E’ difficile non prendere a cuore la vicenda di Gabriele Sandri dopo aver sentito le parole di un padre che racconta, con le frasi spezzate dall’emozione, quella domenica di qualche anno fa. E’ difficile dividersi in buoni e cattivi nel momento in cui un dramma assurdo viene utilizzato per coprire responsabilità oggettive e scaricare colpe su altri, oramai in modo palese. È’ difficile comprendere per quali motivi l’informazione spesso dimentichi il proprio ruolo di racconto e di scoperta delle verità e si metta supina su quelle verità di comodo.
Il timore più grande è che questo Stato sia oramai incapace di garantire giustizia. Che proprio nel momento in cui dovrebbe farlo, cerca mille scappatoie, e davvero ci fa sentire diversi e piccoli di fronte alla legge.
L’unica cosa che ho sentito nella vicenda Sandri è stata ricordare che fosse (tra l’altro erroneamente) un ultras, e quindi etichettarlo. Etichettare, giudicare. I giorni nostri abbondano di persone che giudicano ed etichettano senza sapere nulla, che parlano a sproposito, che dividono la gente in categorie e si permettono di entrare nelle vite altrui come se lo stessero facendo in casa propria.
Come per il caso Cucchi: non era uno stinco di santo, ma nessuno può permettersi di restare immobile di fronte a tanta crudeltà condita di omissioni.
Mi chiedo se al giorno d’oggi si possa uscire senza rischiare di essere colpiti dall’errore o dalla rabbia altrui, sia privata che istituzionale. Se una pallottola possa partire senza che nessuno ne risponda. O se un detenuto possa morire senza che nessuno sia stato colpevole.
E sia chiaro, stiamo attenti alle generalizzazioni che mettono benzina nelle menti dei pazzi. Quelle che dicono che tutti gli ultras sono violenti, tutti i poliziotti sono cattivi, tutti i giornalisti bugiardi. Un altro problema nostro. La realtà delle cose è molto più particolare e non ammette contenitori e scatoloni dove inserire tutto a nostro piacimento e poi attaccarci un’etichetta adesiva.
Il Caso Sandri, se “studiato”, è orribile. Collocare quella morte in ambiente da stadio ha fatto sì che molta gente con giudizi superficiali abbia potuto pensare che Gabriele se la fosse cercata. E per questo in qualche modo si è annacquata la responsabilità di chi ha commesso il reato che non deve ovviamente infangare tutta una categoria.
Spesso anche la stampa cerca di offrire verità e chiavi di lettura di comodo.
Sta a noi cercare di andare oltre e scoprire quel che spesso non ci vogliono far sapere.
Sta a noi uscire dai pregiudizi – atteggiamento duro a morire – e andare di fronte ai fatti con la mentalità di chi vuole non fermarsi alla pappa pronta.