Il tempo speso in un viaggio non è mai perso. Ecco perché ogni tanto scappo. Per guadagnare o ritrovare tempo.
Per vivere quei momenti di sospensione col mondo che solo nelle stazioni, negli aeroporti, in aereo o in treno hai. Non è ancora il momento che cominci a lampeggiare lo schermo con la scritta “boarding” e mi avvii al gate 14 dove mi attende il primo volo di oggi, per Barcellona. Poi salterò, da El Prat, verso Siviglia. Barcellona, meta cara a tanti cagliaritani, è solo uno scalo per me. È bello andar via in un momento che non ha motivi, la bassa stagione. Voglia di sentirsi vivi, respirare aria diversa, mettersi in gioco. Mentre il mondo lavora e pensa ad altro, io trovo il mio momento, mi ritaglio quel tempo e via. Cerco un piccolo spazio adatto a me stesso e a contenere tutti i miei sogni, forse troppo stretti per stare in un cassetto.
Una nuova avventura quindi. Per cominciare bene ho dimenticato l’ipad a casa. Ma in tutta sincerità chissenefrega, anzi sarà un bene. E infatti non ne sento la mancanza.
Cagliari-Girona, e per fortuna pochi fintivip. La settimana elimina il turista più odioso che fa questa tratta nel weekend.
Un breve salto a Barcellona poi il volo per Siviglia. Il contatto seppur breve con una città metropolitana per di più così giovane e dinamica, i volti che incroci, il via vai, fanno sembrare ancora più piccolo il mondo da cui arrivi.
Prendo il treno, direzione aeroporto El prat. Il mio zaino vibra con le sospensioni del treno. Vicino a me anime che aspettano solo l’arrivo, mentre fuori il sole è fuggito via.
Un doppio volo ti lascia sicuramente un briciolo di stanchezza e la voglia di andare subito in ostello. Atterraggio anticipato, dice il comandante del volo Ryanair, mentre l’aereo trova la sua piazzola e ci informano che a terra ci sono 16 gradi. Presto, si prende il bus, e si corre verso il centro. C’è voglia di una doccia e di una bella cena, con tutta la curiosità del primo giorno.
Invece no, cambio. Decido di scendere prima della destinazione, alla stazione dei treni. Camminando, taglio in due il centro di Siviglia in una zona ricca di ristoranti e bar all’aperto. Una fiamma all’interno di una piramide di ferro li riscalda. Qui il turismo lo sanno fare, qui le piazze sono animate.
Mi fermo in un bar anonimo dove consumo una cena fatta di un piattone di pollo, verdure, patate e uovo e una cerveza. Poi riprendo il cammino. L’aria è tiepida ma gradevole. Il marciapiede è conquistato dalle piste ciclabili che anche qui fan da padrone.
Siviglia è silenziosa e poco affollata a quest’ora. Ogni tanto si sente il cinguettio del semaforo al verde, e qualche parola rubata ai passanti. Io ho ancora dieci minuti di strada, che mi godo cercando ogni particolare possibile.
Una coppia cammina con lei che prova ad andare sullo skate e lui che l’aiuta. Scritte rap sui muri e un tipo che sembra salutare me ma invece lo fa con una tipa interessante che sbuca da dietro. Le strade si stringono, sampietrini e luci soffuse provenienti dalle lampade gialle. Arrivo quasi per caso al mio hostell, chiamato da un ragazzo che mi saluta. Si chiama Andrea, è italiano. Ero l’ultimo ospite atteso. Il mio nome è sulla lavagna della hall: fa un bell’effetto! Lui mi racconta che è scappato dall’Italia e ha trovato lavoro qui.
L’ostello è fantastico: una bellissima casa su 3 piani, ex proprietà di una famiglia ebrea. Ci sono una accogliente sala comune con un tavolo centrale e una partita a scacchi apparecchiata, una cucina attrezzata, tre terrazze panoramiche che dominano sul centro storico e camere accoglienti.
Andrea mi spiega tutto quel che c’è da sapere. Divido la stanza con una coppia francese che mi dice che alle 4 del mattino deve andar via. Io inizialmente capisco che stanotte balleranno in 4 e, spiegandoglielo, scoppia una risata collettiva. Si ritirano presto mentre io mi faccio finalmente una doccia.
La stanchezza mi assale ma l’aria dell’Andalusia promette bene. Mi ritiro in branda e comincio a raccogliere i cocci della giornata con l’ansia del domani.
Buenas noches.