viaggio, offrendo qualcosa che magari non avrebbero ascoltato da soli, ma che avrebbero potuto amare una volta sentito. Ho iniziato a produrre e questo mi rende fiero di poter lasciare qualcosa.

Questo è il vero potere della musica e il privilegio di chi fa il dj ed ha un po’ di esperienza: mai adagiarsi ma muoversi, anche cambiando pelle.

La bellezza della musica è la sua universalità, ma è fondamentale rimanere onesti con se stessi e trovare quei suoni che risuonano con la propria anima e son coerenti al proprio cammino.

La visita della moglie

Incontro un vicino del palazzo di mia madre dove da piccolo abitavo. Quando ero bambino non c’era un gran rapporto, anzi ci disprezzavamo: mi sgridava sempre perché ero una trottola impazzita tra pallone, bicicletta, feste. Ero il classico ragazzino sempre in mezzo alle balle. Il suo arrivo con la sua vecchia auto azzurra faceva scappare frotte di bimbi terrorizzati

Col tempo tutto è cambiato. Naturale scorrere delle cose.

Ci incrociamo mentre sto per andare via. Mi sorride, riesco dalla macchina, è felice di vedermi, gli sorrido. Gli chiedo come stia: lui accenna un sorriso, poi si incupisce. Mi dice della moglie che sta male, è preoccupato e non riesce a prenotare una visita specialistica utile a capire meglio come curare.

Mi racconta tutte le difficoltà. Intuisco la sua ansia. “Ora sto provando qui al Santissima” dopo un assurdo giro delle sette chiese. Chiudo con un “in bocca al lupo” e un sorriso, l’unica cosa che posso fare.

Poi penso: dov’è finita quella frase “andrà tutto bene”, la lezione del covid, le promesse e le altre dichiarazioni?

Senza mettere la croce su nessuno perché sappiamo che è un problema organizzativo e strutturale, ci sono medici e infermieri e in gamba e altri meno, diciamocelo chiaro: la nostra sanità oggi fa schifo.

La cosa più preoccupante è che devi pregare di non ammalarti altrimenti sei fottuto. Non sai come ti può andare. Una roulette russa. Ometto altre storie che ho sentito, alcune anche vicine a me. E questo sarebbe un paese civile e da amare?

Reggaeton e museo di Dalì

Accade una cosa curiosa mentre mi allontano dalla casa di Dalì e dal suo mistero della creatività.

Mi attraversa un ritmo incessante che arriva forse da una macchina. Musica reggaeton, ci metto un attimo a capirlo.

Mi fermo ancora al piccolo bar Llevante, sperando di ritrovare un po’ dell’atmosfera della casa di Dalì. Bevo un altro caffè, osservo le persone che passano: figli che seguono i genitori con volti dimessi dall’obbligo di vedere il Museo, turisti con i cellulari, donne che chiacchierano tra loro spalmandosi creme protezione 50. Tutti sembrano immersi nei loro mondi e il contrasto tra l’arte e la musica moderna mi fa riflettere sulla diversità.

Il reggaeton mi suona stridente, come se un granello di sabbia fosse entrato in un delicato meccanismo orologiero, alterandone il ritmo. La voce acidognola del cantante, piuttosto che evocare un’atmosfera festosa, si intromette con l’aura magica e eccentrica della casa di Dalì.

Tornando con la mente al labirinto di stanze e ai quadri surreali, quel suono diventa un fastidioso ronzio, quasi un’irruzione brusca nella serenità.

Mi chiedo se la stessa irritazione che provo in quel momento sia la stessa che Dalì avrebbe sentito, lui che aveva cercato in ogni modo di sfuggire alla banalità e alla monotonia della vita quotidiana attraverso la sua arte.

Come avrebbe reagito? Forse avrebbe sorriso, apprezzando il contrasto? Forse avrebbe urlato dalle finestre della sua dimora “spegnete quella schifezza”? O forse avrebbe dipinto un quadro, unendo i due mondi in un’opera d’arte?

Devio mio percorso lungo una strada laterale, sperando che il suono si attenui. Ma, nonostante la mia avversione momentanea, rifletto sul fatto che, proprio come l’arte di Dalì, anche quella canzone reggaeton è un prodotto della creatività umana, una manifestazione di un’epoca e di una cultura figlia dei nostri tempi. E, proprio come l’arte, anche la musica ha il potere di evocare reazioni viscerali, di piacere o di disappunto.

Forse semplicemente basta allontanarsi, come faccio, per non esserne avvolti senza sentirsi in dovere di giudicare. Camminare per la strada e incontrare la beatitudine di una chiesetta semplice, Ermita di Sant Baldiri, dove unartista sconosciuto espone le sue foto immerse nella nebbia e vicino c’è un piccolo cimitero che guarda il mare.

Forse è sempre e solo questione di movimento.

Gratitudine di fine estate (da dj)

Gratitudine.

Sì, l’estate non è finita.

Ho due ore di ritardo di volo, biglietti del pullman bruciati e non ho capito bene a che ora arriverò in Spagna.

È stata una stagione musicale potentissima.

Ancora non ci credo ma la metto tra migliori della mia oramai lunga vita da dj. Tantissime serate, eventi, festival e due dischi usciti su Spotify.

Penso alla stranezza della vita come il cuore che provo a fare per questa foto, attirandomi – giustamente – i sorrisi e le ironie di chi mi sta vicino di posto. Ci rinuncio, non riesco a farlo bene.

Questo cuore è come me, imperfetto e incerto, asimmetrico e tutt’altro che memorabile. Il cuore di chi prova a far quadrare le cose e mentre si architetta a cercare una perfezione che non raggiunge mai poi le cose vanno.

Todo se cumple, lo dico spesso.

L’importante è il senso. Significa amore e gratitudine.

Sono arrivate tante belle cose che hanno lenito i dolori delle mancanze.

Grazie a chi c’è stato, ieri come oggi, sotto la

consolle a ballare o in qualche locale ad ascoltare i miei djset, ma anche a chi solamente mi ha supportato con tanto affetto.

A presto! 🫶

Grazie in particolare

Bacàn Club Nautico Chia Palazzo Doglio Sunshine Rey Costa Rei Sardegna Maiori Villasimius Porto Turistico Calasetta Soul Club Saia