Ha ragione la mia amica Claudia. Non volevo più scrivere nulla ma alla fine è uscito anche questo post.
Su chi? Beh, su Corona. Volevo aggiungere qualcosina a quel che è stato detto, passato il momento critico/ironico e le immancabili battute.
La vicenda umana del fotografo comincia ad apparire nei suoi contorni più veri: la storia di un uomo solo, esaltato da gente vuota, applaudito da stupidi fan, criticato da feroci detrattori (quanta esagerazione, lo possiamo dire?), rimbalzato dalla stampa che amplifica e crea i miti (per poi immolarli in un attimo sull’altare della cronaca) e circondato da pochissime persone vere e capaci di dargli uno schiaffo e buoni consigli. Uno che fa il duro e l’alternativo (e gli riesce anche male, visti gli esiti) solo per avere un affetto che nessuno probabilmente gli ha mai dato.
Inutile dire che per tanti è un mito. La gente legge in lui il desiderio di “ribellione” da non si sa bene cosa. Io l’ho anche definito l’idolo del fintovip, quella figura mitologica che mi piace sempre descrivere con fantasia e ironia.
Resta la tristezza, come quando finisce una festa e ci sono in giro bicchieri vuoti e disordine, sempre che festa sia stata nella sua vita: la sua è una storia di tanti che ci circondano, che possono indossare perfettamente tante persone che, nel loro piccolo, scimmiottano Corona e le sue gesta dai loro profili facebook, tra foto in posa, aperitivi e amori finti, tag e presenzialismo, dimostrazione di “avere qualcosa”, copia incolla di pensieri altrui (come lui ha fatto con il poeta giapponese Murakami il giorno della fuga) e tutto il triste campionario a cui siamo abituati nei social network. Persone che fanno di tutto per essere al centro dell’attenzione, fanno terra bruciata di tutto intorno a sé (amici, amori, famiglia, e soprattutto loro stessi) ma che in realtà meriterebbero solo un po’ di amicizie e ascolto, più che un tavolo con bottiglia.
Figli di giorni vuoti come i nostri.