Dov’eravamo rimasti? All’arrivo a Milano. Trovo freddo, troppo freddo per me.
Cielo scuro. Nascosto. Scorrono sui social le immagini di Cagliari che va al mare: che tristezza. Una rassegna di inquadrature sulla Sella del Diavolo.
Ma il concerto di David Guetta mi attende stasera. Emozione che sale. Concerto? “Ma suona un strumento?” mi chiedono provocatoriamente gli amici. Così si dice quando il dj fa la sua esibizione in un luogo fuori dalle disco. Inutile aprire discussioni. Ci prova un amico, con vena di stuzzicarmi, ma lo blocco: non ne ho voglia!
Mi organizzo per arrivare alla fiera di Rho, fuori Milano. Prendo il 90, la circolare, che riserva come sempre uno spaccato di umanità non indifferente. Extracomunitari, cricche di personaggi poco raccomandabili e diseredati di ogni specie. Profumo d’umanità. Scendo a Lotto. Cerco la metro, biglietto 5 euro, tratta extraurbana. Arrivo in anticipo, devo ritirare il mio biglietto omaggio, vado agli sportelli di ticketone.
Tutto è organizzato perfettamente: un corridoio già in uscita dalla metro, sicurezza ovunque e merchandising. Proprio un vero concerto, una partita. Eppure c’è un dj, non una squadra, non una rockstar. La data ha registrato il tutto esaurito, ma non c’è nessuna fila o attesa da fare. Ho fame: mi fermo da un caddozzone, panino e birra heineken 10 euro. Roba da pazzi, ma mi carico a dovere.
Il padiglione uno della fiera di Milano è imponente, immenso, riscaldato, organizzato. Tutto a perfezione: servizi decenti, punti bar, assistenza, zona tavoli e vip privè. Mancano poche ore allo show, c’è un giovane dj che si adopera nella cosiddetta “apertura” miscelando deephouse che via via comincia a salire di ritmo e profondità di basso, riscaldando una folla che si allarga. C’è gente di tutte le età, dal ragazzino alla famiglia, dal professionista alla coppia: potere del dj, potere della musica. Chi l’avrebbe mai detto che un dj avrebbe portato dietro di sé numeri da concerto rock? Ecco perché questa professione-passione oggi è meravigliosa, perché non è più come prima. Ecco perché tutti vogliono farla, anche chi potrebbe fare meglio altro.
Cosa che non è successa a Guetta, riuscito a costruire attorno a sé un’immagine. Mi ricordo che la prima volta che un amico mi fece il suo nome era al Lido nel 2004: tornava da una vacanza in Corsica e mi disse che da quelle parti impazzava questo sconosciuto dj. Io non ci feci caso, ma lo ascoltai curioso: aveva un suono poco interessante per quei tempi. Ma come sempre succede nella vita, tutto cambia…
Dopo una lunghissima attesa, dopo un infinito show dei bravi Daddy’s Groove (che pare allunghino per via di un malessere del dj francese con gli immancabili fischi per l’ospite tanto atteso che non arriva) a mezzanotte e mezza appare lui, anticipato da un intro lungo e emozionante. Si accendono tutte le luci sul palco, gli effetti, i video. Sale in cattedra, in consolle, David. I cellulari impazziscono, il volume si alza. Due ore di show con i suoi successi e non solo: pesta di brutto.
Un meccanismo perfetto di spettacolo costruito per poter piacere a tutti. Molti “puristi” storcono il naso, molti ribadiscono che Guetta in realtà è solo la punta di uno staff che produce e lo manda in giro, che crea il successo e inventa il tormentone. Anche se fosse così, beato lui, rispondo io, chi è così falso da dirci che non vorrebbe essere al suo posto? Si potrebbero aprire mille discussioni, ma non mi interessano. Il successo piace a tutti e chi invidia il successo parlando di pochi contenuti sa bene che ogni successo è composto da una buon dose di costruzione mediatica. Musicalmente poi l’idea di mischiare pop, hiphop e ritmi house-elettronici è stata vincente. Perché nessuno ci ha pensato prima? È un po’ come la storia dei puristi del rap.
Lo show va via con tante emozioni, perfino con un inaspettato blocco di corrente: i megaschermi compongono geometrie, forme, fantasie e parole chiave come noise, get low, sexy bitch e nothing but the beat, il titolo dello show. Lui ogni tanto prende il microfono e incita la folla in inglese, sale in piedi sul tavolo della consolle, dispensa baci. Tutto fuorché il dj triste che spesso vedi in certe consolle.
Si fanno le 2 ed oltre, corro via: non posso perdere la metro. Per l’occasione il servizio trasporti milanese ha organizzato genialmente delle corse speciali, tre per l’esattezza. Perderle significherebbe o tornare da Rho (costo 75 euro d taxi) che sta fuori Milano o restare fino al mattino. Mi organizzo e volo alla fermata. Scendo le scale, tutto scorre tranquillo. L’adrenalina non manca e resta anche nelle ore successive.
Uscito dalla metro aspetto il 91 notturno, piove e fa freddo in piazzale Lotto, salgo e qui lo spettacolo non è dei migliori: l’altra faccia di Milano. Oltre a chi come me torna dal concerto, tanti senzatetto e diseredati. Un disperato dorme seduto vicino a me con una grande borsa che sembra casa sua, probabilmente la sua casa è l’autobus. È in questi momenti che cancelli per un attimo la felicità di un concerto e ti ricordi del mondo che ti circonda con tutte le sue asprezze. Sono troppo fortunato pr potermi lamentare di qualcosa.
Sono le tre e mezzo quando torno a casa. Piove ancora. Dormo ma sento ancora l’emozione della musica, questa strana mignotta che mi sta facendo girare mezza Italia, una settimana fa a Roma per Hardwell e ora qui. Sabato scorre sereno anche se il tempo è milanese: colazione, appuntamento di lavoro in mattinata e pranzo. La sera mi organizzo alcuni caffè con gli amici e lavoro col computer a casa di mio fratello, il mio punto d’appoggio qui a Milano. Torno a casa camminando solitario tra le vetrine di via Montenapoleone, illuminato dal lusso e dallo sfarzo.
Ed eccoci a stamattina, domenica, a poche ore dalla partenza per il Portogallo. Colazione in un caffè letterario e vi scrivo il riassunto di quel che è successo. Fuori stranamente c’è il sole, finalmente aggiungo. La gente chiacchiera e legge libri davanti a un cappuccino. Questo bar è assolutamente informale, una libreria mischiata al banco, dove trovi un po’ di tutto: dall’elegante al frikettone. Alle 16 il volo per Lisbona, ma questa è un’altra storia. Buona domenica.