Ci sono tantissimi sardi che inorgogliscono la nostra terra senza perdere identità e radici e altri (quanti…) che rappresentano perfettamente la peggior specie e tutti gli stereotipi che ci affibbiano e che ogni giorno rovinano l’idea di cambiamento che faticosamente si tenta di costruire.
Purtroppo una macchietta di tanti personaggi distrugge un’oceano di lavoro e la professionalità di tanti.
Giorni fa parlavo con un amico “reduce” da un convegno in città, dove il solito professionista della penisola ha cominciato a snocciolare tutte le occasioni perse dalla nostra Isola elencando poi, a mò di lista della spesa, le cose da fare.
“Dovete, siete, provate a…”
Aveva ragione, chi lo nega? Ma basta, basta davvero con queste lezioni. E basta anche davvero con questa idea di sardità del cazzo che aleggia in tanti conterranei.
La sardità da bancarella, trallallero e tasinanta, folklore da campanile, birretta Ichnusa (che tra l’altro di sardo ha ben poco), foto di spiaggia con piedoni e tutto il contorno.
Quando noi sardi capiremo che la presunzione di stare nel posto più bello al mondo, l’invidia da vicinato, la chiusura mentale spacciata per “tradizione”, il piangersi addosso cercando colpe altrui ma poi accettando l’aiutino pubblico, l’ignoranza o il fare i toghi cagliaritani marcati e fashion in viaggio, non sono delle qualità di cui vantarsi in giro ma caratteri di cui rendersi conto, vergognarsi e allontanarsi al più presto con uno scatto d’orgoglio, forse sarà il primo momento veramente rivoluzionario della nostra storia.
Stacchiamoci da questa idea, subito! Mettiamoci in discussione e cominciamo una sana e onesta autocritica. Autocritica? manco a parlarne. Non si può ridere e scherzare delle nostre debolezze, figurarsi se è possibile criticarle con l’idea di crescere. Non abbiamo bisogno di crescere, noi siamo già i primi, pensano alcuni. Se lo fai, sei un nemico giurato del popolo. Ma un popolo cresce con la dialettica e con la comprensione dei difetti non con il piagnisteo quando lo accusano di essere sottosviluppato (e non hanno tutti i torti, per certi versi). Un popolo che si è sempre accontentato del meno peggio e del “si è sempre fatto così”.
Questo scatto d’orgoglio individuale potrebbe essere il primo segno di una svolta, vera e reale, più di ogni cambiamento politico che, visti i personaggi, è ancora molto lontano.