Poteva essere un sabato qualunque, ventoso, freddo e ricco di appuntamenti per la cena e il dopocena. Dj set, un compleanno, qualche libro, un po’ di mal di stomaco.
Una notizia ha funestato il pomeriggio: la morte di un giocatore di calcio di serie B.
Non è la prima volta, non sarà l’unica.Segue di qualche settimana il dramma di Vigor Bovolenta, ex nazionale di volley.
Stavolta è toccato al giocatore del Livorno Piermario Morosini. Stramazzato a terra durante la gara Livorno-Pescara.
Niente da fare, morto.
La Figc ha deciso di bloccare tutti i campionati.
La tristezza si è trasformata in rabbia con una provocazione che ho lanciato su facebook discutendo la “solita” decisione di fermare le competizioni. Una provocazione che non nego avrà fatto storcere il naso a tanti.
E poi le sensazioni. Morire a 25 anni facendo lo sport più bello del mondo, la proprio passione, nel pieno della propria maturazione sportiva, delle energie e dell’entusiasmo. I venticinque anni, il quarto di vita, come non ricordarli da parte di chi li ha vissuti?
Quindi rabbia. Rabbia di chi come me non vuol arrendersi – stupidamente – a non – comprendere (e sia chiaro, la mia è una provocazione, capitela o meno poco importa) l’uso della pratica del blocco dei campionati.
Ci sta il segno di rispetto, il fatto che molti non se la sentano di giocare, ma poi? Sarebbe una decisione ottima se a questa seguisse una profonda e seria riflessione, che in Italia manca sempre, quando accadono fatti come questi. Se ne parla per un po’ poi ci va sopra la polvere.
Prendete il caso dei disastri naturali, per dirvene una. Quante volte, quanti disastri, quanti discorsi…
Siamo abituati e ci affascinano i gesti plateali, siamo attaccati alle emozioni, ai momenti di silenzio, alle celebrazioni in pompa magna, ai discorsi, mai alle riflessioni che mettano in gioco qualcosa e qualcuno. Campionati che si fermano, funerali, giornate di lutto cittadino e nazionale, minuti di raccoglimento. Quanti ne avete visto?
E poi? Che è successo? Fermare i campionati contro la violenza negli stadi ha realmente ridotto la violenza negli stadi?
Numeri alla mano, lutti recenti, le riflessioni – serie e tempestive da parte di chi è deputato a farle – si impongono.
Non sono un esperto di medicina, ho una piccola esperienza nel mondo dello sport (e sono preoccupato per queste notizie), so benissimo che ci sono ottimi medici e istruttori, che la Figc impone regole ferree, che la nostra legislazione sportiva è avanzata.
Ma vedere atleti professionisti che cadono al suolo e muoiono può dare qualche dubbio che non sia più pura casualità e che forse andrebbe fatto di più? Può farci domandare, nella nostra ignoranza, se siano solo casi singoli oppure ci sia un problema più profondo, di “sistema” sport?
Parliamo di un mondo, quello professionistico, in cui il business e il guadagno, la prestazione e il risultato vanno oramai a calpestare qualsiasi consapevolezza, tempo e riposo, in cui trattiamo uomini alla stregua di macchine sparate al massimo delle proprie possibilità. Quando le macchine vanno troppo su di giri, che accade? Lucetta rossa e fine della corsa.
Campionati e coppe senza soluzione di continuità, ricerca del record, televisioni che invadono ogni aspetto della competizione.
Ma sono pur sempre uomini, qualcuno se n’è dimenticato. Con tutti i limiti e le problematiche di un organismo.
Volete una provocazione velenosa che spero colpisca: quante sono le società che fanno giocare ragazzi senza visita medica agonistica o magari tacciono su problemi fisici di campioncini che magari segnano più di altri. Questo lo possiamo dire?
Senza sputar sentenze, senza presunzione di verità, però forse il limite è stato passato.
Rispetto il blocco dei tornei deciso dalla nostra Federazione, ma il vero rispetto lo si fa aprendo una seria e franca discussione non solo sulle malattie che colpiscono gli atleti ma anche su dove stia andando il nostro sport professionistico, sui settori giovanili, sull’ossessione di raggiungere i risultati.
Se il soldo prenderà, come è già accaduto, il sopravvento, non stupiamoci se di casi come questo ne vedremo tanti altri.