Il problema non sono le foto. Capisco bene sia la scelta di pubblicarle sia quella di non farlo. Ci sono ragioni valide. Il problema è tutto intorno. Si parla di foto e non di guerre, di disperazione, di uomini. Ogni fatto è una immensa polemica e guerra di posizione. Urla continue. E finisce questa, ne inizia un’altra.
Sono stanco. Di leggere e di informarmi.
Da tempo è stato superato ogni freno inibitore, ogni delicatezza, ogni rispetto per il genere umano: dagli articoli ai post, dai commenti ai video.
Ti colleghi e leggi sempre di peggio. Utenti, testate, giornalisti, amici. Una gara continua. Nessuna distinzione tra un pensiero ragionato e una coglionata. La rete omologa tutto e rende tutto accettabile. E nell’accettazione il peggio diventa dominante.
I nostri canoni si abbassano, i nostri pensieri pure, adeguandoci alla massa. Rischiamo di prendere le sembianze di chi disprezziamo. Mostri.
Vedere foto, parlare di morti, esultare per disgrazie. Lo facciamo oramai con leggerezza. Ci passano i cadaveri, i veleni scritti dai nostri contatti come pane quotidiano.
Bisogna dare un taglio. Almeno sceglierci chi ascoltare e cosa vedere. Chi partecipa alle nostre discussioni. Cosa e quando partecipare.
Cambiare aria, strada, contesti, interlocutori. Selezionare. Iniziare, con forza. Con tante persone.
O la rete le ingoierà con noi e odieremo tutti, sempre che non sia già troppo tardi.