Un freddo inverosimile questa sera a Praga. Sembra la scena di un film: io giubbotto e berretto con ridicolo ponpon che mi aggiro per le vie vuote a cercare un posto per cena anche se ho già sgranocchiato e sorseggiato qualcosa in piazza San Venceslao dove bancarelle cucinavano alle 5 e mezzo invitante carne, spiedini, funghi e patate e c’era una mescita di birra e vino bollente. Ora mi fa compagnia il solo rumore dei miei stivali sui sanpietrini e un freddo pungente come non mai.
Entro nel primo pub disponibile, tre loschi figuri che fumano mi osservano con fare minaccioso mentre fanno strani conti al tavolo, come se abbia interrotto qualche trattativa segreta. Il calore e la differenza climatica dentro/fuori rende qualsiasi posto un rifugio accogliente. Una bella sensazione però.
Ora un’altra birra, studio il menù in inglese, coordino la frase da dire e aspetto una bella cameriera. La musica è irradiata tramite canale tv, entro e si sente ‘Two can play that game” di Bobby Brown, roba da estate 1994 o giù di lì all’Aquilone. I paesi freddi hanno senso quando c’è freddo proprio perché questa sensazione di accogliente la puoi trovare solo quando c’è freddo.
Ogni tanto, nell’attesa, studio qualcosa che gravita attorno alla mia birra: una coppia sorseggia birra mentre discute in maniera pacata. Poi saluta e se ne va. La cameriera riordina. Alla radio arriva Scooter, il ritmo si fa pesante. Non capisco cosa c’entri per questo locale ma me lo sorbisco. In vetrina un piccolo mulino lavora incessantemente. Clap your hands, la musica sale. 132 bpm, trance. Hardcore. Cosa c’entra? Mi chiedo. Ordino carne e patate, sono tentato per la classica soup of the day ma nulla.
Fuori la neve si fa intensa e mi sorprende come in tanti siano molto più leggeri di me e camminino incuranti di un tempo così avverso. Dicono sia abitudine, chissà.