L’aria fredda non riscalda i pensieri, ci provo e riprovo e l’oggi già diventa ieri. Mani fredde, mani gelate, rivorrei ora e subito la mia estate.
Dopo questo incipit assolutamente e vergognosamente poetico, racconto una sera come tante, un ritorno da teatro dopo una lezione. La giornata sta per finire e mi rinchiudo nella mia auto dopo aver tagliato in due le strade della marina e i suoi colori.
Accendo e guardo le vetrine: sarebbe bello che ci fosse una piccola libreria dell’anima aperta 24 ore su 24 dove rinchiudersi in queste sere per non farsi uccidere da solitudini e nostalgie. Comincia una delle “solite notti” e continuo a teorizzare che la notte non è stata mai fatta per dormire. La notte è il momento più importante della nostra esistenza, in cui paradossalmente vediamo tutto più chiaro.
Parcheggio e rientro. La tv mi attende: c’è Gianfranco Fini. Lui, una delle più grandi delusioni della vita di tanti, me compreso. Quante delusioni abbiamo incrociato? E allora mi chiedo: perché dobbiamo dare una seconda opportunità a chi ci ha rubato la fiducia e il cuore? Si può giocare con tutto, tranne che con il cuore. Giri canale, ancora politica. Apri facebook, tanta politica. Gente che fa politica tanto per fare, senz’anima né cuore. Come quelli che fanno i giornalisti per la paghetta, quelli che fanno i dj per il soldino nel weekend. Poi c’è un’altra brutta razza: i politici che appaiono per le elezioni, vestiti nei loro orrendi abiti eleganti, quasi che l’eleganza dia la patente di politico, scrivono riflessioni e frasi scimmiottando leader e grandi analisti. Sono giovani nati vecchi, quelli per noia, si infilano dietro partiti e consiglieri. Il loro fine è diventare qualcuno, farsi un posticino, difendere il proprio, suscitare ammirazione di qualche politichetto a dispetto di tanta gente onesta e coerente. I mediocri alle elezioni emergono sempre, sapevatelo.
“Ci vuole molto per riuscire a diventare giovani” diceva Picasso.
Uno di questi è tenere puro il cuore, restare sempre un po’ orgogliosamente e stupidamente coerenti, fare anche qualche follia, alimentare passioni, non dimenticarsi del piacere di giocare e di sognare, anche quando le necessità della vita dicono di cambiare idea.
Ho lasciato la serata del Charlie questa settimana. Di solito accade che le serate un dj le prenda, non che le lasci. Ma non mi andava più. Mi sentivo un marchettaro, un dj che andava per timbrare il cartellino, non uno che vuole cambiare qualcosa. Fare il dj, come mixare, è operare piccole e grandi rivoluzioni. L’ho sempre pensato e scritto. E raggiunta una certa età ed esperienza, meglio giocare a tirare a sorte con la propria carriera, che andare alla ricerca di strade sicure.
Le strade sicure sono gli obblighi, quelle cose che devi fare per essere inserito in un sistema, per sentirti qualcuno grazie ad altro: non è un obbligo nella vita di un italiano seguire il calcio come ossessione, entrare in un partito politico, andare in chiesa, vestire alla moda, ma si può benissimo essere appassionati di calcio, interessarsi della politica, credere in qualcosa senza regalare il proprio cervello ad altri ed essere eleganti.
Semplificare la propria esistenza cercando l’essenza delle cose più che i suoi orpelli e gli accessori inutili. Mi piacerebbe imparare a semplificare tutto, comprese le cose che scrivo. Spesso aggiungo avverbi, parole, preposizioni e spiegazioni che potrei evitare. Il troppo guasta.
Sono al bar del Mem, semivuoto. Venerdì mattina freddo. Poca gente attorno. Gli studenti che ne hanno fatto la loro zona oggi sono quasi assenti: il venerdì è già aria di weekend. Gli altri giorni a quest’ora c’è il tutto esaurito. Ancora non mi spiego come sia possibile studiare con questo caos. Il cappuccino si raffredda. Vi lascio con una bella riflessione di Bruno Munari suggeritami dal mio amico Francesco.
semplificare è difficile.
Per complicare basta aggiungere,
tutto quello che si vuole:
colori, forme, azioni, decorazioni,
personaggi, ambienti pieni di cose.
Tutti sono capaci di complicare.
Pochi sono capaci di semplificare.
Per semplificare bisogna togliere,
e per togliere bisogna sapere che cosa togliere,
come fa lo scultore quando a colpi di scalpello
toglie dal masso di pietra tutto quel materiale che c’è in più.
Teoricamente ogni masso di pietra può avere al suo interno
una scultura bellissima, come si fa a sapere
dove ci si deve fermare nel togliere, senza rovinare la scultura?
Togliere invece che aggiungere
vuol dire riconoscere l’essenza delle cose
e comunicarle nella loro essenzialità.
Questo processo porta fuori dal tempo e dalle mode….
La semplificazione è il segno dell’intelligenza,
un antico detto cinese dice:
quello che non si può dire in poche parole
non si può dirlo neanche in molte.tratto da Verbale Scritto, raccolta di scritti di Bruno Munari