È stata una giornata speciale per il popolo sardo più di quanto si pensi.
Più delle celebrazioni, più della Fiera, più de Sa Die, più di Sant’Efisio, più di una partita di cartello del Cagliari, più delle feste paesane.
Capo Frasca, ricordatevi questo posto e questa data.
Ci si è incontrati, si è parlato, si è presa coscienza. Colori, idee diverse, facce e sorrisi. Serenità, nonostante tutto.
Un’ora e mezza di viaggio in un sabato di fine estate. C’è ancora caldo. Erba secca, strade strette. Si lascia la macchina e si cammina per un po’ sotto il sole. Qualche chilometro, chissenefrega. Nessuna lamentela. Nessuna disperazione. Tutti parcheggiano ordinati. Vola un elicottero che controlla dall’altro tutto e tutti. Vedi gente normalissima, famiglie, anziani. Qualche politico. Bandiere quattromori mosse dal vento. Altre di partito. Questa è già una vittoria. Esserci, nonostante tutto. E poco importa qualche nota stonata: quella serve solo a far cronaca e mettere ombre, ma si conosce il gioco.
Quali sono le impressioni di un figlio di militare e di uno che arriva da un percorso politico sicuramente diverso dalla maggioranza dei presenti? C’è tanta curiosità ed emozione. Tanta voglia di conoscere e sapere.
La vicenda delle servitù merita, poi, ampie riflessioni che provo velocemente a fare (ma non credo di ribadire nulla di nuovo): non si risolve con le sole manifestazioni. Serve un tavolo di trattativa, un riconoscimento chiaro dei diritti delle popolazioni, un salto di qualità della classe politica. Le urla non risolvono, né le soluzioni drastiche: le basi non potranno essere tutte chiuse, mettiamocelo in mente. Così come sono irrinunciabili le bonifiche ambientali. E, in caso di dismissione, bisogna approntare un progetto di recupero e riqualificazione del territorio, altrimenti tutta questa azione è inutile e porterà altra povertà.
Ci vorrebbe una coscienza e una sensibilità che oggi mancano, tra la politica ma anche in mezzo al popolo. Pure tra tutte le sigle che hanno maggiore attenzione per questa terra, incapaci di trovare un minimo comun denominatore e di far emergere dei leader che possano aggregare. Questo è il più grande problema.
Qualcuno dice che è di moda oggi essere antimilitaristi, indipendentisti, autonomisti, sovranisti, secessionisti (e aggiungetevi voi quel che volete). Che si si stia cavalcando un’onda elettorale. Io non sono nulla di questo. Ho smesso di far politica, ma partecipo e mi informo. Stato di osservazione cosciente. Non mi candido alle elezioni, non ho nulla da guadagnare, anzi, qualche presa per culo forse: io sono qui con la mia carta d’identità e le mie idee, sono un essere pensante che si pone sempre domande e cerca di trovare verità, anche da strade lontane.
Questa è una terra in cui vivo, in cui vivranno altri dopo di me, e non muovere un dito è un delitto, una responsabilità che non si può abbandonare, anche solo per ribadire che la nostra Isola non può essere chiamata in causa sempre per dare: soldi, territorio, mare, vite umane, intelligenze, carne da macello.
Dicono, comunque, che sia moda oggi pensarla così. Per me è di moda far folklore a basso costo, disinteressarsi, ragionare per schemi, voltare lo sguardo e pensare ad altro. Infilarsi giacche di partito e distrarre l’opionione pubblica. Più difficile aprire gli occhi, informarsi, guardare “oltre” e mettersi qualche dubbio su quel che accade a due passi da casa tua.
Quella casa tua che pare (ri)scoprirsi solo quando orgogliosamente lo scriviamo su facebook, quando andiamo all’estero e non ci sembra vero di dire “io sono sardo”, quando ci sono le partite di pallone e gli scatti da fare sulle nostre spiagge intitolati “vivo in un paradiso”.
Ecco, il paradiso, o quello che resta, va difeso anche da te.