Ieri abbiamo deciso con amici di andare a cena in una pizzeria del capoluogo. Non fatemi dire quale, non conta in questo racconto breve. Il luogo era incantevole, aveva appena riaperto. Siamo andati con tantissima curiosità di vedere come fosse questa nuova apertura non pubblicizzata su facebook con titoloni e promesse. Era già un passo avanti.
Seduti al tavolo, attorno a noi c’erano coppie di varie età, un addio al nubilato e qualche altro gruppo. Tanti posti liberi anche se era sabato. Gente di ogni tipo, senza una particolare caratterizzazione. Insomma non potevamo definirlo nè un locale “vip” nè una bettola. Un ritrovo normale.
La prima cosa che ho notato, dopo qualche attimo, era la “scarsezza” del personale. Si è visto da subito che non avevano né preparazione, né sicurezza nei gesti e nei movimenti. Insomma erano improvvisati. Da come hanno presentato i menù a come hanno servito le bevande e il cibo sul tavolo a tanti altri piccoli aspetti evidenti del loro agire. Nulla di grave, nessun problema, ma si vedeva. Però – questo è ciò che mi ha colpito – cercavano, nella loro inesperienza, di essere gentili e di farti sentire a tuo agio. Erano attenti: addolcivano ogni richiesta di “scusi”, “per favore”, “per cortesia” con un voce insicura e tremante e sguardo timido.
Ragazzi e ragazze di primo pelo. Si impegnavano. Provavano ad essere all’altezza del compito con tantissima umiltà. Giovani che magari si aggiustavano uno stipendio per l’estate o che magari cominciavano a lavorare proprio là per una carriera nel settore della ristorazione. Chissà. Non so, non posso saperlo.
Un po’ ho sorriso, un po’ mi sono chiesto: portano una piccola croce. Saper fare tutto e subito, rischiando (magari) quel posto se sbagliano. Rischiando di trovare il cliente che non capisce e se ne fa burla.
Non se la tiravano, non si sentivano qualcuno. Avevano voglia solo di far bene il loro lavoro, pur avendo poca tecnica (uso il linguaggio calcistico). E allora che dire? Criticarli e parlar male di loro con il proprietario? Mettere il post su “frastimiamo e lodiamo” i locali di Cagliari? Produrre il solito stato “quanto son scarsi i camerieri di…..” per poi far arrivare il messaggio al capo. Neanche per sbaglio.
È stata una bella lezione: l’impegno e la buona educazione spesso sopperiscono ad altri limiti. È già un punto di partenza, in un mondo che pullula di modi scontrosi e atteggiamenti di sfida, di capetti e di dipendenti con aria da “ti servo giusto per farti un favore”. In cui spesso comanda il mercato: a seconda del negozio o del locale dove vai il personale non solo è scadente, impreparato, pasticcione ma non ha nemmeno la gentilezza per saper servire un cliente e l’umiltà di mettersi a disposizione. Provare a vedere: quando entri e ti squadrano, quando – forti di essere il locale alla moda – ti trattano da zerbino da spremere.
Ce ne sono tantissimi, in una città malata di scortesia (ma la gente tanto torna, si dice) che anche quest’estate non diventerà turistica. Poi ci sono anche queste eccezioni che ti fanno pensare.
La serata – sia chiaro – è stata serena e tranquilla. La pizza non era male, cotta con forno a legna, con ingredienti gustosi. Un po’ di caldo forse, ma alla fine ci riandrò sicuramente.
Perché l’impegno onesto e generoso, i modi e la buona educazione, vanno sempre premiati.